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Tra le memorie e il grido

Crescean di Sparta i figli al greco nome;

Finchè la sposa giovanetta il fido

Brando cingeva al caro lato, e poi
Spandea le negre chiome

Sul corpo esangue e nudo

Quando e' reddia nel conservato scudo.
Virginia, a te la molle

Gota molcea con le celesti dita
Beltade onnipossente, e degli alteri
Disdegni tuoi si sconsolava il folle
Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri

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delle canzoni usate dai giovinetti spartani, dice che erano « per lo più lodi de' morti per Isparta, e biasimi de'codardi avanzati al mondo per vivere dolente e malavventurosa vita; o erano promessa e vanto di fare virtuosa azione, secondo che conveniva all'età de' cantori » (trad. Adriani). le memorie e il grido, le memorie famose: figura di endiadys. — Crescean.... al greco nome, cresceano a salute e gloria della nazione greca (nome nel senso di nazione, secondo l'uso latino e secondo che il Leopardi stesso lo adoprò nel Bruto minore, v. 88 « ne' danni Del servo italo nome »). Finchè, fino all'età in cui. il fido brando. Ariosto, Orl. ·Fur., XI, 83: « Spinge il cavallo, e piglia il brando fido: » fido dicesi di cosa « di cui alcuno sempre si serve e fa uso, » Voc. Crusca, V impress. lato, fianco. Spandea le nere chiome, in segno di lutto. Tib., Eleg. 1, 3: Et fleat effusis ante sepulcra comis. Quando e' reddia, ec. Quando ritornava cadavere, disteso sul proprio scudo che egli avea salvato dai nemici. È noto il fatto di quella madre spartana, che al figlio in procinto di partire pel campo, disse, consegnandogli lo scudo: ταύταν, ἢ ἐπὶ ταύτα « o questo, o su questo;» cioè: o riportami questo scudo, o torna a me morto sopra di esso.

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v. 76-80. Virginia, ec. Dopo gli esempi di virtù dati dalle spartane, passa a quello di una Romana. Virginia, figlia del plebeo L. Virginio, e promessa sposa al tribuno L. Icilio, era insidiata dal decemviro Ap. Claudio, il quale postquam omnia pudore sæpta animadverterat, ad crudelem superbamque vim animum convertit. » Volle egli farla passare per ischiava di M. Claudio suo cliente, affinchè questi potesse prenderla come sua, e indi segretamente a lui consegnarla. Agitata la causa davanti al tribunale, Virginio, quando vide di non potere in alcun modo salvar la figlia, la tirò in disparte presso una bottega di macellaio, e con un coltello che quivi afferrò, la trafisse dicendo, rivolto ad Appio: Te, Appi, tuumque caput sanguine hoc consecro. » Tanta scelleraggine di Appio fu causa che il popolo concitato abolisse la tirannide decemvirale (A. di Roma 305, av. Cr. 447. Vedi T. Livio, lib. III, § 44 e seg. e Dionis. d'Alicarn., lib. XI, § 28 e seg.) - a te la molle, ec. « Immagina la bellezza come una divinità, la quale rende belle con le sue dita celesti le forme dei corpi umani: leggiadrissima invenzione! » Castagnola. - degli alteri, ec. Intendi: « Appio rimaneva sconsolato e senza speranza, a causa dell'altero disprezzo che la fanciulla dimostravagli. »

«

v. 80-99. Eri pur vaga, ec. La compassiona, perchè così bella e così

Nella stagion ch' ai dolci sogni invita,

Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
Il bianchissimo petto,

E all' Erebo scendesti

Volonterosa. A me disfiori e scioglia

Vecchiezza i membri, o padre; a me s' apprestį,
Dicea, la tomba, anzi che l'empio letto

Del tiranno m'accoglia.

E se pur vita e lena

Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena.

