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dal Poeta già veduti? Non si vuole ammetter questo? ebbene, e io dirò : molti peccati puniti entro alla Città di Dite, peccati derivanti da corruzione d' intelletto, da che provennero, in che ebber lor fondamento? a mo' d'esempio, gli scialacquatori, i peccatori contro natura, i seduttori di donne, i lusinghieri, i simoniaci, i barattieri, gli ipocriti, i falsatori delle diverse specie, e altri ancora come giunsero a tali eccessi? certo per precedente traviamento di cuore, per soverchio ardore messo nell' amare e pregiare le cose caduche; Dante, com' ho avvertito altrove, punisce la colpa maggiore, ma nella punizione della maggior reità non esclude di certo la minore che a quella fu d'impulso, di formite, di causa; ed ecco che in quella guisa che la sognata strega è simbolo dei vizî, che da quel punto in poi si puniscono nel Purgatorio, Medusa prende egual significato in quanto il malo amore (pur per sè grave di reità, ma punito fuori della Città di Dite) fu disposizione a colpe maggiori, che son punite al di dentro di essa città. D'altra parte, mal si capisce perchè Medusa debba rappresentare l'eresia anzichè altro vizio punito nel basso Inferno. E per tal modo, se mal non veggo, resterebbe senza interruzione di secolo in secolo anco il consenso di molti chiosatori nello stesso concetto, cominciando da Jacopo di Dante, in parte dal Buti e dal falso Boccaccio (e il passo da me più su allegato dal Petrarca è di non poco valore) giù pel Castelvetro ed altri sino ai giorni nostri col Tommaseo, col Bianchi, col Fraticelli, coll' Andreoli. Ma già è ben difficile far convergere a una sola conclusione disparate opinioni; però anco nella discrepanza vi può essere e frutto fecondo e bella concordia, quando l' intento non è che pel vero.

CANTO X.

Ora sen va per un segreto calle
Tra il muro della Terra e gli martíri
Lo mio Maestro, ed io dopo le spalle.

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1-3. L' Alfieri notò la frase ed io dopo le spalle. Ora, vinti i diavoli ed entrati nella Città : segreto calle (altri, stretto calle), rammenta il virgiliano (Æn., VI, 443) secreti celant calles, cioè sentiero distinto e separato dalle mura e dalle tombe. Ma quelli che preferiscono stretto calle ben possono appellarsi del pari a Virgilio, là dove dice (Æn., IV, 405) convectant calle angusto; e di questo calle desumere la strettezza dal fatto che Virgilio e Dante eran costretti d'andare l' un dopo l'altro, non c' essendo spazio sufficiente per andare di pari (Purg., XII, 1), come intende anche lo Scartazzini, che pur tiene che la lez. stretto calle sia « probabilmente correzione di copista, che non attese la proprietà della voce segreto. » Di questo andare, per angustia di sentiero, l' un dopo l' altro, cf. Inf., XIV, 140; XV, 97; XVI, 91; XXIII, 2. Martirj, gli avelli fiammanti (1X, 118); cioè tra i martirj e gli alti spaldi (IX, 133; e di tal guisa per simile strada procederanno sino alla fine del Canto (v. 134). Dopo le spalle (Purg., xviii, 89), dietro a lui. In quanto agli Epicurei, posti in questo Cerchio da Dante, scrive il Del Lungo: «Mi sembra nobilissimo e sottile concetto, e degno come di Dante così d' essere meglio rilevato e chiarito che non siasi fatto fin qui, quello d' avere lungo le mura della triste città, ad di dentro, collocati gli Epicurei, cotesti grandi eresiarchi del paganesimo, e gli eretici dell' evo cristiano. Il loro spaventoso sepolcreto rovente incorona la città del male, senza ch' egli appartengano ne' alla prima regione, che è finita appiè delle mura di quella, nè alla seconda, che si parte dall' abisso scavato nel centro della città medesima; e così, nè alla categoria degli incontinenti, terminata, nè a quella, non ancor cominciata, de' violenti. Cosiffatto rimaner essi interamente fuori del sistema penale dantesco non può non avere un perchè : il quale è questo, a mio avviso; che la natura del loro peccato si sottrae alla comunicazione diretta, non che con la Grazia, secondo è di tutti i dannati, che più non hanno amico il re dell' universo, ma con la Giustizia medesima di quel Dio ch' e' disconobbero e negarono, e perciò li pone tra le perdute genti, quasi fuori di schiera.» Savie parole, che i men provetti potrebbero però frantendere; nè io so se arrivo a spiegarle secondo il genuino senso dell' Autore. Il sesto Cerchio, che è il primo dentro alla Città di Dite, e che è sullo stesso piano del Cerchio quinto, per espressa dichiarazione di Dante comprende gli eresiarche coi lor seguaci: non c'è dubbio che appena dentro alla ardente città e lungo le mura di essa non ci sieno, come ben afferma il 'Del Lungo, gli Epicurei (X, 13-15), che più propriamente diremmo oggi materialisti; ma lo spazio immenso, grande campagna (IX, 110), che da ogni punto delle mura si stendeva verso il centro di essa città, dove vaneggia la caverna dei Cerchi sottostanti, è pur piena di duolo e di tormento rio (IX, v. 111), cioè di avelli del pari infocati (cf. vv. 28-30). Ora, bisogna convenire che se torno torno agli alti spaldi vi erano le tombe degli Epicurei, nel tratto che dal muro va sino al mezzo (v. 134) vi doveano essere eresiarche d'altra qualità, come ne accerta la tomba di Papa Anastasio (XI, 7-9) dietro alla quale si riparano i Poeti, cioè, se ben capisco, gli eretici dell' evo cristiano, come dice il Del Lungo. Però non oserei dire che gli eresiarche e lor

