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Della materna voce il suono accoglie ?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio

Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D'immortal piede i ruinosi gioghi

Scossero e l'ardue selve (oggi romito

Nido de' venti): e il pastorel ch' all' ombre
Meridiane incerte ed al fiorito

Margo adducea de' fiumi

Le sitibonde agnelle, arguto carme

Sonar d'agresti Pani

Udì lungo le ripe; e tremar l'onda

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Vide, e stupì, che non palese al guardo

affini parla lungamente l'autore nelle cit. Annot. Virg., En., I, 722, ha desueta corda, riferito al cuore di Didone svezzata dall'amore dopo la morte di Sicheo. Al sentimento di questi versi serve d'illustrazione quel che il Leopardi scriveva al Giordani a'6 marzo 1820: « Sto anch'io sospirando la bella primavera, ec. e poche sere addietro, prima di coricarmi, aperta la finestra della mia stanza e vedendo un cielo puro, un bel raggio di luna, e sentendo un' aria tepida e certi cani che abbaiavano da lontano, mi si svegliarono alcune immagini antiche, e miparve di sentire un moto nel cuore, onde mi posi a gridare come un forsennato, domandando misericordia alla natura, la cui voce mi pareva di udire dopo tanto tempo. »>

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v. 24-33. Qui comincia il poeta a riandare ad una ad una le più vaghe fantasie greche, animatrici di tutta la natura. Il legame sta in quel vivi di sopra. « Tu vivesti pure un tempo, o natura, ec. »> i rivi albergo.... Furo i liquidi fonti, ec. Allude alle naiadi, ninfe dei fiumi e delle fonti. Ovid., Met., XIV, 326: Illum fontana petebant Numina Naiades. Virg., En., I, 167: Intus aquæ dulces, vivoque sedilia saxo, Nympharum domus. Arcane danze, ec. Virg., En., I, 498: Per iuga Cynthi Exercet Diana choros. Orazio, Odi, I, 4: Iunctaque Nymphis Gratic decentes Alterno terram quatiunt pede. e il pastorel, ec. Leopardi, Annot. cit.: « Anticamente correvano parecchie false immaginazioni appartenenti all'ora del mezzogiorno; e fra le altre, che gli Dei, le ninfe, i silvani, i fauni e simili, aggiunto le anime de'morti, si lasciassero vedere o sentire particolarmente su quell'ora. » Vedi anche Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, cap. VII. ombre incerte perchè essendo il sole alto, l'ombra riesce interrotta e sbiadita. Anche Virg.. Ecl., V, 5, ha incertas umbras. L'immagine tutta insieme è presa da Orazio, Od., III, 29: Iam pastor umbras cum grege languido Rivumque fessus quærit. arguto carme Sonar, ec. Un canto stridulo, o accompagnato da stridula zampogna. Pani. Pane figlio di Mercurio fu il dio delle selve, e inventò la zampogna che formò dalle canne della trasformata Siringa. In appresso si fecero di uno più Pani, e a questa tradizione si attiene il nostro autore.

v. 33-38. e tremar l'onda, ec. << Circa all' opinione che le ninfe e le dee sull'ora del mezzogiorno si scendessero a lavare ne' fiumi o ne'fonti, da' un'occhiata all'Elegia di Callimaco sopra i Lavacri di Pallade, v. 71 e seg., e in particolare quanto a Diana, vedi il terzo libro delle Meta

ALLA PRIMAVERA.

La faretrata Diva

Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.
Vissero i fiori e l'erbe,

Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa
Fur dell' umana gente, allor che ignuda
Te per le piaggie e i colli,
Ciprigna luce, alla deserta notte

Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Te compagna alla via, te de'mortali
Pensosa immaginò. Che se gl' impuri
Cittadini consorzi e le fatali

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morfosi, v. 144 e seg.» Leopardi, Annot. cit. La faretrata Diva. Diana cacciatrice. Ovid., lib cit., 252: pharetrata Dianæ. ne' caldi flutti, << ne' flutti intepiditi da' raggi solari. » Castagnola. Il niveo lato. Orazio, Od., III, 27: Niveum.... latus. Per tutta l'immagine cfr. Ovidio, loc. cit., 163: Hic dea silvarum, venatu fessa, solebat Virgineos artus liquido perfundere rore. In questa davvero bellissima strofa noterai la finezza classica nel descriver la natura, congiunta, come avverte lo Zumbini, ad un certo sentimento misterioso, che rivela l'uomo moderno.

