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no. >

Più non ti dico, e più non ti rispondo.

Gli diritti occhi torse allora in biechi :
Guardommi un poco, e poi chinò la testa :
Cadde con essa a par degli altri ciechi.

E il Duca disse a me : Più non si desta
Di qua dal suon dell' angelica tromba.
Quando verrà lor nimica Podesta,

Ciascun ritroverà la trista tomba,

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Mente, per memoria; Vit. N., § xxxv: Era venuta nella mente mia La gentil donna ecc., e l' Autore spiega: Dico che questa donna era già nella mia memoria. Più non ti dico ecc. Dico, accenna al parlare suo spontaneo; rispondo, a quello provocato dalle interrogazioni del Poeta. Altra anima, per altro motivo, gli dirà (Purg., XIX, 139) :

Vattene via, non vo' che più ť' arresti;

e altra ancora (ivi, XI, 139) : più non dirò.

91-93. Notati dall' Alfieri. Gli diritti occhi torse allora (detto ciò) in biechi occhi biechi è quanto occhi torti (Inf., XXXIII, 76), in opposizione a occhi diritti; quindi, moralmente, via diritta e via torta (Inf., I, 3; Purg., X, 3); e voler dirittamente (Par., XVII, 105), e opere e parole bieche (Inf., XXV, 31; Par., VI, 136): cf. Inf., 1, 3. Guardommi un poco ecc. Lo Scartazzini < I non travolti occhi fece allora travolti; atto di dolore cagionatogli dal pensiero al dolce mondo, alla sua morente fama in esso ed alla sua presente condizione. Guardommi: questo sguardo doveva aumentare il suo dolore ricordandogli quanto diversa dalla sua fosse la condizione di chi lo ascoltava. > Cadde al par ecc. Ciechi son qui detti i golosi, e cieca la vita degli ignavi (Inf., 111, 4); e guerci della mente dice nel Canto seguente (v. 40) gli avari e i prodighi; e il mondo cieco di passioni e vizi (Purg., XVI, 66); e cieche le passioni (Inf., XII, 49; Par., XXX, 139), ciechi i mali operanti (Purg., XXXVI, 58; cf. ivi, XVI, 66). Qui Ciacco cadde dopo aver chinato la testa, onde cadde bocconi; e così stavan tutti gli altri; il loro dio fu il ventre, nè mai levarono gli occhi al Cielo, e qui son costretti per castigo a tener gli occhi nel fango. Può valere per questi golosi la parola di Adriano V nella Cornice, ove si scontano avarizia e prodigalità (Purg., XIX, 118-120):

Sì come l'occhio nostro non s' aderse

In alto, fisso alle cose terrene,

Così giustizia qui a terra il merse.

94-99. Più non si desta ecc. Più non si desterà, non si rialzerà, prima dell'universale Giudizio, quando al suono delle trombe angeliche tutti i morti risorgeranno per recarsi nella valle di Josaffà (Inf., X, 11). — Di qua dal, prima del; tromba chiamante al Giudicio; in novissima tuba dice S. Paolo, la tromba estrema. Nel Canzon., P. II, canz. VII, st. 5.

questa gentil pietra

Mi vedrà coricare in poca pietra

Per non levarmi se non dopo il tempo,

cioè quando del futuro fia chiusa la porta (Inf., X, 108), perchè dopo quel Giudizio è l'eternità. Lor nimica Podesta, Cristo, avversario dei reprobi, con podestà di giudicar tutti. Podesta, come Santa Trinita si dice tuttavia a Firenze, e Santa Felicita in tutta Italia; e soddisfára per soddisfarà (Par., XXI, 93). e piéta per pietà (Inf., I,). Trista tomba, perchè rinchiude la cenere di chi è dannato in eterno. Il Cod. Stuard., in luogo di ritroverà,

100

Ripiglierà sua carne e sua figura,
Udirà quel che in eterno rimbomba.

Si trapassammo per sozza mistura
Dell' ombre e della pioggia, a passi lenti,
Toccando un poco la vita futura.