Conv. IV.

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seguaci, posti in tal luogo, rimangano per questo interamente fuori del sistema penale dantesco; secondo me, v' entrano per bene, e ben determinatamente secondo la divisione stessa, che delle colpe e delle pene udiremo fare al nostro Autore; ma di ciò dirò nella NOTA, che verrà in fine di questo Canto.

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4-6. L' Alfieri nota la forma mi volvi. O virtù somma, o sommamente virtuoso, non già o uomo virtuosissimo, come dice il Lombardi, dacchè Virgilio uomo non era, Inf., 1, 67. Di persona, osserva il Tommaseo, anco in Virgilio (Æn., v) :

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Exigui numero, sed bello vivida virtus.

-Empi giri (dove altri mal legge ampii), perchè contenenti i rei d'ogni empietà impia Tartara, dice Virgilio (Æn., VI,543); « empii giri, vocabolo che ben conviene a questi cerchi, nei quali è punita molto maggior empietà che ne' superiori» (Bargigi); anzi la vera empietà qui proprio comincia. Giri, pei cerchi infernali (cf. Inf., XVI, 2; XXVIII, 50), come per le cornici del Purgatorio (Purg., XVII, 83; XIX, 70; XXII, 2; XXIII, 90), e per le orbite de' Cieli (Purg., 1, 15; XXX, 93; Par., II, 127; III, 76; IV, 34; XXVIII, 139); e così del pari adopera a vicenda il Poeta la voce cerchio per tutti e tre i Regni (cf. Inf., VIII, 129). - Mi volvi, mi conduci; ma la bella proprietà del volvere vien dall' osservare che i poeti scendevano d' uno in altro cerchio girandone attorno una parte (cf. Inf., XIV, 124-6), di sorte che, compiuto il viaggio, avranno essi compiuto un cerchio perfetto. Come a te piace, a tuo beneplacito, secondo il tuo volere; perchè Virgilio non doveva dar retta ai capricci dell' alunno, che sarebbero tornati in suo danno rompendo a mezzo per viltà d' animo la ben cominciata e avviata impresa (cf. Inf., VIII, 102), ma doveva seguire l' operazione del bene con mente serena; vinto il primo assalto della paura, Dante riconosce che Virgilio tutto operava in suo bene, e perciò gli doveva esser caro tutto quello che a Virgilio piaceva (Inf., XIX, 37), rimettendo ad altro tempo, cioè dopo compiuta la sua purificazione, di prendere per duce il piacer proprio, cioè di far la propria volontà (Purg, XXVIII, 137).—Parlami, dimmi, ammaestrami.--Soddisfammi a' miei desiri; il pron. pers. mi accoppiato a me o all' aggett. poss., non è nè infrequente ne' classici nostri, nè inelegante; così a me mi pare; qui soddisfammi à' miei desiri, per soddisfa a' ecc.; più sotto (v. 126) : gli soddisfeci al suo dimando. Egual frase ai vv. 16-18, e nel Par.,IX, 79:

Perchè non soddisface a' miei desii?

