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5

E quanto a dir qual' era è cosa dura
Questa selva selvaggia ed aspra e forte,

Tu m' hai di servo tratto a libertate,
Per tutte quelle vie, per tutti i modi,
Che di ciò fare avean la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
Si che l'anima mia, che fatt' hai sana,
Piacente a te dal corpo si disnodi

Par., XXXI, 82 e segg.

Queste parole son da raffrontarsi a quelle, che S. Bernardo, in atto d' umile preghiera, rivolge per Dante alla SS. Vergine (Par., XXXIII, 34-37); e si avrà chiaro e irrepugnabile il fine religioso e morale della gran Visione, e perciò del sacro Poema. E qui giova spiegarsi ed intendersi ben bene una volta per sempre sur un punto di capitalissima rilevanza, dalla cui misintelligenza o trascuranza tanto danno provenne alla retta e piena esplicazione della Commedia. L' intento religioso-morale nel Sacro Poema s' alterna non solo ma s'unifica col politico; chi il negasse andrebbe contro a quanto l' Autore stesso ne insegna, e torcerebbe malamente il suo chiaro e fecondo pensiero. La Provvidenza divina, dice nella Monarchia (III, 15), propose all' umanità due fini da conseguire per essere felice, la beatitudine di questa vita e quella della futura, e ciò per diversi mezzi; alla prima si perviene sotto la guida dell' Imperatore, che ne scorge secondo gli ammaestramenti filosofici, e consiste nella operazione della propria virtù all' altra si arriva dietro la guida del Sommo Pontefice, che ne tiene sulla diritta via col mezzo delle verità rivelate, e consiste nella fruizione di Dio : la prima è raffigurata nel Paradiso Terrestre, l' altra nel Celeste. Ognun vede che nel divino Poema non solo v' ha l' uno e l' altro Paradiso, ma che il Poeta, che in sè rappresenta l'umanità tutta quanta, è condotto all' uno e all' altro da due guide ben differenti per intento ed eccellenza, Virgilio e Beatrice. Se vogliasi seguire Dante davvero, e capire e ritrarre degnamente il suo pensiero, tutto ciò deve tenersi ben fisso come norma fondamentale e imprescindibile. Per la Selva ed il Monte cf. Dizionario Dantesco, vol. VIII, Appendice II.

4. E quanto ecc. Lezione preferibile all' altra ahi od ah, perchè maniera narrativa; e così pare richiedere la corrispondenza del tanto al quanto: e la costruzione è: E quanto a dir qual' era è cosa dura... tanto è amara; onde il quanto tanto hanno senso di proporzione. In tal caso l' agg. dura vale ardua, difficile, come nell' Inf., XXXII, 13. Non però è da rifiutarsi la lez. Ahi od ah, pel suffragio di Codici e di Stampe : allora cosa dura varrebbe penosa, rincrescevole, come alcuni intendono l'Inf., III, 12; e il tanto è amara ecc. sarebbe una esplicazione del cosa dura (cf. Inf., XXI, 31).

5. Selva selvaggia ecc. : rammenta il virgiliano cava caverna; perciò non coltivata (Purg., XXX, 118) : non da uomini, ma abitata da fiere selvagge; aspra, intricata, non segnata d'alcun sentiero (Inf., XIII, 3); forte, difficile a percorrersi (cf. Conv., 11, 12). Livio (Dec. III, lib. 1, cap. 25): Ut ex saltu invio atque impedito evasere; e il Nardi tradusse : «Come uscirono de' luoghi aspri e senza via.» Nell' Inf., XIII, 7 : sterpi aspri e folti: nel Purg., II, 66: via aspra e forte il viaggio per l' Inferno. In Isaia (XL, 4) : « erunt prava in directa, et aspera in vias planas.» E giova attendere a questo tratto dello stesso profeta (II, 3) : « Venite, et ascendamus ad montem Domini, et ad domum Dei Jacob; et docebit nos vias suas, et ambulabimus in semitis ejus.» Ciò che fece deviare Dante dalla via dritta fu l'abbandono della divina legge; solo col ritorno a questa troverà il mezzo per ascendere al Monte santo, come vedremo.

