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44-48. Dar paura (far paura, Purg., XXIX, 141; Par., XI; 69; XV, 103), frase che ricorre altrove (Inf., IX, 13; cf. Diz. Dant., artic. PAURA). Questi parea ecc. Propriamente si riferisce a persona; ma, come qui, qualche volta anche ai bruti (cf. v. 103), ed anco à cose ideali, come l'istinto : Par., 1, 115, 116, 117.- Venesse per venisse. - Leone: il fiero atteggiamento della belva è qui scolpito, e lo si vede quasi con gli occhi sensibili, tanto è potente perchè vero. Sott' altro aspetto cel fa vedere altrove (Purg., VI, 66), tocco magistrale pur quello. Anche Boezio, nota il Tommaseo, pone il Leone simbolo della superbia violenta. Il diavolo, padre d'ogni superbia, è da S. Pietro detto andare intorno tamquam leo rugiens, quærens quem devoret (Ep. 1, v, 8), con rabbiosa fame. La test' alta, rispetto al Leone, è argomento che la belva sente la propria forza; rispetto al simbolo, che racchiude, della superbia, l' atteggiamento lo ritrae perfettamente. E della superbia è propria la frase con la test' alta, (cf. Inf., VI, 70; Purg., XII, 70-72;Par., IX, 51; cf. ivi, VI, 108); al che danno rincalzo le forme, che adopera l'Aquinate della superbia parlando (Summ. Th. II, II, 162, 1-8). Rabbiosa fame: gli orgogliosi non solo sono inquieti nella fame ardente d' onori, ma furiosi e rabbiosi davvero (cf. Inf., VII 1, 46-63). Però la fame del Leone è d'altra natura di quella della Lupa(cf. v. 99). Parea che l' aer ecc. Viva e potente la figura. In Amos (III, 8) Leo rugiet; quis non timebit? ma Dante fa che ne paventi sinanco l'aria : invece l'aria altrove par godere (Purg., I, 20: cf. commento ivi). Il Bargigi, in luogo di temesse, legge tremesse, da tremere, come nota il suo editore: senonchè, avverte il Giuliani, il tremare qui terrebbe pur sempre luogo del temere, come suo naturale effetto.

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49-51. L' Alfieri nota il 49 e 50. Ed una Lupa ecc. Così leggono i Codici migliori e le stampe più accreditate; qualcuno e d' una, facendo dipendere tale costruzione da vista del 7. 45 anche il Giuliani dapprima preferì questa seconda lez. (cf. Metodo ecc., pag. 178) : ma poi nell' edizione della Commedia da lui pubblicata, s' attenne alla prima. Sembiava carca ecc. Qui pure è pittura visibile, o dirò con Dante, visibile parlare. Sembiava per sembrava. Magrezza (cf. Inf., XXX, 56), per la sua fame senza fine cupa (Purg., XX, 12), cioè insaziabilmente profonda (cf. v. 99). Molte genti ecc. Di ciò rende ragione nel Convito (IV, 12): «Dice Tullio in quello di Paradosso: In nullo tempo si compie nè si sazia la sete della cupidità : nè solamente per desiderio d' accrescere le cose che hanno (gli uomini) si tormentano, ma eziandio tormento hanno nella paura di perdere quelle. E a maggiore testimonianza di questa imperfezione, ecco Boezio in quello di Consolazione dicente: Se quanta rena volge lo mare turbato dal vento, se quante stelle rilucono, la Dea della ricchezza largisca, l'umana generazione non cesserà di piangere.... E che altro cotidianamente pericola e uccide le città, le contrade, le singulari persone tanto, quanto lo nuovo raunamento d'avere appo alcuno?» Nella Vulg. El. (1, 12) quasi tutti i Principi d' Italia fa servi della cupidigia; il che conferma la parola ai Cardinali Italici (Epist. VIII, 7): Cupiditatem unusquisque sibi duxit in uxorem (cf. Par., XI, 58-60), quemadmodum et vos. Da ciò è chiaro, che la frase molte genti non solo

Questa mi porse tanto di gravezza
Con la paura, ch' uscia di sua vista,
Ch' io perdei la speranza dell' altezza.