O generosa, ancora

Che più bello a' tuoi dì splendesse il sole
Ch'oggi non fa, pur consolata e paga
È quella tomba cui di pianto onora
L'alma terra nativa. Ecco alla vaga
Tua spoglia intorno la romulea prole
Di nova ira sfavilla. Ecco di polve
Lorda il tiranno i crini;

-

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giovane dovette soggiacere al ferro paterno. nella stagion, ec. Graziosa perifrasi per indicare la prima gioventù. ai dolci sogni, alle illusioni dell' età. Nella Silvia vedremo assai contenta Di quel vago avvenir, che in mente avevi » e nelle Ricordanze, a proposito di Nerina « in fronte La gioia ti splendea, splendea negli occhi Quel confidente immaginar, ec. >> rozzo. « Chiama rozzo quel ferro, perchè tolto alla bottega d'un macellaio; ovvero per metonimia, in quanto l'eroismo di Virginio non era senza rozzezza. >> Castagnola. Il bianchissimo petto. Nota l'evidenza pittoresca di questo epiteto superlativo, e il contrasto che esso fa col rozzo precedente! Volonterosa: « non per forza, ma per tua volontà, » come si vede dalle parole che il poeta le attribuisce. A me disfiori, ec. Tolga i fiore della gioventù dalle membra. » Nell' Ultimo canto di Saffo vedremo << scemo di giovinezza e disfiorato.... Il ferrigno mio stascioglia, indebolisca, nel senso del lat. solvere. Virg., En., XII, 955 ast illi solvuntur frigore membra. » anzi che l'empio, ec. prima che divenire sua sposa. -se pur vita e lena, ec. « E se la mia morte dee giovare a ridestare e rinvigorire gli animi de' Romani, sono contenta che tu mi uccida. »

«

me. »

v. 91-95. O generosa, ancora Che, ec. Vuol dire che, quantunque il perder la vita fosse allora più doloroso che ora, poichè i secoli volgevano più felici, nondimeno Virginia dovette contentarsi di morire, avendo a compenso il pianto della patria, e il rifiorire della libertà. Vedi Dionis. d'Alicarn., lib. XI, § 39. — più bello.... splendesse. Cfr. Catull. 8: Fulsere quondam candidi tibi soles consolata.... è quella tomba. Ricorda il Foscolo, Sepoleri: < dentro l'urne Confortate di pianto. frase che trovammo anche nella Canz. I, v. 59.

L'alma terra nativa:

v. 96-105, romulea, discendente da Romolo. Di nova ira : nuova, rispetto a quella che provò alla morte di Lucrezia. Vedi in fine. di polve Lorda il tiranno i crini. A. Claudio, sottoposto a giudizio e non vedendo più scampo alla giusta pena, si uccise di propria mano, come

E libertade avvampa

Gli obbliviosi petti; e nella doma
Terra il marte latino arduo s' accampa
Dal buio polo ai torridi confini.
Così l'eterna Roma

In duri ozi sepolta

Femmineo fato avviva un'altra volta.

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narra Livio, lib. cit., § 58. avvampa, fa avvampare. -obbliviosi, immersi nell'oblio, dimentichi della libertà. Latinismo. Vedi Orazio, Carm. II, 7. ―e nella doma, ec. Intendi: «e in conseguenza della ricuperata libertà le armi latine occupano a poco a poco e sottomettono il mondo intero. » arduo, alto, insuperabile. Ovid., Met. I, 151: arduus æther. Dal buio polo, ec. Dal polo, dove la luce è scarsa, fino alla zona torrida. Così, ec. Costruisci e intendi: « Così un fato femmineo (cioè la morte fatale d'una donna) avviva una seconda volta Roma, che era morta e sepolta in un forzato torpore, mentre per destino doveva durare eterna. » Anche nell' Appressamento della morte, II, 34 e seg., il Leopardi pone insieme, fra gli schiavi d'amore, Sesto Tarquinio e Appio Claudio, e del secondo dice: Pel cui malvagio amore un'altra volta Roma fu lieta e suo tiranno afflitto. » - un' altra volta. Livio, lib. cit., § 44, notato che questo secondo misfatto ebbe lo stesso esito di quello che avea cacciato i Tarquini, ne trae la conseguenza: « Ut non finis solum idem decemviris, qui regibus, sed causa etiam eadem imperii amittendi esset. »

