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Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto:
Che la illibata, la candida imago
Turbare egli temea pinta nel seno,
Come all'aure si turba onda di lago.

E quel di non aver goduto appieno
Pentimento, che l'anima ci grava,
E il piacer che passò cangia in veleno,
Per li fuggiti dì mi stimolava
Tuttora il sen: che la vergogna il duro
Suo morso in questo cor già non oprava.

Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro
Che voglia non m'entrò bassa nel petto,
Ch' arsi di foco intaminato e puro.

Vive quel foco ancor, vive l'affetto,
Spira nel pensier mio la bella imago,
Da cui, se non celeste, altro diletto

Giammai non ebbi, e sol di lei m'appago.

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a riscontrarsi, benchè il Castagnola e il Mestica sembrino riferirli all'occhio. Nel canto a Silvia vedremo gli occhi tuoi ridenti e fuggitivi. » all'aure, ai venticelli.

v. 91-96. E quel di non aver, ec. Intendi: «e quel pentimento di non aver goduto pienamente, che ci grava l'anima e ci avvelena il piacere, mi stimolava tuttora il cuore a causa de' giorni passati così rapidamente.» Vuol dire che si pentiva di non avere cercato più spesso la compagnia dell' amata donna: non si pentiva per alcun atto vergognoso, giacchè il suo amore fu sempre innocente, come tosto asserisce.

v. 97-103. gentili anime, anime nobili, di alti sentimenti. « Amore e cor gentil sono una cosa. » Dante. intaminato, incontaminato. Latinismo. Orazio, Od., II, 2: Intaminatis fulget honoribus. Vive quel foco ancor, ec. Cfr. Orazio, Od., IV, 9: spirat adhuc amor, vivuntque.... calores. - e sol di lei m'appago. Cfr. Petr., I, son. 14: « I' non curo altro ben, nè bramo altr'esca: » e I, Canz. 1: « d'altra vista non mi appago. »

Questa poesia di carattere e di metro elegiaco, ebbe origine da una forte passione che nel 1816 concepì il Leopardi per una cugina di suo padre, Geltrude Cassi, sorella del traduttore di Lucano. Era essa venuta in casa Leopardi nel dicembre di quell'anno, e vi si trattenne una quindicina di giorni. Nel passeggiare per Recanati l'accompagnava sovente l'Adelaide Antici, madre di Giacomo, insieme coi figli. Dell'amore di Giacomo per lei essa non si avvide, come sembra, o certo non gli corrispose. Egli sfogò il suo ardente affetto (oltrechè in una prosa non mai pubblicata) in questa elegia (scritta o nel 1816 o più probabilmente nel 1817), e in un'altra che compose pel ritorno della Cassi a Recanati nel medesimo anno e che insieme alla prima pubblicò nel volumetto Versi del conte G. L., Bologna, 1826. Di questa seconda ristampò solo un piccolo frammento che fra le sue poesie tiene il num. 38. Vedi Mestica, Gli amori di G. L. nel Fanfulla della domenica, 4 aprile 1880, e Chiarini, Ombre e figure, Roma, 1883, pag. 246 e seg. Quest'elegia non manca di parecchi difetti di stile consistenti in espressioni o ridondanti, o poco

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X (XI).

IL PASSERO SOLITARIO.

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SOMMARIO: Mentre gli altri uccelli gioiscono della primavera, tu, o passero solitario, te ne stai solo in cima d'una torre a cantare (1-16) Io pure, mentre tutto il paese è in gioia e sollazzo, me ne vo pensoso in campagna, nè godo la gioventù (17-44) · Ma ahimè! tu fai quello che il tuo istinto ti impone, e non avrai a pentirti. Io, se invecchierò, rimpiangerò indarno il tempo perduto (45-59).

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D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno

Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:

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appropriate, od oscure, ma è così calda di affetto vero e sentito, ed ha qua e là tali bellezze, da potersi considerare, tutto insieme, come una delle poche elegie italiane degne di paragonarsi con quelle di Catullo e Tibullo.