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ha il senso di molta gente (Inf., XXIX, 1), ma quello pure di popoli, nazioni (Inf., VII, 82).—Grame :S. Paolo (I Timoth., VI, 10) : Radix omnium malorum est cupiditas, quam quidam appetentes, erraverunt a fide, et inseruerunt se doloribus multis. Gramo (cf. XV, 109; di luogo, XX, 77; di parole od atti, XXVII, 15, e Purg., XXII, 40) nel dialetto Piemontese vale anche cattivo; nel dial. Veneto significa ridotto in istrettezze, o malandato di salute. Ora, un po' al simbolo. Nella Lonza molti scorgono la lussuria; pochi l' invidia; e io la penso con questi. Dalle parole dell' Inf., XVI, 106-108, i primi traggono argomento a raffermare la propria opinione; ma se Gerione è sozza immagine di frode (ivi, XVII, 7), la corda, onde Virgilio si vale a chiamarlo su, non deve significare la castità, sibbene la virtù opposta alla frode. Soprachè, l'atteggiamento stesso, con che il Poeta ne rappresenta la Lonza, più che alla Lussuria si conviene alle molteplici arti ed astuzie, di che l'invidia si vale a mandare ad effetto i suoi perfidi intenti. Di più, se le tre fiere devono rappresentare i vizi dominanti nel mondo, specialmente al tempo dell' Autore, e tali vizi egli più che altro discerneva nella sua Firenze, a dover ammettere nella Lonza l' invidia non hanno poco valore due passi del Poema (Inf., VI, 74; xv, 68). Nè ciò basta se nella Lonza si ammette la Lussuria, molto si toglie al significato vero della Lupa, e si fa contro alla mente stessa dell' Autore. In fatti, nessun dubbio che l' antica lupa, imprecata da Ugo Ciapetta (Purg., XX, 10 e segg.), non sia perfettamente che una cosa sola nel suo significato colla lupa incontrata da Dante : ma nessun dubbio del pari, che la lupa dal francese maledetta non sia una cosa sola coll' antica strega sognata da Dante nel Canto precedente (XIX, 1-24); ma di essa fa mestieri attendere diligentemente che cosa dice al discepolo Virgilio (ivi, 58-9); dunque se la strega è la lupa, e se la strega simboleggia ciò che da indi in là si puniva nel santo Monte, cioè avarizia e prodigalità, gola e lussuria, è mestieri concedere che la lupa deve simboleggiare non già l' avarizia nello stretto senso della parola, sibbene in genere il soverchio amore delle cose transitorie, quant' a dire la cupidigia, senso che a' tempi di Dante e ne' suoi primi chiosatori aveva pure la voce avarizia, al che bastantemente non si badò dagli interpreti posteriori, per il che ne derivò confusione e false spiegazioni. Tutto questo mi sono argomentato di dimostrare largamente nell' Appendice, che ha per titolo: LE TRE FIERE (cf. Diz. Dant., vol. VIII, App. III). Dunque abbiamo nelle tre fiere la Invidia, la Superbia e la Cupidigia, quali impedimenti risguardanti l'umanità in genere, non già figuranti questa o quella città, una od altra Corte, una od altra istituzione; ně fece cosa seria chi volle attenersi a questo metodo di ragione politica, contrario affatto alla mente di Dante. « Restringere il concetto della Lupa, dice il Tommaseo, alla Corte Pontificia, sarebbe renderlo men filosofico e men poetico di quel ch' egli era, nella mente dell' esule. »

52-54. Questa ecc. Non la Lonza, non il Leone, sibbene la Lupa gli tolse il corto andar del bel monte (Inf., 11, 119-120); dunque più violenta e fiera la sua opposizione (cf. commento al v. 99 e 100-102), e maggiore il numero delle sue vittime (Purg.. XX, 11), anzi a tutti impedendo di ascendere al bene (Inf., 1, 94-6; Purg., XIX, 24; Par., XXVII, 121-3): per giunta essa s'ammoglia a molti animali (Inf., I, 100). Tanto di gravezza: come grave vale anche dispiacevole, rincrescioso (Purg., XXIII, 117), così gravezza qui significa interno turbamento, contrasto, e simili. Nella Canzone Amor che muovi tua virtù ecc., il Poeta dice ad Amore : « Il tuo ardor ..... Mi fa sentire al cuor troppa gravezza.» Paura ch' uscia ecc. Dapprima lo impauri

