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Or che farem? fugge l' etate, e langue
Il fior di gioventù,

Pigro verno degli anni al caldo sangue
Spenge la sua virtù.

Nè perchè facci preghiera
Ritardar potrai la schiera

D' ore lievi a par del vento:
Un momento

Ne toglie quel che così 'n pregio fu.
Filli, se nel tuo cuor regna consiglio
Prendi esempio da me;

Del Chianti pampinoso il bel vermiglio
Da disprezzar non è.

Bacco è figlio al gran Tonante;

Figlio è il vino al sol fiammante;

Vuol ragion ch' io prenda a scherno

Il rio verno:

Bacco in sostegno agli amator si diè.

LA VIOLA SIMBOLO D' AMORE.

ANACREONTICA.

ALTRI la Rosa

Vaga amorosa

Loda per lo splendor di sua beltà:

Ma la Viola

Certo che sola

Ricca d' ogni bel pregio ella sen va.

Se languidetta

In su l'erbetta

Le sue pallide foglie all' aura aprì;
Quel suo pallore

Segno è d'un core

Che per piaga amorosa illanguidì.

Orni il suo crine

Di porporine

Rose in mezzo ai bicchier la gioventù :

Chè degli amanti

A' tristi pianti,

Bella Viola, il caro fior sei tu.

I SOGNI SEGUACI DEI DESIDERJ.

SONETTO.

MENTR' io dormia sotto quell' elce ombrosa,
Parvemi, disse Alcon, per l' onde chiare
Gir navigando d' onde il sole appare
Fin dove stanco in grembo al mar si posa.
E a me, soggiunse Elpin, nella fumosa
Fucina di Vulcan parve d' entrare,

E prender armi d' artificio rare,

Grand' elmo, e spada ardente e fulminosa. Sorrise Uranio che per entro vede

Gli altrui pensier col senno; e in questi accenti Proruppe, ed acquistò credenza e fede: Siate, o pastori, a quella cura intenti, Che il giusto ciel dispensator vi diede, E sognerete sol greggi ed armenti. VOL. II.

I

ECCELLENZA DI UNA DAMA RICAMATRICE.

Dalla Bucchereide, Poema del DOTT. LORENZO BELLINI di Firenze, medico di professione; morì nel 1703.

OTTAVE.

CON quelle sue manine benedette

Ella sa fare infin le cordelline,
E cavar la pipita alle civette,

E ricucir le tasche alle telline,

E accennar che 'l tal vada e 'l tale aspette,
E purgar dal richicco le susine,
E fare a sbricchi di mele appiole,
E infin rifare i denti alle tignole.
Ma quel che mi fa dar nello strabilio
Son quei tanti ricami e quelle trine,
Che non gli rinverria Numa Pompilio,
Che trovò la salsiccia e le cascine,
Ed han più nomi che non ha un navilio,
Ne' suoi membri, suoi attrezzi, e sue sentine,
E colla seta fannosi e coll' oro;

E punti, ed anche punte è il nome loro.
E punte alla franzese, e alla fiandresca,
E infin dell' Inghilterra e dell' Irlanda,
Ed alla milanese, e alla tedesca,
E l' arcicandidissime d' Olanda,

Quelle che nel suo mar Genova pesca,
Quelle che dal suo mar Venezia manda,
Punte girate, punte in aria, e insino.
Il sì, e il no, la grazia, e il bigherino.
Il punto da una sola, e da due bande,
Sulla carta a due facce, e sulla tela,
Sul filondente ch'è di fuori grande,
Sul tabì stretto sì che i fiori cela,

Due punt' ungheri, l' un che 'l filo spande
Disteso, e l'altro che l'avvolge e 'l vela,
Il punto in croce, e 'l punto al naturale
Delle lor sete con tutte le scale.
Punto d'oro a corbello, oro a spranghetta,
A cinque punti, a uno, a cartolina,
Oro a quell' uso che Milan ne detta,
Punto di seta a usanza dommaschina,
E punt' unghero a due che sì diletta,
Oro a palme, oro a perla oltramarina,
Punto piccolo, e quel che chi 'l trovò
Oro passato e piano il nominò.

Ma non son tanti nomi un diavoleto
Da bertesche e da ponti levatoi,
Un mare, un pecoreccio, un ginestreto
Da far girare il capo agli avvoltoi?
E pur quel suo capetto cheto cheto
Gli fa tutti frullar pe' diti suoi,
Che faratt' anche un sì fin mirillì
Che non lo scorgerai da qui a lì.
E gira pure, e sta a arzigogolare
Di tutti i punti per la gerarchia
Punto non c'è ch' ella non sappia fare,
Infino a' punti di Teologia,

Ed ella fu la prima a ritrovare,
Mi credo, il punto di cavalleria,
E'l punto in bianco degl' imberciatori,
E'l punto ammiratio degli scrittori.
Sua cosa è il punto fermo, e 'l mezzo punto,
Di cui si val chi recita e chi mura,
E della prospettiva è suo quel punto,
Che dà le sue vedute alla pittura,
E quanto ella sia sola in contrappunto
Sallo il cavalier suo che n' ha paura,
Quantunque ei sia nel musicar sì destro
Ch' ei fa diventar bianco ogni maestro.
E se tu vuoi saper quant' ella stia
In sul puntiglio in qualsivoglia cosa,
Toccala sol tantino in poesia,

E la vedrai come una velenosa
Montare arroncigliata in bizzarria,
Criticocipiglispida orgogliosa,

E tenerne a bacchetta e a sindicato
Pindaro, e Flacco, e Publio, e il Cieco nato.

NEGLIGENZA DE' PRINCIPI ITALIANI NELLE GUERRE D'ITALIA DEL SEC. XVII.

Di CARLO MARIA MAGGI, segretario del senato di Milano sua patria; morì nel 1699.

SONETTO.

GIACE I' Italia addormentata in questa

Sorda bonaccia, e intanto il ciel s' oscura; E pur ella si sta cheta e sicura,

E

per molto che tuoni uom non si desta.

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