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v. 39-47. Vissero, ec. Intendi: «Non solo la natura era viva perchè popolata da divinità, come abbiam visto nella strofa precedente, ma l'aria, la natura, gli astri, vivevano, ed eran consapevoli delle sorti umane. Non ci poteva essere maggior conforto per uomo, che il vedersi Inteso da tuttociò che lo circondava, e fin anche dalla luna e dal sole, ec.» Zumbini. Vissero (come nel lat. vixerunt) racchiude il senso doloroso di « ma ora non vivon più. Conscie, consapevoli, partecipi. la titania lampa, il sole. Virg., En., VI, 725: Titaniaque astra, pur per significare il sole. Spesso è chiamato Titan (Virg., En., IV, 119), perchè figlio del Titano Iperione. ignuda, cioè sgombra dalle nubi. Cipri gna luce. Intendono comunemente la stella di Venere; la quale opinione trova appoggio nell'Ode 8 di Mosco, a Vespero, tradotta appunto dal Leopardi, in cui questo pianeta è chiamato « luce aurea di Venere. » Il Cappelletti intende la luna, e dice: « Il poeta la chiama Ciprigna (nome che si dà particolarmente a Venere), perchè la luna fu dai Romani adorata sotto i nomi di Diana, di Venere e di Giunone.» Anche il Castagnola inclina a questa interpetrazione, o per la medesima ragione, o perchè ciprigna può qui significare solamente amorosa. Vedi Macrobio, Saturn, lib. III, cap. 8. - il viator, ec. Che qui si tratti della luna parrebbe confermarlo questo concetto al quale il poeta accenna nella ode greca alla luna: pooopiλǹs ôdítatg, « benevola ai viandanti » e con poca differenza nel Canto Il tramonto della luna. Vero è che anche nella citata ode di Mosco evvi un simile pensiero, riferito alla stella di Venero.

v. 47-57. Che se. Costruisci : « Chè se altri, fuggendo, ec. venuto nelle ime selve, accolse al petto, ec. » - - gl'impuri Cittadini consorzi: le corrotte città. Cfr. Inno ai Patriarchi: « i ciechi mortali.... aduna e stringe

Ire fuggendo e l'onte,

Gl'ispidi tronchi al petto altri nell' ime
Selve remoto accolse,

Viva fiamma agitar l'esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta

Nel doloroso amplesso

Dafne o la mesta Filli, o di Climene
Pianger credè la sconsolata prole
Quel che sommerse in Eridano il sole.
Nè dell' umano affanno,

Rigide balze, i luttuosi accenti

Voi negletti ferìr mentre le vostre
Paurose latebre Eco solinga,

Non vano error de' venti,

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Ne' consorti ricetti. ·le fatali ire.... e l'onte: le funeste ire di parte, e gli oltraggi che ne conseguono.

accolse, abbracciò.

-

nell'ime Selve, nel più folto delle foreste. remoto, allontanato dagli uomini. Viva fiamma, ec. Costruisci e spiega : « Credette che viva fiamma agitasse, ec. che Dafne o la mesta Filli palpitasse, ec. o che la sconsolata prole di Climene piangesse quel che il Sole sommerse, ec. l'esangui vene: le vene del tronco arboreo, in cui era stata convertita qualche umana creatura. Spirar le foglie. Che le foglie respirassero e vivessero. -e palpitar, ec. Dafne. Dafne figlia del fiume Peneo, inseguita da Apollo, fu dal padre cangiata in un alloro. Il dio abbracciò l'albero, e sentì palpitare sotto la mano il petto della fanciulla: Posita in stipite dextra Sentit adhuc trepidare novo sub cortice pectus (Ovid., Met., 452 e seg.). la mesta Filli. Fillide, figliuola di Licurgo re di Tracia, credendosi abbandonata da Demofoonte, s'impiccò, e fu cangiata in un mandorlo (Ovid., Heroid. II). di Climene, ec. Le figlie di Climene, dopo aver pianto il lor fratello Fetonte, che dal carro del sole era caduto e annegato nel fiume Po, furono cangiate in pioppi e continuano ancora a piangere, versando dalla corteccia le resine (vedi Ovid., Metam., lib. II). Tutto questo pezzo, bello sì, ma un po'raggirato e artifizioso, vuol dire in sostanza: « Chi andava a viver nelle selve potea credere che gli alberi fossero animati, e così trovava anche in esse la vita della natura. »