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la vista del Leone; ma qui cresce il movimento e l'arte; dalla vista della Lupa si sferra come dardo la paura : fa rammentare l' altro dell' Inf., XXIX, 43-4, e quello della Vit. N., XXIII, canz., st. 4: guai, Che di tristizia saettavan fuoco. Perdei la speranza ecc., disperai di poter giugnere alla sommità del monte. Degli impedimenti, che a Dante toglievano la speranza dell'altezza del colle, cioè di poter giugnere alla sua vetta, fanno a proposito le parole di S. Agostino (Serm. 2. de Ascens. Domini, qui est 175 de Tempore): «Salvator noster ascendit in cœlum Ascendamus cum Christo interiori corde; cum dies advenerit, sequemur et corpore. Scire tamen debemus, fratres, quia cum Christo non ascendit superbia, non avaritia, non luxuria nullum vitium nostrum ascendit cum medico nostro. Et ideo, si post medicum desideramus ascendere, debemus vitia et peccata deponere.> L' Alfieri nota il v. 54.

55-60. L'Alfieri nota i vv. 57 e 60. E quale è quei ecc. E come chi è cupido di guadagno, si dispera se gli avvenga di perdere il guadagno fatto, tale ecc. Bello, parlando della Lupa, cavar l'immagine da chi è ghiotto de' beni terreni. L' acquistare, come rispetto all' avaro ha senso di guadagnare, così in quanto all' intento della similitudine ha quello di ascendere (cf. Purg., IV, 38). - Perder, cf. Purg., VI, 2. — In tutti ecc. (cf. Inf.XXIV, 7-11)Nella Vit. N., XXIII: « E non solamente piangea nella immaginazione, ma con gli occhi, bagnandoli d'amare lagrime.» Nel sonetto : Lo fin piacer ecc,, scrisse: «Là dipoi mi pianse ogni pensiero Nella mente dogliosa. » L. Venturi: «È dolore di speranza perduta, dolore che non si spande in lacrime, ma contrista l'anima profondamente.» Sant' Agostino (lib. I, de Serm. Dom.): Non relinquitur sine dolore quod cum delectatione tenetur. Il che del v. 57 il Giuliani intende per sicche, affermando essere il costrutto di questa similitudine il medesimo di quello dell' Inf., 11, 37 e XXX, 136. Che il costrutto sia identico, nessun dubbio; ma ne' due allegati luoghi è bene espresso il sì, onde il che dipende e nulla toglie, che tale particella qui non ci essendo, il che s' abbia a prendere come pronome relativo. - Tal.... senza pace ecc. Il Giuliani, l' Andreoli ed altri la frase senza pace riferiscono alla bestia, bestia che non lascia pace, che toglie la pace, bestia irrequieta; preferisco di riferirla a tale, cioè: come il cupido si dispera de' beni perduti, così io divenni senza pace, piangendo in ogni mio pensiero, perduta la speranza di giungere alla sommità del bel monte. In Isaia (LVIII, 22): Non est pax impiis: e nel Conv., IV, 22: «Uno solo calle è quello che noi mena alla nostra pace.» - - Venendomi incontro ecc. Notabile che la Lupa, a differenza delle prime due fiere, non contenta d'impedire altrui l'ascesa, e di difendere il proprio, viene incontro (del Leone aveva detto, pareva che contra me venesse; e il pareva può rinchiudere effetto di paura della Lupa dice preciso venendomi incontro), invadendo l' altrui, respingendone il possessore; per ciò altrove la donna impudica, che non è che la Lupa (cf. v. 100-102), è detta fuia, cioè ladra (Purg., XXXIII, 44). Mi ripingeva ecc. : mi ricacciava nella valle o selva oscura (v. 2), dove il Sole non mandava i suoi raggi. Tace: ardita espressione, non dissimile dall' altra, pur bella: venni in loco d'ogni luce muto (Inf., V, 27). Il Sole, immagine di Dio, fa visibili le cose universe, onde possiamo contemplare la loro bellezza; perciò Virgilio