Perch' io dissi: Maestro, esti tormenti

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legge rivederà. Ripiglierà ecc.; ognuno riprenderà le primitive spoglie (Inf., XIII, 103); — figura d' un corpo è l' impressione che la sua forma fa nell' occhio. Udirà la gran sentenza (v. 104; Purg.,X, 111); dopo la quale si partiranno i duo collegi,

L'uno in eterno ricco, e l' altro inópe (Par., XIX, 110), cioè questi eternamente dannati, quelli beati; e per gli uni e per gli altri il suono della gran sentenza sarà, ne' suoi effetti, eterno. Di bel commento pajono a me queste parole del Segneri (Mann., Ag. 20, 1): < Discedite a me, maledicti, in ignem æternum. Questa sarà una voce che eternamente risonerà sopra gli orecchi de' reprobi, eternamente gli affliggerà, eternamente gli accorerà, senza che essi mai possano divertire da lei la mente; anzi Ï' avranno tutto il giro de' secoli così viva in qualunque stante, come se in quello attualmente la udissero dalla bocca di Cristo giudice...... Sarà voce stabile, voce soda, qual' è la voce divina; e se pur nel suo effetto di mano in mano trascorrerà, trascorrerà senza mai finir di trascorrere, mentre con un moto perpetuo starà ella sempre su la gran ruota dell' eternità, producendo nel cuor de' reprobi l'effetto stesso di prima : vox tonitrui tui in rota. » L' Aquinate, trà altre ragioni della convenienza dal Giudizio universale, reca questa (Summ. Th., 111, 59, 5) : quia anima non est mutabilis nisi per accidens, propter corpus; statim separata a corpore habet statum immutabilem, et accipit suum judicium. Sed corpus remanet mutabilitati subjectum, usque ad finem temporis; et ideo oportet, quod tunc recipiat suum præmium, vel pænam in finali judicio.

100-102. Sì, così parlando, trapassammo, passammo oltre, tagliammo il Cerchio per giungere dove la roccia si scoscende; -per sozza mistura ecc., passando su per l'ombre immerse in quella fanchighia (v. 34); toccando

un poco ecc., parlando alquanto della ecc. Toccare per trattare non a fondo un dato soggetto, coll' accusativo, anche Par., XXIV, 143; Vit. N. § VIII; nel Conv., 1, 3: « La ragione perchè ciò incontra mi piace brievemente toccare. > Col genitivo, Inf., VII, 68; XXV, 94; nel Conv. 11, 9 : « Perocchè della immortalità dell' anima è qui toccato, farò una digressione; e la digressione risguarda appunto il trattare appieno di essa immortalità. Il Cesari: « Toccare è bel modo di lingua, per parlar leggermente d' una cosa, assag giarla; credo ch' e' presero cagione di toccar così le cose della vita futura, dall' angelica tromba, ch' a Virgilio venne nominata. »

103-105. Perch' io dissi: non trovo ne' chiosatori avvertita la forza di questo perchè a me pare che qui il Poeta voglia dire, press' a poco, così: lasciato Ciacco, ci mettemmo a recidere il Cerchio per passare al di là sul suo orlo; e, intanto, essendo soli, si cominciò a ragionare sulla vita futura; via via così discorrendo, l' argomento giunse a tal punto, ch' a me, dalle generali venendo a un particolare, parve bello di chiedere a Virgilio ammaestramento sui tormenti de' dannati dopo il Giudizio finale, perchè, onde, per la qual cosa, mosso da ciò, dissi : Maestro, esti tormenti ecc. Esti tormenti ecc. Dante domanda se dopo la risurrezione de' corpi questi tormenti cresceranno, sminuiranno, ovvero resteranno i medesimi. Il Maestro, richiamando l' alunno alla filosofia aristotelica, che su tale argomento è la cristiana,

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gli risponde che essi cresceranno, perchè l' anima tanto è più disposta a sen-
tire i dolori e le gioie, quanto è in condizione più perfetta, ciò che si avvera
quando l'anima sarà ricongiunta al corpo. Simile quistione farà altrove
sulla beatitudine de' Santi, e identica è la risposta (Par., XIV, 13-51).
Dopo la gran sentenza, dopo il finale Giudizio (ef. v. 95): sì cocenti, sì
dolorosi com' ora sono.