Che nel pensier rinnova la paura!

Tanto è amara, che poco è più morte :
Ma per trattar del ben ch' i' vi trovai,
Dirò dell' alte cose, ch' io v' ho scorte.

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6. Che nel pensier ecc., già pur pensando (Inf., XXXIII, 6), cioè anche alla sola ricordanza (Inf., III, 132; XVI, 12). — Rispetto all' allegoria, la selva oscura rappresenta la varia condizione brutale alla quale giunge l' uomo, che si discosta, dalla divina legge e dalla ragione, sommettendo la ragione al talento (Inf., V, 39), seguendo come bestia l'appetito (Purg., xxvi, 84), ovvero piacendosi di vita bestiale e non umana (Inf., XXIV, 124). Saviamente il Giuliani si richiama al seguente tratto di Boezio, autore dilettissimo a Dante, e che tanta parte rischiara dello spirito vitale che informa il sacro Poema (Consol. Philos., lib. IV, par. 3, trad. del Varchi): «Tutto quello che manca del bene, manca ancora dell' essere, del che avviene che i rei lasciano di esser quello che erano. Ma loro essere stati uomini mostra la forma del corpo umano, che ancora ritengono; laonde, essendosi in malizia convertiti, hanno ancora la natura umana perduto. Ma conciossiacosachè sola la bontà possa far gli uomini più che uomini, di necessità è, che la malvagità faccia meno che uomini tutti coloro che ella dalla umana condizione ha tolti e avvallati. Avviene dunque che, cui tu vedi trasformato da vizi, non possa uomo riputarlo. Uno che toglie per forza l' altrui ricchezze, tutto caldo di avarizia, si può dire che sia simile a un lupo. Uno uomo feroce e inquieto, che piatisce e litiga sempre, potrai agguagliare a un cane. Un altro che si diletti di porre agguati, e pigli piacere d' involare l' altrui con inganni e frode, si può adeguare alle volpi. Chi, non possente a raffrenar l'ira, rugge e fremisce per la stizza, si crede aver animo di lione. Alcuno pauroso e fugace, il quale dotti eziandio le cose che non sono da temere, sia a' cervi tenuto simile. Alcuno altro infingardo e balordo sta come se fosse tutto d' un pezzo e intormentito? dicasi che visse la vita degli asini. Chi essendo leggero ed incostante, muta voglia e pensieri a ogn' ora, non è in nulla dagli uccelli differente. Colui, il quale nelle sporche e sozze lussurie s' attuffa, piglia quei medesimi brutti piaceri che i porci pigliano. E così avviene di chi abbandona la virtù, lascia d' esser uomo, e non potendo egli divenire Dio, si trasmuta in bestia. Su di che cf. Conv., II, 8, e IV, 7. Ora leggasi il Purg., XIV, 20 e segg., dove il Poeta descrive i tralignati Toscani.

7. Tanto è amara ecc., non la selva, come vogliono molti, ma la cosa a dire.

8. Trattar ecc. Cf. Par., IV, 15 (e coll' accus., Conv., IV, 15); per questo la Commedia è detta dall' Autore tractatus (Epist. X, § 33).

9. Alte cose; la lez. altre farebbe credere che queste cose dovessero guardarsi come contrarie al bene, mentre costituivano il bene stesso, che il Poeta trovò nella selva. Il dire quale fosse la selva gli tornava malagevole ed amaro; pertanto, lasciando di quella, si risolve a dire dell' alte cose, che sono quell' alta fantasia, che il Poeta descrisse (Par., XXXIII, 143), ovvero il soggetto del Poema (cf. Inf., 11, 6; Purg., 1, 6; Par., 1, 12); e sono per l'appunto, almeno in parte, quelle ch' egli rammenta nel suo ringraziamento a Beatrice (Par., XXXI, 82); e che tutte si racchiudono nel potente significato della írase mi ritrovai, che luminosamente si congiunge in tutto ciò che di alto e maraviglioso comprende la Visione, con che si conchiude la Vita Nuova benchè ampliata nella narrazione. Chi legge altre, e con ciò di necessità intende il monte, le fiere, gli sforzi del Poeta, l' incontro di Virgilio, e simili, non s'avvede che tutte queste cose avvennero fuori e non dentro della selva. Soprachè, a leggere alte per altre mi persuade anche quella norma

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E quanto a dir qual' era è cosa dura
Questa selva selvaggia ed aspra e forte,

Tu m' hai di servo tratto a libertate
Per tutte quelle vie, per tutti i modi,
Che di ciò fare avean la potestate.