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(En., VI, 164): loca nocte tacentia late: si può dire che la luce è voce; Luce
e Parola si identificano il Verbo (senza il quale factum est nihil quod
factum est, (Joann., I, 3), è detto Lux vera : di qui la potente espressione: Cæli
enarrant gloriam Dei, et opera manuum ejus annuntiat firmamentum
(Psalm. XVIII, 1), donde il nostro Poeta trae l'esordio del suo Paradiso (1, 1-3).
61-63. Rovinava ecc. (cf. vv. 19-21, il passo del Conv., IV. 7); riprecipitava
nella valle. Nell' Inf., XV, 53, e nel Par., XXXII, 136, si ricorda questo istante
amaro. Ed era una rovina davvero, quanto di chi dal bene incominciato
con ardor di desiderio, lascia tosto l'impresa (cf. Inf., II, 37-9); quest' idea
ricorre nella Canzone : Doglia mi reca ecc., dove il Poeta scrive: «Oh Dio
qual maraviglia! Voler cadere in servo di signore, Ovver di vita in morte.>>

Dinanzi agli occhi ecc. mi venne veduto, mi apparve una persona, che
per lungo tacere parea di voce fievole, arrocata. Altrove apprendiamo che
Virgilio gli apparve con piglio dolce (Inf., XXIV, 20), circostanza da tenersi a
mente. Fioco usa Dante della voce (Inf., III, 27; XXXIV, 22; Par., XI, 133;
XXXIII, 121): del suono. (Inf., XXXI, 13), e della luce (Inf., 111, 75). Rispetto
al fioco, qui attribuito a Virgilio, cade opportuno questo della Vit. N., XXIII,
Canz., st. 4: Ed uom m' apparve scolorito e fioco.» Nel caso presente è ma-
nifesto che fioco è da intendersi come effetto del lungo silenzio, quindi arro-
cato. Il Buti Parea fioco, cioè roco, la qual cosa addvviene quando l'uomo
è stato lungo tempo tacente, che volendo parlare, l'organo vocale per la disu-
sanza è impedito da alcuno rinchiudimento che si fa in esso (cf. Diz. Dant.,
artic. FIOCO). Fioca dovette parere a Dante la voce di Virgilio per l'abban
dono in che ne' secoli di mezzo fu lasciato, anzi da alcuni avuto a disdegno
(cf. Inf., X, 63). Ma come, domanda il Giuliani, Dante poteva argomentare
che colui fosse fioco di voce, se ancora non l'aveva udito? E risponde: <11
Poeta ora non è che narratore di ciò che ha veduto e verificato. Onde ne'
versi allegati si può scorgere espressa questa sentenza: «Io vidi uno, il quale,
allorchè mi parlò, mostrava una voce roca, qual suole chi per lungo tempo
ha tacuito. Però si potrebbe osservare che Dante non disse che costui era
fioco, ma che parea, cioè ch' egli lo congetturava dalle apparenze. Non mi
par vera l'osservazione di fatto che al fioco fa lo Scartazzini, ma verissima
questa induzione morale, che ne trae : « La voce della ragione illuminata,
rappresentata da Virgilio, è o sembra al primo svegliarsi del peccatore assai
bassa e sommessa, così che egli appena ne intende alcuni indistinti accenti;
essa diventa poi più alta e distinta mano mano che l'uomo va risvegliandosi
dal peccaminoso suo sonno. >>

64-66. Gran diserto, cioè diserta piaggia (Inf., 11, 62). Deserto è per Dante la via del male; e deserto una nazione avvolta nelle fazioni, ove impera ogni cupidigia, e per conseguente è morta ogni rettitudine e giustizia. Per ciò l' acre rimprovero agli Imperatori Rodolfo ed Alberto, che soffersero che il giardin dell' imperio fosse diserto Purg.,) VI,105) : e nell' Epist., V, I : « Gaudium expectatum videbimus, qui diu pernoctavimus in deserto» (pur intendendo dell' Italia in mano ai Guelfi). La voce diserto fa meglio vedere che questo viaggio altro non è che il mondo allora diserto d'ogni virtù, e di malizia gravido e coverto (Purg., XVI, 58-60), il mondo, che altrove appella aspro diserto (Purg., XI, 14), pel quale va indietro chi, senza grazia di Dio,