106-111. Ritorna a tua scienza, rifatti, torna colla mente alla Filosofia
d' Aristotele, che tu facesti tua col lungo studio; anche la scienza umana sa
definire tale questione; Virgilio più innanzi dirà la tua Etica (Inf., XI, 80),
come del pari la tua Fisica, parimenti d' Aristotile (¿vi, 101):
che vuol,
che insegna Aristotele dice che l' Anima in corpo più perfetto meglio
conosce; in corpo cui alcuno organo manchi, manco è l' intendere. Più
senta ecc, più fruisca il bene e più senta il dolore. Il Postill. Cass. : Quia perfe-
itior res est anima cum corpore quam sine; ideo patietur majorem pœnam cum
corpore quam sine. Tuttochè ecc. Benvenuto, dallo Scart.: «Quelle anime,
quantunque non perfette,addiveranno tali rispetto alla ricongiunzione dell'ani-
ma al corpo, saranno almeno compite e quindi più perfette in confronto dello
stato dal quale vengono evocate, ma di perfezione non vera, anzi dannosa. »
Dal che si conchiude che i tormenti cresceranno. In vera perfezion, ecc.;
perchè non potrà mai ricongiungersi alla sua causa ch'è Dio. Onde Marsi-
lio Ficino (Conv. di Plat., ediz. Fir. 1544, pag. 203) : Il vero uomo, e l'idea
dell' uomo è tutt' uno. E però nessuno di noi in terra è vero uomo, mentre che
da Dio siamo separati; perchè siamo disgiunti dalla nostra idea; la quale è
nostra forma. A quella ci riducerà il divino amore con vita pia. Cf. Conv.,
III, 2, e IV, 28. Per vera perfezione è da intendersi la teologica, dice l' An-
dreoli, la quale da Virgilio è detta vera; a differenza della perfezione nel
senso Scolastico, che è qualità o stato di ciò ch'è perfetto nel suo genere,
che ha tutte le sue parti. Il Buti per vera perfezione intende quella de' Beati,
che hanno le quattro doti che danno la glorificazione al corpo, cioè agilità,
sottilità, clarità ed impassibilità. - Di là del Giudizio, dopo il Giudizio
(costruzione: aspetta sè essere più perfetta di là dal Giudizio universale, dopo,
che di qua da esso, prima): essere aspetta, aspetta d' essere in istato di
perfezione, cioè compiuta nell' esser suo. Il Cesari: Bello questo esser
più! non volendo Dante dire, ch' e' saran più perfetti, disse che saran più,
dovendo essere tutti quanti, cioè corpo ed anima. » Aspetta; notabile (e a
qualcuno parrà strano) il senso che il Giuliani, in una postilla inedita, dà a
questo aspetta : « tu aspetta, credi o tieni per certo che debbon costoro esser
più perfetti allora, e quindi più tormentati. » S. Agostino: Cum fiet resur-
rectio carnis, et bonorum gaudia erunt, et malorum tormenta majora. E Pietro
riferisce a questo senso le parole dell' Apocalissi : justus justificetur adhuc,
et qui in sordibus est sordescat adhuc. L' Angelico, allegato dal Tommaseo :
l'anima senza corpo non ha perfezione.

112-115. Noi aggirammo ecc., (cf. Inf., VII, 127; VIII, 79). Dopo il discorso

115

Parlando più assai ch' io non ridico:
Venimmo al punto dove si digrada:

Quivi trovammo Pluto, il gran nemico.

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con Ciacco trapassarono (v. 100) il Cerchio, discorrendo della vita futura; quindi, trattando la proposta questione e altre cose, che il Poeta tace (v. 113), camminarono sull' orlo per giungere al punto che metteva nel Cerchio seguente. -Parlando più assai ecc.; della vita futura parlando altre cose, che qui non narro (cf. Inf., IV, 104 e 145; IX, 34). Dove si digrada, si smonta lo scaglione, si discende dal terzo nel quarto Cerchio. Pluto, il gran nemico dell' umanità, e nemico della sua pace e quieto vivere. Pluto, figlio di Demeter e di Jasione, divinità greca, che personifica la ricchezza. Per Dante però è un demonio (cf. Inf., III, 97-99), custode del Cerchio ove è punito il mal dare e il mal tener (v. 58), cioè la prodigalità e l'avarizia, ovvero l' intemperanza nell' uso degli averi, chè nullo spendio fecero con misura (v. 42).