v. 58-69. In questi versi il poeta porta nuovi esempi dell' antica vita della natura, cioè l'eco e il canto dell'usignolo. Nè dell' umano affanno, ec. Costruisci : « Nè i luttuosi accenti dell'umano affanno feriron negletti (cioè senza essere ascoltati) voi, o balze rigide, mentre Eco solinga, non (come ora) vano errore de' venti, ma misero spirito di una ninfa, cui grave amore e duro fato esclusero (cacciarono) dalle tenere membra, abitò le vostre paurose latebre (nascondigli). » rigide balze (ben collocato, per ragione d'antitesi, fra affanno e luttuosi accenti), vuol dire rupi dure, inflessibili. » Ovid., Met., IX, 225: rigidæ silices. - ferir, colpirono: detto del suono, come spesso in latino. Senec., Erc. Et., 1944: sonus trepidus aures ferit. Virg., En., V, 110: ferit æthera clamor. Eco, ninfa innamorata del bel Narciso e, per non aver corrispondenza, morta di dolore, e rimasta nuda voce nelle grotte. Vedi Ovidio, Met., III, 333 e seg., le Cento novelle antiche, nov. 46, e Boiardo, Orl. Innam., p. II, c. 17. - Non vano error de' venti: non « un rigirarsi

Ma di ninfa abitò misero spirto,
Cui grave amor, cui duro fato escluse
Delle tenere membra. Ella per grotte,
Per nudi scogli e desolati alberghi,
Le non ignote ambasce e l'alte e rotte
Nostre querele al curvo

Etra insegnava. E te d'umani eventi
Disse la fama esperto,

Musico augel, che tra chiomato bosco
Or vieni il rinascente anno cantando,
E lamentar nell'alto

Ozio de' campi, all' aer muto e fosco,
Antichi danni e scellerato scorno,
E d'ira e di pietà pallido il giorno.

Ma non cognato al nostro

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Le non

dell'aria nelle cavità de' monti, ove la voce si ripercuota. » Castagnola. escluse dalle, ec. membra. Ovid., loc. cit., v. 398: in aera succus Corporis omnis abit: vox tantum, atque ossa supersunt: Vox manet: ossa ferunt lapidis traxisse figuram. - desolati alberghi, spelonche abbandonate, solitarie. Stazio, Theb., I, 653: desolata domorum Tecta vides. ignote, ec. Non sconosciute a lei, ben note a lei, che le aveva provate. — alte e rotte, diffuse per l'aria e interrotte, come appunto la voce dell'eco. al curvo Etra. Virg., En., IV, 451: cœli convexa. Veler. Fl., Argon., V, 414: curvoque diem subtexit olympo. insegnava. Virg, Ecl., 1, 5: Formosam resonare doces Amaryllida silvas.

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v. 69-76. esperto, conoscitore per prova. Ovid., Fast., V, 674: juvat expertis credere. Musico augel: l'usignolo, riguardato come il miglior cantore della sua razza, e nel nome stesso greco e latino accennante a questo suo pregio. Si favoleggiava che Filomela, oltraggiata dal cognato Tereo re di Tracia, si vendicasse di lui per mezzo della sorella Progne, facendole uccidere i figli di lui e darglieli in cibo: onde fosse poi ella cambiata in usignuolo, e la sorella in rondine. tra chiomato bosco. Il Leopardi stesso in una ode greca: xoμwoŋ év öλy. Catul., Carm. 4: comata sylva. Oraz., Od., IV, 3; nemorum comæ. -il rinascente anno: la primavera. nell' alto Ozio de' campi, per la profonda quiete che regna ne' campi notte tempo. Virg., Georg, IV, 514 e seg. pur dell' usignolo: Flet noctem ramoque sedens miserabile carmen Integrat, et mastis late loca questibus implet. Antichi danni. Dante, Purg., c. IX, dice della rondine: Nell'ora che comincia i tristi lai La rondinella presso alla mattina Forse a memoria de' suoi primi guai. » Tanto l'antichi dell'usignuolo leopardiano, quanto il primi della rondine dantesca spirano una certa misteriosa tristezza. E d'ira e di pietà, ec. Intendi: «<e lamentare quel giorno, che parve oscurarsi per ira e pietà dell' orrido misfatto comAnche più patetico del virgiliano (Sol) caput obscura nitidum ferrugine texit. Georg., 1, 467. » Mestica.