La tua magnificenza in me custodi,
Si che l'anima mia, che fatt' hai sana,
Piacente a te dal corpo si disnodi

Par., XXXI, 82 e segg.

Queste parole son da raffrontarsi a quelle, che S. Bernardo, in atto d' umile preghiera, rivolge per Dante alla SS. Vergine (Par., XXXIII, 34-37); e si avrà chiaro e irrepugnabile il fine religioso e morale della gran Visione, e perciò del sacro Poema. E qui giova spiegarsi ed intendersi ben bene una volta per sempre sur un punto di capitalissima rilevanza, dalla cui misintelligenza o trascuranza tanto danno provenne alla retta e piena esplicazione della Commedia. L'intento religioso-morale nel Sacro Poema s' alterna non solo ma s' unifica col politico; chi il negasse andrebbe contro a quanto l' Autore stesso ne insegna, e torcerebbe malamente il suo chiaro e fecondo pensiero. La Provvidenza divina, dice nella Monarchia (III, 15), propose all'umanità due fini da conseguire per essere felice, la beatitudine di questa vita e quella della futura, e ciò per diversi mezzi; alla prima si perviene sotto la guida dell' Imperatore, che ne scorge secondo gli ammaestramenti filosofici, e consiste nella operazione della propria virtù all' altra si arriva dietro la guida del Sommo Pontefice, che ne tiene sulla diritta via col mezzo delle verità rivelate, e consiste nella fruizione di Dio : la prima è raffigurata nel Paradiso Terrestre, l' altra nel Celeste. Ognun vede che nel divino Poema non solo v' ha l' uno e l'altro Paradiso, ma che il Poeta, che in sè rappresenta l'umanità tutta quanta, è condotto all' uno e all' altro da due guide ben differenti per intento ed eccellenza, Virgilio e Beatrice. Se vogliasi seguire Dante davvero, e capire e ritrarre degnamente il suo pensiero, tutto ciò deve tenersi ben fisso come norma fondamentale e imprescindibile. Per la Selva ed il Monte cf. Dizionario Dantesco, vol. VIII, Appendice II.

4. E quanto ecc. Lezione preferibile all' altra ahi od ah, perchè maniera narrativa; e così pare richiedere la corrispondenza del tanto al quanto: e la costruzione è: E quanto a dir qual' era è cosa dura... tanto è amara; onde il quanto tanto hanno senso di proporzione. In tal caso l' agg. dura vale ardua, difficile, come nell' Inf., XXXII, 13. Non però è da rifiutarsi la lez. Ahi od ah, pel suffragio di Codici e di Stampe allora cosa dura varrebbe penosa, rincrescevole, come alcuni intendono l'Inf., III, 12; e il tanto è amara ecc. sarebbe una esplicazione del cosa dura (cf. Inf., XXI, 31).

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5. Selva selvaggia ecc. : rammenta il virgiliano cava caverna; perciò non coltivata (Purg., XXX, 118) : non da uomini, ma abitata da fiere selvagge; aspra, intricata, non segnata d' alcun sentiero (Inf., XIII, 3); forte, difficile a percorrersi (cf. Conv., 11, 12). Livio (Dec. 111, lib. 1, cap. 25): Ut ex saltu invio atque impedito evasere; e il Nardi tradusse : «Come uscirono de' luoghi aspri e senza via.» Nell' Inf., XIII, 7 : sterpi aspri e folti: nel Purg., II, 66: « via aspra e forte il viaggio per l' Inferno. In Isaia (XL, 4) : « erunt prava in directa, et aspera in vias planas.» E giova attendere a questo tratto dello stesso profeta (II, 3) : « Venite, et ascendamus ad montem Domini, et ad domum Dei Jacob; et docebit nos vias suas, et ambulabimus in semitis ejus. Ciò che fece deviare Dante dalla via dritta fu l'abbandono della divina legge; solo col ritorno a questa troverà il mezzo per ascendere al Monte santo, come vedremo.

