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Tonare i monti e rintronar s'udiva
Or l'illirica spiaggia ed or la sarda.
Nè già, come al presente, era festiva
La veneta pianura e la lombarda,
Nè tanti laghi allor, nè con sua riva
Il Lario l'abbellia nè quel di Garda;
Nuda era e senza amenità nessuna,
E per lave indurate orrida e bruna.

Sovra i colli ove Roma oggi dimora
Solitario pascea qualche destriero,
Errando al Sol tersissimo che indora
Quel loco al mondo sopra tutti altero.
Non conduceva ancor l'ardita prora
Per le fauci scillee smorto nocchiero,
Che di Calabria per terrestre via
Nel suol trinacrio il passegger venia.
Dall'altra parte aggiunto al gaditano
Era il lido ove poi Cartago nacque :
E già si discoprian di mano in mano
Fenicii legni qua e là per

ין

acque.

Anche apparía di fuor su l'oceano
Quella che poi sommersa entro vi giacque,
Atlantide chiamata, immensa terra,

Di cui leggera fama or parla ed erra.1

Per ogni dove andar bestie giganti
O posar si vedean su la verdura,
Maggiori assai degl' indici elefanti
E di qual bestia enorme è di statura.
Parean dall'alto collinette erranti
O sorgenti di mezzo alla pianura.
Di sì fatti animai son le semente,
Come sapete, da gran tempo spente.

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Trovarono finalmente un mare sconfinato, e in mezzo alla nebbia un'isola piena di rupi e voragini, in cui urtavano con violenza le onde, impedendo a qualsiasi le

1 Di quest' isola favolosa vedi le Prose scelte di G. Leopordi da me annotate, pag. 3, nota 2. (Firenze, Barbèra.)

E veramente cosa stupenda questa descrizione della terra nei tempi preistorici.

gno d'accostarsi. Ivi sorgeva una montagna nera ed altissima, piena di fori di diversa grandezza, per ognuno de' quali un singolo genere di anime de' bruti entrava nel suo proprio inferno.

C. VIII. Trovato il foro de' topi, Dedalo intromise il suo ospite, ed egli si postò fuori ad aspettarlo.

Son laggiù nel profondo immense file
Di seggi ove non può lima o scarpello.
Seggono i morti in ciaschedun sedile
Con le mani appoggiate a un bastoncello,
Confusi insiem l'ignobile e il gentile
Come di mano in man gli ebbe l'avello.
Poi ch'una fila è piena, immantinente
Da più novi occupata è la seguente.

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Guardò il conte le anime de' topi, e dopo molto errare cogli occhi, riconobbe a fatica Mangiaprosciutti, Rubatocchi ed altri suoi amici.

Narrato ch' ebbe alla distesa il tutto,
La tregua, il novo prence e lo statuto,
Il brutto inganno de' nemici e il brutto
Galoppar dell' esercito barbuto,1
Addimandò se la vergogna e il lutto
Ove il popol de' topi era caduto
Sgombro sarebbe per la man de' molti
Collegati da lui testè raccolti.

Non è l'estinto un animal risivo,
Anzi negata gli è per legge eterna
La virtù per la quale è dato al vivo
Che una sciocchezza insolita discerna
Sfogar con un sonoro e convulsivo
Atto un prurito della parte interna.
Però del conte la dimanda udita,
Non risero i passati all'altra vita.

Ma primamente allor su per la notte
Perpetua si diffuse un suon giocondo,
Che di secolo in secolo alle grotte
Più remote pervenne insino al fondo.

1 Cioè, la fuga dei Carbonari napoletani.

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I destini tremàr non forse rotte

Fosser le leggi imposte all' altro mondo,
E non potente l'accigliato Eliso,1
Udito il conte, a ritenere il riso.

Il conte, ancor che la paura avesse
De' suoi pensieri il principal governo,
Visto poco mancar che non ridesse
Di se l'antico tempo ed il moderno,
E tutto per tener le non concesse
Risa sudando travagliar l'inferno,
Arrossito saria, se col rossore

Mostrasse il topo il vergognar di fuore.