II Tommaseo : «Tante cose il Poeta ha a dire, e dell' anima, in questo Canto; tuttavia non s'affretta; tuttavia comincia da un accenno teologico, e dall' usato ritegno suo verso il dolce Poeta. Poi trova spazio alla fine, d'ascendere al Cielo alla sua Beatrice. Come gli affetti civili in lui rimanessero affetti, anche quando si tingevano di passione, questo Canto dimostra. >>

7-9. Sempre vivo in Dante l' ardore di nuova scienza, per la quale l'uomo è nato (Inf., XXVI, 120); onde sempre forte il desiderio di conoscere quanto gli veniva innanzi. Già; siccome le tombe eran sempre scoperchiate, già, non è altrimenti avverbio di tempo, sibbene particella riempitiva. — Levati, alzati, sollevati (cf. Inf., XI, 6). E nessun ecc. I diavoli impauriti e sver

COMMENTO 14.

ΙΟ

Ed egli a me : Tutti saran serrati,
Quando di Iosaffà qui torneranno
Coi corpi che lassù hanno lasciati.

Suo cimitero da questa parte hanno
Con Epicuro tutti i suoi seguaci,
15. Che l'anima col corpo morta fanno.

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gognati dal Messo celeste s' eran ritirati, onde non v' avea più nessuno che guardasse le tombe, e potesse mettere ostacolo al desiderio di Dante.

10-12. Tutti saran serrati ecc. Siccome qui simile con simile è sepolto, e siccome eresie ce ne saranno sempre fino alla fine del mondo, così questi avelli restano aperti per accogliervi anime ancora; e solo si chiuderanno il dì del Giudizio, quando il mondo sarà finito. Quando di Iosaffà ecc., quando riprese le loro spoglie (Inf., V, 98 e XIII, 103), e udita la gran sentenza (Inf., VI, 104), qui ritorneranno per essere eternamente martoriati coi loro corpi. Iosaffà è una piccola valle all' oriente di Gerusalemme, dove avrà luogo il Giudizio universale. Joel, 111, 2: Congregabo omnes gentes, et deducam eas in vallem Iosaphat. Cf. Summ. Th., Suppl., quæst. 88, art. 4.Coi corpi che hanno lasciati: frase simile nell' Inf., XV, 114, per significare il disciogliersi dell' anima dal corpo (cf. Par., XI, 115-116). — Lassù, nel nostro mondo.

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13-15. L' Alfieri notò i due ultimi. Suo cimitero ecc. Ne' nostri buoni scrittori suo fu adoperato anche col soggetto di numero plurale (cf. Inf., XXII, 144, nel commento). - Epicuro nel Convito (IV, 6) : « Furono filosofi molto antichi, delli quali primo e principe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida onestà; cioè rigidamente, senza rispetto alcuno, la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore .... Altri filosofi furono, che videro e credettero altro che costoro; e di questi fu primo e principe uno filosofo, che fu chiamato Epicuro, che veggendo che ciascuno animale, tosto ch'è nato e quasi da Natura dirizzato nel debito fine, fugge dolore e domanda allegrezza, disse questo nostro fine essere voluptate .... E però che tra il diletto e il dolore non parea mezzo alcuno, dicea che voluptate non era altro, che non dolore; siccome pare Tullio recitare nel primo di fine de Beni. E di questi, che da Epicuro sono Epicurei nominati, fu ecc. » (cf ivi, 22). Epicuro nacque nelle vicinanze d' Atene nell' anno 342 e morì nel 270 a. Cr.; e fondò la scuola che da lui ebbe il nome di epicurea. Dante, scrive il Casini, che ne conosceva le dottrine da Cicerone (De Offic. III, 33, 117; Tuscul., V, 30, 31; De Finib., II, 25), teneva ch' egli fosse stato il primo a considerare la voluttà come sommo bene, e a proclamare che l' anima è mortale; mentre primo autore di codeste dottrine era stato Aristippo di Cirene (nato nell' a. 404 a. Cr.). — Che l'anima col corpo morta fanno : fanno, per credono, reputano, è anche del linguaggio comune; che affermano, credono che l' anima muoia insieme col corpo. Nel Conv., II, 9 : « Dico che di tutte le bestialità quella è stoltissima, vilissima e dannosissima chi crede, dopo questa vita, altra vita non essere. » Ond' è che per infrenare cotali stoltezze e viltà e impedire codesti danni, non v' ha tra' nostri classici nessun altro scrittore che dell' origine dell' anima umana, delle sue facoltà, della sua immortalità tanto siasi occupato quanto l' Allighieri, come puossi vedere nel mio Diz. Dant., all' art. Anima, § I. — I suoi seguaci : e questi seguaci ci dovettero essere anche al tempo di Dante, se egli ne pone qui parecchi, pur da lui per altre ragioni riveriti; lo sentimmo dal Malaspini (cf. Inf., Ix al v. 129); nè senza motivo si deve credere che l' Ottimo facesse questa