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si argomenta di andare avanti (ivi). Miserere ecc. Enea alla Sibilla, che
il guidava precor miserere (Æn., VI, 117) : il Petrarca alla Vergine :
«Miserere d' un cuor contrito.> Qual che tu sii; cf. Inf., XV, 12; XIX, 46;
XXXI, 85.- Ombra, nota il Giuliani, è chiamata l'anima per la nuova forma
aerea, che riveste nell' altro secolo, perchè da questa che è un corpo fittizio
(Purg., XXVI, 12) prende sua apparenza (Purg., XXV, 99).
Uomo certo,
vero, reale, cioè anima con corpo di vera carne (Purg., V, 33; cf. ivi,
XXIII, 123).

67-69. Non uomo ecc. Virgilio è tolto a simbolo dell' umana scienza o ragione, che per mezzo di filosofici insegnamenti guida l' umanità all' esercizio della virtù e al conseguimento della felicità temporale (cf. Inf., II, la nota, in fine). Uomo già fui: notabile questo fui: l' uomo è spirito e materia (Conv. IV, 21), l' una e l'altra parte essenziali (Mon. III, 15); «grossitie atque opacitate mortalis corporis humanus spiritus est obtentus» (Vulg. El., 1, 3), corruttibile questa, quello incorruttibile (Mon. 111, 15; Vulg. El., 11. 2); onde già fui accenna alla deposizione della materia e quello che qui della materia, altrove si dice delle dignità, onde uno fu investito in questo mondo; perciò Papa Adriano: «Ego fui successor Petri » (Purg., XIX, 99); e Giustiniano: «Cesare fui, e son Giustiniano» (Par., VI, 10); e il fu del Par., XX, 38, credo accostabile all' Inf., V, 54; nè senza relazione a ciò è il Par., XXX, 136, ed altri luoghi ancora. Badino i giovani come dalle generalità trapassi Virgilio ordinatamente alle cose speciali, fino a togliere in Dante ogni dubbio sul vero suo essere; in forma non del tutto dissimile il poeta Stazio si dà a conoscere (Purg., XXI, 82 e segg.).— Lombardi. Si noti l'anacronismo; così nel Convito (IV, 5) chiama Franceschi i Galli condotti da Brenno contro Roma (cf. Par., VI, 44) : ma su ciò cf. Diz. Dant., artic. ANACRONISMI. Mantovani per provincia. Virgilio nacque a Pietola, villaggio presso Mantova, dagli antichi detto Andes; ond' egli è detto quegli per cui suona Pietola più, che villa Mantovana (Purg., XVIII, 82) : cf. qui appresso, v. 73.

70-75. Nacqui sub Julio; qui il sub (cf. Mon., II, 10 e spesso), come il sotto altrove (v. seg.; Inf. XIV, 96; Purg. XVIII, 119; Par., VI, 7 e 52), indica dominazione; ma Virgilio nacque nell' anno 70 av. Cristo, perciò sotto il consolato di Crasso e di Pompeo : onde è duopo ricorrere alla spiegazione del Blanc: « La difficoltà di questo passo sta in ciò, che Virgilio dice esser nato sotto Giulio Cesare, mentre egli nacque sotto il consolato di C. Pompeo e di Crasso, allorchè Cesare era nelle Gallie. Ma nel medio evo solevasi considerare Giulio Cesare quale primo Imperatore di Roma, nel senso dell'impero venuto più tardi; onde il poeta molto bene poteva fare che Virgilio dicesse d' essere nato sotto Cesare, ancorchè tardi, per poter dire d'esser vissuto sotto di lui; poichè molto più ei visse sotto Augusto, chè alla morte di Cesare non aveva che 25 anni.» Cf. Diz. Dant., artic. TARDI. Vissi ecc. Parla senza dubbio di quella vita di fama e d'onore, per la quale l'uomo

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