Sayfadaki görseller
PDF
ePub

L'orme intricate e false, e dai covili
Error vario lo svia; salve, o benigna
Delle notti reina. Infesto scende

Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
A deserti edifici, in su l'acciaro
Del pallido ladron ch' a teso orecchio
Il fragor delle rote e de' cavalli
Da lungi osserva o il calpestio de' piedi
Su la tacita via; poscia improvviso
Col suon dell' armi e con la rauca voce
E col funereo ceffo il core agghiaccia
Al passegger, cui semivivo e nudo

Lascia in breve tra' sassi. Infesto occorre
Per le contrade cittadine il bianco
Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
Va radendo le mura e la secreta
Ombra seguendo, e resta, e si spaura
Delle ardenti lucerne e degli aperti
Balconi. Infesto alle malvage menti,
A me sempre benigno il tuo cospetto
Sarà per queste piagge, ove non altro
Che lieti colli e spaziosi campi

M'apri alla vista. Ed ancor io soleva,
Bench' innocente io fossi, il tuo vezzoso
Raggio accusar negli abitati lochi,

[ocr errors]

-

[blocks in formation]

non abitano. » dai covili, cioè, delle lepri. Delle notti reina. Così nell' ode greca : Σὺ γὰρ οὐρανοῦ κρατοῦσα, Ἡσυχοῦ τε νυκτὸς ἀρχὴν Μελάνων τ' ἔχεις ὀνείρων. Del pallido ladron, ec. Nella citata ode greca dice pure Τρομέουσι μέν σε κλέπται. Cfr. 1' Idillio 8 di Mosco, tradotto dal Leopardi stesso: << Al passeggier pacifico Che viaggia in notte placida Non tendo occulte insidie, Non a rubare io vo. »

Osserva, nel senso latino di observat, cioè « spia, apposta. » — col funereo ceffo, col ceffo che annunzia morte (da funus): epiteto maraviglioso! Ovidio, Ib., 225: Sedit in adverso nocturnus culmine bubo Funereoque graves edidit ore sonos.

V. 85-91. Infesto occorre, ec. al drudo vil. Anche il Parini, La notte, V. 20 e seg. descrive il « sospettoso adultero che lento Col cappel su le ciglia e tutto avvolto Nel mantel se ne gia con l'armi ascose, ec. » Bene scelto l'epiteto di vil, perchè reo di macchiare la fedeltà coniugale, e quindi pieno di rimorso e di paura. alberghi, case. alle malvage menti, a chi pensa di far del male.

-

v. 95-107. Bench'innocente, ec. In contrapposto al ladrone e al drudo che temono la luna, perchè rei. il tuo vezzoso Raggio accusar, ec. È preso dal Foscolo, Sepolcri, v. 84 e seg. « E l'immonda (upupa) accusar col luttuoso Singulto i rai, di che son pie le stelle Alle obbliate sepolnegli abitati lochi, nelle città, e precisamente a Recanati..

ture. »

[ocr errors]

Quand' ei m'offriva al guardo umano, e quando
Scopriva umani aspetti al guardo mio.
Or sempre loderollo, o ch' io ti miri
Veleggiar tra le nubi, o che serena
Dominatrice dell' etereo campo,
Questa flebil riguardi umana sede.
Me spesso rivedrai solingo e muto
Errar pe' boschi e per le verdi rive,
O seder sovra l'erbe, assai contento
Se core e lena a sospirar m'avanza.

100

105

XIII (XIX).

AL CONTE CARLO PEPOLI.

SOMMARIO: Ozio è l' umana vita, anche se occupata dalla necessità di lavorare, ma, senza di questa, tale ozio riesce più insopportabile perchè accompagnato dalla noia (v. 1-62) — Si annoia chi vive nei piaceri, chi viaggia, chi tormenta il prossimo (63-99) - Tu, o Pepoli, coltivi la poesia che ti auguro possa mantenerti le beate illusioni. Io già le sento mancare, e quando tutte le avrò perdute, mi sarà unico conforto indagare le ragioni delle cose, conoscere a fondo la trista verità. Nè m'importa se altri me ne biasimerà, giacchè nulla pregio la gloria (100-158).

METRICA. Endecasillabi sciolti.

Questo affannoso e travagliato sonno
Che noi vita nomiam, come sopporti,

Quand' ei m'offriva, ec. Il Leopardi fin da giovinetto fuggiva la gente
e si vergognava d'esser visto. Veleggiar, ec., navigare. Quando le nubi
col loro moto coprono e discoprono la luna, pare a chi guarda che cam-
mini essa velocemente. Giuseppe Bazzoni nella nota sua Ode per la creduta
morte di Silvio Pellico, dice alla luna: « Come una vela candida Navighi
il firmamento. » - Dominatrice, ec. Stupendo verso, che ritrae una fer-
mezza e stabilità tutta opposta al veleggiare del v. 101. - Me spesso, ec.
In coerenza con quanto ha detto, il poeta conclude: « Mi aggirerò spesso
in campagna al chiaro di luna. »
assai contento, ec. « Bastandomi di
potere, in mezzo a' miei dolori, sfogarmi in sospiri,» perchè « il sospirare
e il piangere alleviano il dolore. » Così nel Risorgimento « Chi mi ri-
dona il piangere Dopo cotanto oblio? »

