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non biasimeranno la nostra buona intenzione. Ed i Forestieri soprattutto

ci

sapranno grado del più bel fiore dell' Italiana Letteratura, che ristretto in pochi Tometti presentiamo loro; non già come uno di que' maldigesti zibaldoni senz' ordine, e senz' accorgimento che soglionsi di ordinario pubblicare sotto diversi titoli speciosi; ma come una cronologica serie di cose generalmente tenute belle, che risparmierà loro l' incomodo di raccorre, e scartabellare un immenso numero di volumi.

PREFAZIONE.

Sulla origine della Lingua Italiana, estratta dalla Storia della Letteratura Italiana del Cav. Ab. GIROLAMO TIRABOSCHI di Bergamo, Bibliotecario di S. A. S. il Duca di Modena, morto nell' anno 1794.

SEMBRA che la lingua italiana sia nata dal corrompersi che fe' la latina per le invasioni de' Barbari e degli stranieri, che inondaron l' Italia. Nondimeno questa opinione ancora soffre una non lieve difficoltà, a cui non so se da alcuno siasi posto mente. Se la lingua italiana è nata dal corrompimento della latina, converrà dire, che questa sia venuta a poco a poco degenerando talmente dalla sua antica purezza, e insalvatichendosi, per così dire, in tal modo, ch' ella siasi finalmente trovata una lingua quasi interamente diversa, come appunto quasi interamente diversa è l' italiana dalla latina. Or chieggo io, quando è mai che un tal cam-biamento è seguito? A qual tempo la lingua latina è divenuta lingua italiana? Se ne suole fissar l'epoca comunemente nel duodecimo secolo; e noi ancora ci atterremo a questo parere. Ma allora, chieggo io di nuovo, era ella la lingua

latina guasta e contrafatta per modo, che si possa credere avvenuto un tal cambiamento? . Leggo le opere scritte a quel secolo di S. Anselmo, di Pier Lombardo, di Graziano e di tanti altri scrittori italiani, e io le trovo ben lungi, è vero, dall' antica eleganza; ma insieme troppo ancora lontane dal potersi dir la lor lingua non più latina ma italiana. Anzi il loro stile è certamente più colto che non quello degli scrittori di tre e di quattro secoli addietro. Come potè dunque allora accadere un tal cambiamento? E perchè anzi non accadde esso. assai prima, quando lo stil, che si usava latinamente scrivendo, era tanto più incolto? Questa difficoltà ci apre, s' io mal non m' appongo, la via a scoprire il vero in questa intralciata quistione, coll' osservare più attentamente in qual maniera seguisse il corrompimento della lingua latina, e col distinguere la diversa maniera, con cui ella si venne alterando nello scrivere e nel parlare. Riprendiamo la cosa da' suoi principj, e spieghiamola quanto più c' è possibile chiaramente.

Già abbiamo osservato, che qualche diversità era ancor tra' Romani trallo scriver de' dotti, e il parlare del volgo. Il volere tra loro introdurre, come alcuni han fatto due lingue diverse, sicchè la latina non s' intendesse sennon da chi apprendevala nelle scuole, è opinione troppo priva di ragionevole fondamento. Ma troppo insieme contraria alla comune sperienza e all' indole popolare sarebbe l'opinione di chi credesse, che fosse interamente la stessa la lin

gua che usavasi singolarmente da Cesare e da Cicerone, e quella con cui parlavano i lor cuochi e i loro cocchieri. Non credo che faccia d' uopo di lungo ragionamento a persuaderlo. Tra gli scrittori ancora del medesimo tempo veggiamo stile diverso, più colto, più soave, più ricercato in alcuni, più rozzo e più trascurato in altri. Or se da alcuni scriveasi men coltamente che non da altri, quanto più incoltamente avrà favellato il popolo ne' famigliari ragionamenti? Il popolo ama comunemente voci e maniere di dire, da cui un colto scrittore si tien lontano; or aggiunge, or toglie lettere alle sillabe e alle parole, usa articoli, segnacasi, avverbj, preposizioni, che dalle leggi di buona lingua si vietano severamente. Ciò che avvien nelle lingue, che or si parlano in Europa, ci può far conoscere ciò che avvenir dovea tra' Romani.

Or ciò presupposto, che dobbiam noi intendere quando udiam dire, che il miscuglio degli stranieri e l'inondazione de' Barbari guastò e corruppe la lingua latina? Noi veggiamo divenir rozzo lo stile degli scrittori; e come non possiamo giudicar dello stato della lingua latina, che dalle opere loro, così di esse intendiamo comunemente di favellare, quando diciamo che quella lingua da' Barbari sofferse danno; e il sofferse certamente non piccolo. Ma esso certamente fu assai maggiore nel parlar popolare, che nello stile de' dotti. Questi aveano pur finalmente innanzi agli occhi le opere de' buoni

scrittori su cui poteano formare il loro stile. Il conversare co' Barbari rendeva, è vero, a lor famigliari le nuove voci, la nuova sintassi, le nuove maniere di dire, che da essi udivano. Ma nondimeno quando prendevano a scrivere, avean agio a riflettere alla scelta delle parole, e ' delle espressioni. Era quasi impossibile che ne' loro scritti non entrasse in qualche parte la barbarie e la rozzezza; e perciò veggiamo quanto essi sian diversi da quei de' secoli precedenti; ma nondimeno, il ripeto, la riflessione, e lo studio gli teneva lontani dal parlare del tutto barbaramente. Quindi è che finchè non furono rare le copie de' buoni libri esemplari di culto stile, si videro scrittori di qualche eleganza. Quando ne fu più scarso il numero, la rozzezza divenne maggiore; ma scriveasi nondimeno latinamente, perchè i libri non mai mancarono in tutto; e quando sorsero alcuni ch' ebbero ed agio maggiore, e più felice ingegno per coltivare gli studj, essi non furono certo eleganti scrittori, ma pure scrissero in un linguaggio, che poteasi dire latino.

Non così la lingua latina che si usava dal popolo ragionando. Il popolo non coltivava gli studj, nè leggeva i buoni scrittori. Parlava quella lingua, che avea ricevuta da' suoi maggiori, e che udiva da' suoi uguali. Finchè Roma e l'Italia non fu abitata che da Romani e da Italiani, la lor lingua non era coltissima, ma pur era lingua veramente latina. Ma dappoichè cominciò ad essere frequentata dagli stranieri, e molto più quando fu inondata da'

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