messo. »

v. 77-80. « Il poeta si riscuote, mandando come un grido di dolore. Ahi! ahi! Finora tutte quelle cose belle l'hanno tratto tanto a loro, da fargli sentire men forte il suo dolore... Ma in questo punto la dolcezza finisce quelle visioni spariscono, sparisce quel passato che era tornato

Il gener tuo; quelle tue varie note
Dolor non forma, e te di colpa ignudo,
Men caro assai la bruna valle asconde.
Ahi ahi, poscia che vote

Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono
Per l'atre nubi e le montagne errando,
Gl' iniqui petti e gl' innocenti a paro

In freddo orror dissolve; e poi ch' estrano
Il suol nativo, e di sua prole ignaro

Le meste anime educa;

Tu le cure infelici e i fati indegni
Tu de' mortali ascolta,

Vaga natura, e la favilla antica

Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,

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a rivivere un momento nel canto del poeta, e rimane innanzi agli occhi di lui solo il presente, che è la natura senza vita, la primavera co' suoi fiori, ma senza ciò che faceva veramente la festa. » Zumbini. non cognato, ec. Intendi: « il tuo genere non è consanguineo (cognatus) col nostro tu non sei mai stato donna. » Ovid., Met., I, 81: tellus.... cognati retinebat semina cæli. quelle tue varie note, ec. Non è il dolore che forma (profferisce) que' tuoi canti svariati. Quint. I, 12, ha verba formare. Tasso, Ger. Lib., XX, 100: « Vorrian formar, nè pon formar parole. di colpa ignudo, Men caro assai, ec. Intendi: << quantunque ora, sapendoti fin dall' origine uccello, tu ci apparisca innocente d'ogni colpa, pure, anzi perciò appunto, ci sei meno caro. » La colpa di Progne è attribuita qui a Filomela, come istigatrice della sorella.

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v. 81-87. Ahi ahi, ec. Qui l'autore allarga il concetto già accennato, e lo estende a tutti gli dèi della mitologia greca, che son morti per sempre. vote Son le stanze di Olimpo: la dimora degli dèi che i gentili ponevano sul monte Olimpo è vota: gli dèi greci son morti. cieco il tuono, ec. Intendi: « dappoichè il tuono non più, come si credeva una volta, è diretto da Giove contro i colpevoli, ma va ciecamente errando fra le nubi e i monti, e spaventa ugualmente i malvagi ed i buoni, ec. »> Virg., En., IV, 108 e seg.: cacique in nubibus ignes Terrificant animos et inania murmura miscent. In freddo orror dissolve, agghiaccia e tramortisce per lo spavento. Virg., Georg., I, v. 330, dice che allo scoppio del fulmine mortalia corda Per gentes humilis stravit pavor. estrano, ec. poichè il suol natio, la terra, alimenta le meste anime degli uomini, restando estranea ad esse e di esse inconsapevole, » ossia: « poichè la natura non partecipa ai sentimenti degli uomini. » di sua prole ignaro. Ovidio, Met., II, 496: Ecce Licaonice proles ignara parentis. · educa, alimenta. Cfr. Ovid, Pent., 10, 9: Quod mare, quod tellus.... quod educat aer. v. 88-95. Tu, ec. Morti gli dèi mitologici, resta pur la Natura: ed il poeta le rivolge un'ultima preghiera affinchè, se essa vive, diventi pietosa agli uomini e in lui riaccenda l'antica speranza. le cure infelici, le occupazioni che non appagano, che non consolano, e i fati indegni, le sventure. ascolta; cioè, poni mente ad esse, prendine cura. se tu pur vivi, ec. Terribile dubbio! l'angoscioso animo del poeta si sente solo in tutto l'universo, e non sa se o in cielo, o in terra, o in

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