Questo Canto, che il Mestica assegna al 1819, è un idillio, e insieme un' elegia, piena di vaghe e affettuose immagini; la giocondità del mattino in campagna, la quiete del meriggio, la passeggiata notturna al lume della luna, e l'assassino e il drudo che cercano l'oscurità. È poi tale l'evidenza e la semplicità dello stile, tale la fluidità e franchezza del verso sciolto, che ben si vede quanto il Leopardi nel magistero dello scrivere emulasse i classici, pur tenendosi lontano dalla troppo scoperta loro imitazione. v. 1-7. affannoso e travagliato sonno. Nel dialogo di Ruysch e delle

Pepoli mio? di che speranze il core
Vai sostentando? in che pensieri, in quanto
O gioconde o moleste opre dispensi
L'ozio che ti lasciàr gli avi remoti,
Grave retaggio e faticoso? E tutta,
In ogni umano stato, ozio la vita,

Se quell' oprar, quel procurar che a degno
Obbietto non intende, o che all'intento
Giunger mai non potria, ben si conviene
Ozioso nomar. La schiera industre

Cui franger glebe o curar piante e greggi
Vede l'alba tranquilla e vede il vespro,
Se oziosa dirai, da che sua vita

È per campar la vita, e per se sola

La vita all'uom non ha pregio nessuno,
Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni

Tragge in ozio il nocchiero; ozio il perenne

«

5

10

15

sue mummie, queste cantano e qual di paurosa larva E di sudato sogno, A lattante fanciullo era nell'alma Confusa ricordanza: Tal memoria n'avanza Del viver nostro. » - Che noi vita nomiam. Petr., I, son. 161: << Di questa morte che si chiama vita. di che speranze.... Vai sostentando. Dante, Inf., c. VIII: « lo spirito lasso Conforta e ciba di speranza buona. > - L'ozio che ti lasciàr, ec., cioè, l'agiatezza, i mezzi per viver comodamente senza lavorare. · Grave retaggio e faticoso. Chiama grave e faticoso l'ozio, ossia il viver d'entrate, che toglie la necessità di occuparsi e così passare men male il tempo. Su questo concetto si fonda tutta l'epistola.

«

v. 7-12. E tutta, ec. Generalizza il concetto precedente. Intendi : Nè è soltanto ozio il non occuparsi, ma tutta la vita umana, in qualunque stato, è ozio. » Se quell' oprar, ec. Argomenta così: lo sforzarsi per un obietto non corrispondente alla fatica, oppur tale che non si possa conseguire, è ozio, cioè tempo perso: ma nel mondo (e lo mostrerò in appresso) tutti sono in queste condizioni: dunque la vita è un ozio. >> - procurar ha qui senso assoluto di dare opera, darsi da fare. »

v. 12-26. La schiera industre, ec. Bella perifrasi per indicare gli agricoltori e i pastori. l'alba tranquilla, ec, e il vespro (la sera) sono i soggetti di vede franger glebe. Ricorda quel di Virg., Georg,, II, 513 e seg.: Agricola incurvo terram dimovit aratro. Hinc anni labor, ec. Se oziosa dirai, da che, ec. Intendi: «Se chiamerai oziosa la vita del contadino, perchè ad altro egli non mira che a conservar la vita, cioè una cosa di nessun pregio, dirai bene. » sua vita Eper campar la vita, ec. Ricorda quel detto latino: Propter vitam vivendi perdere caussas; cioè, << tribolarsi talmente per vivere, da perdere le cagioni per cui è dolce la vita. » - per se sola.... non ha pregio nessuno, ec.. cioè « se non serve a qualche altra cosa, se è un ozio.» Cfr. la finale del Canto A un vincitore nel pallone. << Nostra vita a che val? solo a spregiarla, ec. » La sentenza del Leopardi in sè è vera, ma applicata male. Se la vita si spende per migliorar sè stesso ed altri, essa non è davvero da spregiarsi. Vedi il discorso preliminare. Tragge in ozio. Come nota anche

Sudar nelle officine, ozio le vegghie
Son de' guerrieri e il perigliar nell'armi;
E il mercatante avaro in ozio vive:
Che non a se, non ad altrui, la bella
Felicità, cui solo agogna e cerca
La natura mortal, veruno acquista
Per cura o per sudor, vegghia o periglio.
Pur all' aspro desire onde i mortali

Già sempre infin dal 'dì che il mondo nacque
D'esser beati sospiraro indarno,

Di medicina in loco apparecchiate
Nella vita infelice avea natura
Necessità diverse, a cui non senza
Opra e pensier si provvedesse, e pieno,
Poi che lieto non può, corresse il giorno
All' umana famiglia; onde agitato
E confuso il desio, men loco avesse
Al travagliarne il cor. Così de' bruti
La progenie infinita, a cui pur solo,
Nè men vano che a noi, vive nel petto
Desio d'esser beati; a quello intenta