A questo suo primo amore allude certamente il Leopardi nell' Idillio La vita solitaria, v. 43 e seg., e quei versi possono servire di commento ad alcuni passi della presente Elegia.

v. 1-11. della torre antica. & Quel passero solitario stava su la torre, o campanile di una delle chiese di Recanati, la chiesa di Sant' Agostino.» Mestica. - Passero solitario. « Spezie di uccello assai più grosso delle passere comuni; e che ha un canto assai piacevole. Chiamasì così perchè non va mai in branco. » Sesler. Anche il Petrarca, come nota il Mestica, si rassomiglia a questo volatile, P. I, son. 171: « Passer mai solitario in alcun tetto Non fu quant' io, nè fera in alcun bosco. » alla campagna, è termine di cantando. Nota il Mestica che la torre suddetta si leva su nel lato posteriore del fabbricato, già convento degli Agostiniani, verso il di fuori della città, che propriamente non è cinta di mura, a ponente: domina la Marca occidentale e, più da vicino, la valle sottoposta, ec.» Vedi Mestica, Verismo, ec. citato. - non more il giorno, nota frase dantesca (Purg., c. VIII). — Brilla nell' aria, ec., cioè fa serena l'aria e fioriti i campi.esulta, salta per allegrezza. Ricorda que' bellissimi versi di Lucrezio rident æquora ponti, Placatumque nitet diffuso lumine cœlum (De rer. nat., I, 8-9). — armenti, di buoi. il lor tempo migliore, la primavera, la stagione degli amori. Vedi nelle Prose

Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,

Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi

Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia

Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,

E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;

Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,

Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa

La gioventù del loco

Lascia le case, e per le vie si spande;

E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.

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del Leopardi l' Elogio degli uccelli, che mostra quanto egli fosse sensibile alla poesia che ispirano questi graziosi animali.

v. 12-16. Tu pensoso: bel contrapposto alla gioia precedentemente descritta ! non voli. Il Mestica lo crede verbo: io lo direi nome, retto anch'esso dal sottinteso cerchi « non vuoi sapere nè di compagni, nè di voli. » Non ti cal, non ti preme, non ti curi. Canti, posto così enfaticamente vale « ti contenti di cantare, canti soltanto. »

v. 19-26. Della novella età dolce famiglia, compagni della gioventù. La novella età è di Dante in più luoghi (vedi Par., XVII, v. 80); dolce famiglia è preso dal Petrarca nel son. « Zefiro torna, ec. >> << E i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia. » »german di giovinezza, quasi nato a un parto colla giovinezza: inseparabile da essa.- strano, estraneo. Passo del viver mio la primavera, cioè, la gioventù. Nota la rima in mezzo al verso.

v. 27-35. omai cede alla sera. Ricorda quel di Dante (Inf., 26): « Quando la mosca cede alla zanzara. » — Festeggiar si costuma. « La festa descritta.... è quella di San Vito, protettore di Recanati, la quale ricorre il 15 giugno, cioè a primavera avanzata. » Mestica. al nostro borgo, Recanati chiamato così, per un certo dispregio, dal Leopardi, non qui soltanto, ma anche nelle Ricordanze, v. 30 e 51. di ferree canne, d'archibugi sparati in segno d'allegria. E mira ed è mirata, Ovidio, Art. Am., I, 99, dice delle donne che vanno alle feste: Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsæ.

LEOPARDI.

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Io solitario in questa

Rimota parte alla campagna uscendo,

Ogni diletto e gioco

Indugio in altro tempo: e intanto il guardo

Steso nell' aria aprica

Mi fere il Sol che tra lontani monti,

Dopo il giorno sereno,

Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume

Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.

A me, se di vecchiezza

La detestata soglia

Evitar non impetro,

Quando muti questi occhi all' altrui core,

E lor fia voto il mondo, e il dì futuro

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v. 36-44. Io solitario, ec. Altro bel contrapposto simile al precedente. in questa Rimota parte. « Uscendo dalla città per la Porta di Monte Morello, la più vicina al palazzo Leopardi, Giacomo, quando facea la passeggiata a ponente, solea recarsi per un piccolo sentiero al colle detto popolarmente Monte Tabor, che signoreggia.... la valle sottoposta, ec. e donde si scopre benissimo il campanile suddetto. » Mestica.