Nota le terzine 2 alla 10; 12 alla 15; 25, 31 alla 34.

CANTO VII.

I

Vit. N. 20

5

Pape Satan, pape Satàn, aleppe!
Cominciò Pluto colla voce chioccia :
E quel Savio gentil, che tutto seppe,

Disse per confortarmi : Non ti noccia
La tua paura, chè, poder ch' egli abbia,

1-2. Pape Satan ecc. Le tante e sì differenti spiegazioni, che si diedero e si continua a dare di questo verso, mi persuadono sempre più a rimanermi nell' opinione, ch' espressi altra volta (cf. Diz. Dant., artic. PAPE), che cioè non sia possibile dargli una spiegazione, che possa scansare le troppo facili impugnazioni. Per me credo queste voci non altro che uno studiato composto di vocali e di consonanti, fatto a bella posta per darne indicio della confusione diabolica; e poco monta che una o più di esse possano, un po' modificate, trovar senso in qualche lingua antica o moderna: se Dante avesse voluto farsi capire, chi più atto di lui? e chi può mai credere che il Poeta abbia avuto con questo verso tale intento, se così opposte spiegazioni se ne trassero? Ma i chiosatori, in onta al preciso consiglio anzi comando di Virgilio a Dante non si peritarono d' interpetrare anche le parole di Nembrotte (Inf., XXXI, 67); onde non fa maraviglia che pur qui, ove tale comando non c'è, abbian voluto far le mirabili prove della loro scienza magari ebraica, quasichè Dante sapesse l'ebraico; sì, anche in questi studi e con Dante avviene ciò che in altre discipline e con altri autori; chi nega a Dante sinanco il senso poetico e la scienza della propria lingua, e chi vuol farne un miracolo di ogni sapere, attribuendogli anche scienza di ciò che saper non poteva. Ciò che di vero e di chiaro si può tarre da tal verso si è, che tali voci, non dirò parole, furono da Pluto pronunciate a sfogo di rabbia (v. 9) e crudeli (v. 15) per insinuare spavento a' due viaggiatori, e che Virgilio per tali le intese, onde si ingegna di sgombrare dal cuor di Dante la paura (v. 5), certo tanto maggiore quanto più vedeva nell' enfiata labbia di Pluto i manifesti segni dell' ira e del fiero dispetto, e quanto meno capiva il senso di que' suoni articolati ; nè altro aggiungo, perchè sarebbe tempo perduto, dando ragione al famoso poeta lombardo Carlo Porta, che con fine spirito, mostrando di capir qui Dante meglio di molti dottissimi, tradusse con tal giuoco di voci il giuoco dantesco :

Ala belara de scesa cornara.

-Voce chioccia, rauca e cupa per disdegno così il Poeta, a descrivere il fondo infernale, il tristo buco, s' augura rime e aspre e chiocce (Inf., XXXII, 1); e a manifestare la condizione del suo spirito travagliato, comincia in tal modo una sua canzone (Canz., P. II, canz. XI) :

Così nel mio parlar voglio esser aspro,

Com'è negli atti questa bella pietra.

3-6. E quel savio ecc. Virgilio (tutto seppe, cioè quanto ragion vede, Purg., XVIII, 46, cioè umanamente), che comprese appieno lo scopo di quelle misteriose voci, vedendo la paura di Dante, disse: non ti noccia, non lasciarti sopraffare, vincere dallo sgomento, il che sarebbe stato ben grave nocumento alla prosecuzione del viaggio, sviando dall' intento (cf. Purg., V, 16-18); - poder ch' egli abbia, per quanto sia grande il suo potere; il Boc

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