Che nel pensier rinnova la paura!

Tanto è amara, che poco è più morte :
Ma per trattar del ben ch' i' vi trovai,
Dirò dell' alte cose, ch' io v' ho scorte.

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6. Che nel pensier ecc., già pur pensando (Inf., XXXIII, 6), cioè anche alla sola ricordanza (Inf., III, 132; XVI, 12). Rispetto all' allegoria, la selva oscura rappresenta la varia condizione brutale alla quale giunge l' uomo, che si discosta, dalla divina legge e dalla ragione, sommettendo la ragione al talento (Inf., V, 39), seguendo come bestia l'appetito (Purg., XXvi, 84), ovvero piacendosi di vita bestiale e non umana (Inf., XXIV, 124). Saviamente il Giuliani si richiama al seguente tratto di Boezio, autore dilettissimo a Dante, e che tanta parte rischiara dello spirito vitale che informa il sacro Poema (Consol. Philos., lib. IV, par. 3, trad. del Varchi): «Tutto quello che manca del bene, manca ancora dell' essere, del che avviene che i rei lasciano di esser quello che erano. Ma loro essere stati uomini mostra la forma del corpo umano, che ancora ritengono; laonde, essendosi in malizia convertiti, hanno ancora la natura umana perduto. Ma conciossiacosachè sola la bontà possa far gli uomini più che uomini, di necessità è, che la malvagità faccia meno che uomini tutti coloro che ella dalla umana condizione ha tolti e avvallati. Avviene dunque che, cui tu vedi trasformato da vizi, non possa uomo riputarlo. Uno che toglie per forza l' altrui ricchezze, tutto caldo di avarizia, si può dire che sia simile a un lupo. Uno uomo feroce e inquieto, che piatisce e litiga sempre, potrai agguagliare a un cane. Un altro che si diletti di porre agguati, e pigli piacere d' involare l' altrui con inganni e frode, si può adeguare alle volpi. Chi, non possente a raffrenar l'ira, rugge e fremisce per la stizza, si crede aver animo di lione. Alcuno pauroso e fugace, il quale dotti eziandio le cose che non sono da temere, sia a' cervi tenuto simile. Alcuno altro infingardo e balordo sta come se fosse tutto d' un pezzo e intormentito? dicasi che visse la vita degli asini. Chi essendo leggero ed incostante, muta voglia e pensieri a ogn' ora, non è in nulla dagli uccelli differente. Colui, il quale nelle sporche e sozze lussurie s' attuffa, piglia quei medesimi brutti piaceri che i porci pigliano. E così avviene di chi abbandona la virtù, lascia d' esser uomo, e non potendo egli divenire Dio, si trasmuta in bestia.» Su di che cf. Conv., II, 8, e IV, 7. Ora leggasi il Purg., XIV, 20 e segg., dove il Poeta descrive i tralignati Toscani.

7. Tanto è amara ecc., non la selva, come vogliono molti, ma la cosa a dire.

8. Trattar ecc. Cf. Par., IV, 15 (e coll' accus., Conv., IV, 15); per questo la Commedia è detta dall' Autore tractatus (Epist. X, § 33).