Conv. III, S
IV, 6

Conv.II, 8,

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chiosa: «Tennero (gli Epicurei) che, morendo il corpo, muore l'anima dell'uomo come quella dei bruti. In questo errore cadono molti del presente tempo, commemorati sotto il generale vocabolo di Paterini.» Ond' è affatto necessario distinguer bene tra Ghibellini politici e Ghibellini eretici; Farinata, Cavalcante, Federico II, l' Ubaldini e più di mille altri (cf. v. 118) non son qui per ghibellinismo politico, ma per eresia. «I Ghibellini (scrive lo Schlegel) si distinguevano non solo per uno spirito di superbia lor proprio, e per la prevalenza che volevano dare al temporale sopra lo spirituale, ma per questa massimamente, che negavano la potenza dell' invisibile. » L' opera Gli eretici in Italia di Cesare Cantù può dar larga materia a illustrare questo punto del sacro Poema.

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16-18. Alla dimanda, che Dante espresse ai vv. 7-8. Quine entro, di qui dentro (cf. Inf., XXIX, 89; Purg., XIII, 18. Tosto; dinota intervallo di tempo più o meno lungo : qui, un istante; altrove, qualche ora (Purg., XV, 35), e parecchi anni (Par., IX, 46), ed epoca del tutto indeterminata (Par., XXVII, 67: cf. Purg., XXXIII, 37 e segg.)— Al disio .... che mi taci: e questo desiderio doveva esser quello di sapere se quivi c'erano de' suoi compatriotti; e avendo inteso da Ciacco che Farinata e gli altri là nominati eran di certo all' Inferno, e tra l' anime più nere (dentro cioè alla città di Dite, dove ben maggiore, che non al di fuori, la reità), tutto induce a credere (dal susseguente si spiega l'antecedente) che proprio Farinata e Cavalcante desiderasse di vedere, perchè li sapeva, come nota il Buti, vivuti in sì fatta resia. Questo tacere in Dante vedrem tosto da che provenisse, ma la risposta di Virgilio, che mette in rilievo il tacito desiderio dell' alunno, come non è rimprovero per Dante, manifesta il vero prudente che previene i bisogni delle anime, troppo più rilevanti che non quelli che risguardano il corpo. Nel Conv., IV, 27: Dalla prudenza vengono i buoni consigli, i quali conducono sè ed altri a buon fine nelle umane cose e operazioni.... Nè questo cotale prudente non attende chi gli domandi consiglio; ma preveggendo per lui, senza richiesta, colui consiglia.» Virgilio conosce i pensieri di Dante per intuizione: Inf., XVI, 122; Purg., XV, 127-129.

19-21. Non tegno nascosto .... mio cor, il mio disio (v. 18); ma il disio è passione, onde vale anche affetto; nella Vita N., § XIII: «La donna, per cui amore ti stringe così, non è come le altre donne che leggermente si muova del suo cuore. E nel Convito (II, 7) spiegando il verso:

Udite il ragionar, ch'è nel mio core,

Dante chiosa: «Il cuore si prende per il secreto dentro.» Se non per dicer poco; al solo fine di esser breve per non darti noja, ma non già all' intento di tenerti nascosta cosa veruna. Non pur mo', non solamente ora, cioè, ancor prima d' ora; mo' sincopato dell' avv. lat. modo, ora, voce dell' antico dialetto toscano, ma in appresso diffusasi anche nelle altre province d' Italia (cf. Par., XXXI, 48). -— A ciò disposto, «tu me n' hai ammaestrato, chiosa il Buti, ancora altra volta. Nel Convito (IV, 25), ragionando come un corpo bene ordinato e disposto è bello, conchiude che disposto, rispetto all' anima, altro non significa che acconciato a perfezione d'ordine; onde ordine e non disordine risulta nella disposizione di riserbo, che qui Dante confessa a Vii

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