Questa canzone fu scritta nell' estate del 1821, quando Paolina sorella del poeta dovea andarne sposa a un certo Peroli di Sant'Angelo in Vado: matrimonio che poi non ebbe effetto, come neppure altri che più tardi si trattarono. Essa nacque il 1800 e fu veramente l'angelo della famiglia per soavità di modi, coltura d'ingegno, sincera religione, sentimenti virili e per quell'amore paziente e operoso con cui assistè e giovò sempre i suoi, specialmente suo padre Monaldo, che di lei si valse in varie pubblicazioni periodiche. Avea molta somiglianza d'indole con Giacomo, che era di lei tenerissimo, come apparisce dalle lettere scrittele. Le lettere stesse di Paolina (testimonianza di bontà e saviezza femminile) furono pubblicate in parte da G. Piergili (Lett. scritte a G. L. dai suoi parenti, ec. Le Monnier, 1878), e più compiutamente da E. Costa (Parma, Battei, 1887), il quale nelle Note Leopardiane (Milano, Lombardi, 1889, 2a ediz.), ne ha tratteggiato l'animo e l'indole.

La presente canzone segue lo stesso concetto di quella al Mai, cioè che grandi e gloriosi furono i tempi antichi, miseri e schiavi i moderni; e applica questo principio alla donna, che però deve ritemprarsi sull'esempio delle spartane e delle romane. Lo stile non è sempre limpido e schietto come in altre poesie posteriori, ma ha di grandi bellezze. E stupendamente significata nella str. 3a la potenza della donna, nella 4a la virilità del nobile amore, e nelle tre ultime sono ritratte da gran maestro le virtù delle donne antiche, e le glorie di Roma.

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V.

A UN VINCITORE NEL PALLONE.

SOMMARIO: Avvezzati alla gloria, o garzone, e fatti forte nella palestra per giovare un giorno alla patria (v. 1-13)- La Grecia mostrò tanto valore contro gli stranieri, appunto perchè erano tenuti in grande stima i giuochi ginnastici (v. 14-26) Se questi si vogliono dir vanità, sono almeno vanità utili a render forti e virtuosi gli uomini (v. 27-39) E pur troppo è da temere che le nostre città siano distrutte, la nostra civiltà spenta, se non si ritorna a imitare il valore degli antichi (v. 40–52)

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Mettiti coraggiosamente a rischio per la patria. Il sopravviverle ti sia di dolore; se non altro, i pericoli della guerra ti renderanno più tollerabile la vita, ti preserveranno dalla noia (v. 53-65).

METRICA. Strofe 5 di 13 versi ciascuna, rimate con quest' ordine: Ab C B A C D E F D F g G.

Di gloria il viso e la gioconda voce,
Garzon bennato, apprendi,

E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s' alla veloce.
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella