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Confuso e smarrito chiese loro a qual partito dovessero appigliarsi i topi per risarcire la loro ignominia. Le ombre gli dissero che cercasse di penetrare in Topaia, e seguisse quello che gli verrebbe detto « dal general di nome Assaggiatore.2 »

Era questi un guerrier canuto e prode
Che per senno e virtù pregiato e culto
D'un vano perigliar la vana lode
Fuggia, vivendo a più potere occulto,
Trattar le ciance come cose sode
A gente di cervel non bene adulto
Lasciando, e sotto non superbo tetto
Schifando del servaggio il grave aspetto.

Infermo egli a giacer s'era trovato

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Quando il granchio alle spalle ebbero i suoi,

Chiusi sempre gli orecchi avea di poi.
Onde cattivo cittadin chiamato

Ed a congiure sceniche invitato

Era talor dai fuggitivi eroi,

Ed ei tranquillo in sua virtù, la poco
Saggia natura altrui prendeva in gioco.

1 Cioè, le anime dei topi che sedeano in attitudine di gran serietà. Il Cassara, op. cit., crede che in questo Assaggiatore, simbolo e tipo dell'assennatezza e del valore militare,» sia raffigurato il generale Pietro Colletta, che « non più fidando negli eroi fuggitivi, intendeva a tutt' uomo a lasciare un monumento, che lo tramandasse alla lontana posterità, la Storia del Reame di Napoli. » Vedi pag. 646. Il Colletta fu grande amico di G. Leopardi.

Uscito dall' inferno il conte, ritrova Dedalo e con lui riposatosi alquanto, ripiglia il volo.

Riviver parve al semivivo, escito
Che fu dal buio a riveder le stelle.
Era notte e splendean per l'infinito
Ocean le volubili facelle,

Leggermente quel mar che non ha lito
Sferzavan l'aure fuggitive e snelle,

E s'andava a quel suono accompagnando
Il rombo che color facean volando.

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Giunti sopra Topaia, il conte potè avere una pelle di granchio di cui si rivestì per non essere dai nemici conosciuto, e ringraziato e abbracciato l'ospite, entrò in città e si abboccò col generale Assaggiatore. Questi non volle sentire parlare nè di trame, nè di civili imprese: ma finalmente, stimolato da lui e da molti altri (41),

ragionò tra lor nella maniera

Che di qui recitar creduto io m'era.

Disgraziatamente tutti i codici conosciuti che contengono la leggenda dei topi, consultati o fatti consultare dall'autore, troncano qui il racconto.

Voi, leggitori miei, l'involontario
Mancamento imputar non mi dovete.
Se mai perfetto in qualche leggendario
Troverò quel che in parte inteso avete,
Al narrato dinanzi un corollario
Aggiungerò, se ancor legger vorrete.
Paghi del buon desio restate intanto,
E finiscasi qui l'ottavo canto.

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Secondo il Cassara, op. cit., pag. 665, questo indossare che fa il Carrascosa la pelle di granchio (cioè la divisa tedesca) sarebbe una satira della poca stabilità e della connivenza cogli stranieri, ch'egli talvolta mostrò.

FINE.

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III. Ad Angelo Mai, quand' ebbe trovato i libri di Cice

rone Della Repubblica. .

IV. Nelle nozze della sorella Paolina.

V. A un vincitore nel pallone..

VI (VII). Alla primavera, o delle favole antiche.

VII (VIII). Inno ai Patriarchi, o de' principii del genere

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XIII (XIX). Al conte Carlo Pepoli

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XIV (XXI). A Silvia

99

XV (XXII). Le ricordanze.

103

XVI (XXIII). Canto notturno di un pastore errante del

l'Asia.

111

XVII (XXIV). La quiete dopo la tempesta.

118

XVIII (XXV). Il sabato del villaggio..

121

XIX (XXXI). Sopra il ritratto di una bella donna scolpito

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