[blocks in formation]

il Cappelletti, qui il Leopardi dee aver avuto in mente quell'Ode d' Orazio (II, 16) che comincia: Otium divos rogat, ec. quantunque il senso della parola ozio sia ben differente ne' due poeti. le vegghie.... de' guerrieri, le ore passate in sentinella; dal lat. vigiliæ. avaro, avido; come spesso in latino e in italiano. Virg., Georg., I, 47: seges.... votis respondet avari Agricola. · Che non a se, ec. Costr.: « Chè veruno, per cura o per sudor, ec. non acquista a sè, nè ad altrui la bella felicità cui la natura umana agogna e cerca.» Vuol dire che non conseguendosi in nissuna maniera di vita la felicità, qualunque tenor di vita è un oziare. Argomento, invero, che zoppica. · a se,.... ad altrui, per sè, ec. Dativo detto di comodo. · la bella Felicità, cui solo, ec. Dante (Purg., XXVII) la chiamò Lo dolce pomo che per tanti rami Cercando va la cura de'mortali. »

«

v. 27-43. Pur all'aspro, ec. Costr.: Pure la natura, in luogo di medicina, avea preparate all' aspro desire, ec. diverse necessità, ec. » Intendi: La natura, non potendo far gli uomini felici, li costrinse almeno, perchè non morisser di noia, a stare occupati nel provvedere alle necessità della vita. » Cfr. quello che dice l'autore nella Storia del genere umano, riportata fra le Prose scelte di G. L. -esser beati. Così nel dial. di Ruysch, ec.: << esser beato Nega a' mortali e nega a' morti il fato. » Necessità diverse. Virg., Georg., 1, 146: duris urgens in rebus egestas. pieno, occupato, opposto di vuoto per disoccupato, senza utilità alcuna. Vedi più sotto, al v. 54. La progenie, il genere, o, come disse Lucrezio, genus omne animantum. — Nè men vano che a noi, ec. Vuol dire che anche i bruti anelano la felicità, ma non la trovano neppure essi intiera, quella pure di cui sono capaci.

Che a lor vita è mestier, di noi men tristo
Condur si scopre e men gravoso il tempo,
Nè la lentezza accagionar dell' ore.

Ma noi, che il viver nostro all' altrui mano
Provveder commettiamo, una più grave
Necessità, cui provveder non puote
Altri che noi, già senza tedio e pena
Non adempiam: necessitate, io dico,
Di consumar la vita: improba, invitta
Necessità, cui non tesoro accolto,
Non di greggi dovizia, o pingui campi,
Non aula puote e non purpureo manto
Sottrar l'umana prole. Or s' altri, a sdegno
I voti anni prendendo, e la superna
Luce odiando, l'omicida mano,

I tardi fati a prevenir condotto,

In se stesso non torce; al duro morso
Della brama insanabile che invano
Felicità richiede, esso da tutti

45

50

55

di noi men tristo, ec. In molti luoghi il Leopardi invidia la sorte degli animali. Vedi, fra gli altri, Il Passero solitario, e il Canto notturno d'un pastore, ec. Anche Lucrezio nel suo poema, e Plutarco nel Grillo, toccano di questo tema. Condur si scopre, ec. Si vede, si conosce che conduNè la lentezza accagionar, ec. Cfr. il Canto V in fine.

cono.

v. 44-62. Ma noi, ec. In contrapposizione a quel che fan gli animali. - il viver nostro, ec. Costr.: « Commettiamo alla mano altrui di provvedere al viver nostro;» cioè, ci facciamo servire e fornire il bisognevole da mercanti, servi, ec. Noi. Qui non va riferito a tutti gli uomini, ma a quelli agiati e di comoda condizione. Cfr. i primi versi di questo Canto. una più grave Necessità oggetto di adempiam. Vuol dire non provvediamo senza tedio e pena ad una necessità più grave, che è quella di consumar la vita, cioè, passare il tempo o, come dicono i Francesi, tuer le temps. » Ma che brutta cosa diventa per il povero Leopardi quel tempo che pure tutti gli antichi dissero un tesoro incomparabile! improba, ostinata. Virg., Georg., I, 145: labor improbus. non tesoro accolto, ec. Cfr. Tib., Eleg. I, 1: Divitias alius fulvo sibi congerat auro Et teneat culti iugera multa soli. Non aula, ec. Anche questo passo ricorda la cit. Ode d'Orazio: Non enim gazæ neque consularis Summovet lictor miseros tumultus Mentis et curas laquenta circum Tecta volantes. Or s'altri regge il non torce del v. 57. I voti anni, gli anni oziosi. Vedi sopra. la superna Luce odiando. È preso da Virgilio, En., VI, 435: lucemque perosi Proiecere animas. Vedi anche VI, 451: tædet cæli convexa tueri. l'omicida mano.... non torce, non si uccide. Anche i latini diceano, in questo senso, inferre sibi manus. I tardi fati a prevenir, ad affrettar la morte che vien troppo tardi. Cfr. Orazio, Od., III, 11: sera fata. al duro morso è termine indiretto di medicine del v. 61. Morso vale qui, puntura, stimolo. insanabile, irrimediabile.

[ocr errors]
[ocr errors]

« ÖncekiDevam »