«

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v. 1-8. Di gloria il viso, ec. Costruisci : « O giovane ben nato, apprendi il viso e la voce gioconda della gloria, » cioè: impara a conoscere come sia fatta la gloria, e quanto sia piacevole la lode. bennato, non nel senso di nobile, ma di ben disposto dalla natura, dotato di generosa indole. femminile, sudata, stanno in opposizione fra loro: il primo aggiunto vale « impotente, debilitante; » il secondo acquistata con sudore, con fatica. Ricorda quel d'Orazio: Qui studet optatum cursu contingere metam Multa tulit fecitque puer, sudavit et alsit (Arte poet., 412). campione dicesi propriamente dell'atleta, di colui che dà spettacolo. della propria forza e destrezza; gr. dywvioτýs. se alla veloce, ec.: se, particella augurativa, come in lat. sic. Intendi: « così voglia il cielo che il tuo valore contrasti, cioè sottragga alla veloce piena (fiumana) del tempo la spoglia del tuo nome; ossia « piaccia al cielo che il tuo valore renda immortale il tuo nome. » L'immagine sembra presa dall' Ariosto Orl. Fur., c. XXXV, st. 10 e seg., dove si racconta del fiume Lete, che portava via i nomi degli uomini gettatigli dal Tempo, tranne alcuni che dai cigni (poeti) venivan salvati. di. · spoglia vale qui, preda. - il core Movi, ec. « rigi i tuoi desiderii ad un nobile scopo; » cioè, di giovare alla patria. v. 8-13. echeggiante, che echeggia per gli applausi. Bell'epiteto e molto significante. Arena e il circo, cioè, l'arena chiusa nel circo. Figura di endiadys. - fremendo, applaudendo. Virg., En., V, 555: Quos

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Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell' età novella

Oggi la patria cara

Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona

Non colorò la destra

Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l' ardua palestra,

Nè la palma beata e la corona

D'emula brama il punse. E nell' Alfeo

Forse le chiome polverose e i fianchi

Delle cavalle vincitrici asterse

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Tal che le greche insegne e il greco acciaro
Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi

Nelle pallide torme; onde sonaro

Di sconsolato grido

L'alto sen dell' Eufrate e il servo lido.

Vano dirai quel che disserra e scote

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omnis euntes Trinacria mirata fremit Troiaque iuventus. età novella, la fresca età. Dante, Inf, c. XXXIII: « Innocenti facea l'età novella, ec. Uguccione e 'l Brigata. Gli antichi esempi, gli esempi di forza e di prodezza usati dai greci e romani, le prove atletiche. Il Leopardi si doleva che a' suoi tempi fosser trascurati in Italia gli esercizi ginnastici. Si può anche interpetrare << la patria con questi applausi ti invita a passare dalla palestra alla battaglia per la sua libertà, come fecero i Greci. » Ciò concorda meglio con quel che segue. Vedi la nota in fine.

v. 14-19. Del barbarico, ec. Questo pensiero svolge il precedente, gli antichi esempi. Vuol dir l'autore che chi restò insensibile alla gloria de' giuochi atletici, non riuscì valoroso soldato. in Maratona, nella gloriosa battaglia vinta dai Greci contro i Persiani nella pianura di Maratona il 490 av. Cr., dove diecimila fra Ateniesi e Plateesi sconfissero un nemico dieci volte più numeroso. Vedi Erodoto, lib. VI, 105 e seg. colorò la destra, insanguinò. Cfr. il Petrarca, Canz. O aspettata, ec.: « E tinse in rosso il mar di Salamina. » il campo eleo. A Elide si celebravano i giuochi olimpici. stupido, indifferente, senza sentirsi commosso: conforme al senso primitivo della parola latina, che denota chi ha perduto il senso. la palma, ec. Nei giuochi olimpici si dava al vincitore una corona di olivo e una palma. D'emula brama, cioè, della brama di emulazione.

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v. 19-26. Ripete in altra forma la stessa idea: « e forse chi più si fece onore contro i remici, fu colui che avea vinto ad Olimpia. » nell'Alfeo, fiume che scorreva presso la palestra d'Olimpia. Delle cavalle vincitrici le cavalle che avean tirata la quadriga del vincitore. asterse, lavò dalla polvere e dal sudore. torme. Vedi Canto I, v. 107. sonaro, ec. levarono alte grida di dolore i popoli dell'Asia sulle rive del fiume Eufrate. Allude ai Persiani di Eschilo, dove sono introdotti i nobili persiani a piangere sulle loro sconfitte.

v. 27-31. Vano dirai, ec. Si fa un'obiezione conforme ai suoi stessi

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