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Ogni diletto, ec Indugio in altro tempo. « Rimetto il divertimento da un tempo all'altro, dico sempre: mi divertirò un'altra volta. » Cosa naturale in certa tempra di giovani invecchiati anzi tempo, questo rifletter troppo sui divertimenti da prendersi, e quindi non farne poi nulla. Orazio (Art. poet.) dice del vecchio dilator, spe longus, iners. - e intanto, ec. Intendi: e intanto, invece di divertirmi, medito sulla fugacità della gioventù. » - aprica. luminosa, splendente. e par che dica, ec. Par che ricordi il rapido terminare della gioventù. Vedi le Ricordanze, v. 119 e segg. v. 45-49. venuto a sera Del viver, all' ultima parte della vita, alla tua vecchiezza. Petr., II, son. 34: E compiè mia giornata innanzi sera. » le stelle, i destini. « E detto secondo gli antichi, che attribuivano alle stelle influssi benigni o malefici sui viventi. » Sesler. - Costume, usanza, modo di fare. vaghezza, voglia, istinto.« Il Petrarca dice che la farfalla suole Volar negli occhi altrui per sua vaghezza (son. Come talora). Mestica.

«

v. 50-59. A me, ec. Altro contrapposto fra l'autore e il passero. La detestata soglia, ec. Traslato omerico (Iliade, XXIV, 487): ỏλoğ ἐπὶ γήραος οὐδῷ. Evitar non impetro, ec. «Se non otterrò, come desidero e prego, di morire prima d'invecchiare. » - Quando muti questi occhi, ec. Terribili versi, pieni d'un angoscioso sentimento di solitudine.muti questi occhi, ec., non parleranno più al cuore altrui, perchè spenti dalla vecchiezza. E lor fia voto il mondo: ed essi, alla lor volta, non troveranno più cosa che li alletti. e il dì futuro, ec. « e

Del dì presente più noioso e tetro,

Che parrà di tal voglia?

Che di quest'anni miei? che di me stesso ?
Ahi pentirommi, e spesso,

Ma sconsolato, volgerommi indietro.

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XI (XII).

L'INFINITO.

SOMMARIO: Il confronto di questo luogo chiuso col vasto orizzonte che gli sta innanzi, e dello strepito di questi alberi, col silenzio circostante, mi fa immaginare l'infinito, ed in esso mi scordo di me stesso e della vita.

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Sempre caro mi fu quest' ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte
Dell' ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati

avranno l'aspettativa di anni anche più miseri e dolorosi. » Cfr. Petr., P. I, son. 186: « Il mal mi preme, e mi spaventa il peggio. Che parrà di tal voglia? Si riferisce al precedente A me. Intendi: «Che giudizio porterò allora di questo mio segregarmi dal mondo ? volgerommi indietro; ripenserò al passato. Petr., P. I, son. 11: « Io mi rivolgo indietro a ciascun passo Col corpo stanco. »

« Questo Canto è uno degl' Idilli del 1819, ma recato a compimento posteriormente, come si arguisce anche dal metro e dallo stile, e pubblicato la prima volta nell'edizione napoletana del 1835. » Mestica. Da questo Idillio, stando all'ordine con cui l'autore ha collocato i suoi Canti, comincia quella purezza e semplicità di stile che fu pregio invidiabile del Leopardi, e che nei canti fin qui portati erano di quando in quando offuscate da un po' di nebbia rettorica. Belle le tre antitesi su cui si fonda il pensiero principale, e stupende, per delicatezza di colorito, le descrizioni della primavera, dell' allegria degli uccelli, e soprattutto della festa di Recanati. Il Mestica paragona questo Canto a quello dello Shelley, intitolato Ad una allodola. Vedi il suo Manuale della lett. ital. del sec. XIX, Firenze, Barbèra, 1885, vol. II, P. I, pag. 81.

v. 1-3. Sempre caro mi fu quest'ermo colle. « Uscendo dalla città per la Porta di Monte Morello, la più vicina al palazzo Leopardi, Giacomo, quando facea la passeggiata a ponente, solea recarsi per un piccolo sentiero al colle detto popolarmente Monte Tabor che signoreggia.... la valle sottoposta e tutta la Marca occidentale fino agli Appennini.... A' tempi del poeta.... era veramente ermo (romito), folto di alberi e irto di sterpi a maniera di siepi. » Mestica. che da tanta parte, ec. Costruisci: esclude il guardo da tanta parte (cioè, da una parte così estesa) del più lontano orizzonte. - esclude, cioè, serra fuori, separa, impedisce. v. 4-8. Ma, ec. Contrasta col precedente esclude. Intendi: «

«

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che

È vero

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