9. Alte cose; la lez. altre farebbe credere che queste cose dovessero guardarsi come contrarie al bene, mentre costituivano il bene stesso, che il Poeta trovò nella selva. Il dire quale fosse la selva gli tornava malagevole ed amaro; pertanto, lasciando di quella, si risolve a dire dell' alte cose, che sono quell' alta fantasia, che il Poeta descrisse (Par., XXXIII, 143), ovvero il soggetto del Poema (cf. Inf., II, 6; Purg., 1, 6; Par., I, 12); e sono per l'appunto, almeno in parte, quelle ch' egli rammenta nel suo ringraziamento a Beatrice (Par., XXXI, 82); e che tutte si racchiudono nel potente significato della írase mi ritrovai, che luminosamente si congiunge in tutto ciò che di alto e maraviglioso comprende la Visione, con che si conchiude la Vita Nuova benchè ampliata nella narrazione. Chi legge altre, e con ciò di necessità intende il monte, le fiere, gli sforzi del Poeta, l' incontro di Virgilio, e simili, non s'avvede che tutte queste cose avvennero fuori e non dentro della selva. Soprachè, a leggere alte per altre mi persuade anche quella norma

IO

I' non so ben ridir com' io v' entrai;
Tant' era pien di sonno in su quel punto,
Che la verace via abbandonai.

Ma poi ch' io fui al piè d' un colle giunto,

rettorica, che il nostro Autore espone in queste parole : « Potentissima persuasione a rendere l' uditore attento è promettere di dire nuove e grandiose cose (Conv., II, 7. Ivi, 1, 10: altissimi e novissimi concetti). E nella Epist. a Cane (§ 19) : in utilitate dicendorum benevolentia paratur; in admirabilitate attentio; in possibilitate docilitas. Notino i giovani come questa selva o valle sia in dritta opposizione al monte dilettoso (v. 77), che risponde a capello alla divina foresta (cf. v. 13), al terrestre Paradiso, simbolo della felicità di questa vita (Mon., III, 15), dato da Dio al primo uomo per arra d'eterna pace (Purg., XXVIII, 93), e dove, perchè innocente, fu felice (ivi, 140-42). Infatti qui tenebre (v. 2), ivi luce (Purg., XXVII. 133; XXVIII, 3; XXIX, 23); ivi l'innocenza e la felicità, qui il peccato e la miseria: donde l'alto officio del benefico Autore, e oggetto finale del Poema, di mostrare il modo onde dallo stato di miseria si può arrivare a quello della felicità (cf. Epist. X, 14).

10. Il Poeta non lo sa, ma ben glielo farà ricordare Beatrice, la quale, perchè vigilava in Dio, tutto conosceva (Purg., XXX, 103-105); e sarà bene rileggere qui quel tratto (Purg., XXX, 72-145; XXXI, 1-63).

II. Pien di sonno ecc. S. Agostino: somnus animæ est oblivisci Deum. Questo sonno s' insinua nell' anima e vi s' indonna mano mano che l' uomo si lascia prendere al falso piacere delle cose presenti (Purg., XXX, 34), e seguendo false immagini di bene, va per via non vera (ivi, XXX, 130-31), finchè, sordo ad ogni buona ispirazione, precipita ne' maggiori disordini, nella selva selvaggia, (ir 1, 133-138). Dei difetti a impedire l' uomo al bene ed al vero, Dante scrive: «Dalla parte dell' anima è, quando la malizia vince in essa, sicchè si fa seguitatrice di viziose dilettazioni, nelle quali riceve tanto inganno, che per quella ogni cosa tiene a vile » (Conv., 1, 1: cf. Diz. Dant., artic. IMPEDIMENTO). La condizione del peccatore indurato alle voci della grazia così Dante ritrae : « Si male ausa rependere vobis terrori non est, territet saltem obstinata præcordia, quod non modo sapientia, sed initium eius ad pœnam culpæ vobis ablatum est. Nulla etenim conditio delinquentis formidolosior, quam impudenter et sine Dei timore quidquid libet agentis. Hac nimirum persæpe animadversione percutitur impius, ut moriens obliviscatur sui, qui dum viveret oblitus est Dei » (Epist. VI, 2).

12. Verace via ecc. La via diritta (v. 3) o vera (Purg., XXX, 130), che è la via di verità e di vita (Par., VII, 39), dalla quale si diparte l' uomo cercando la felicità dove non la può essere, bruttandosi perciò di colpa. Nel Conv., II, 12 : « Veramente così questo cammino (che conduce l'anima a Dio) si perde per errore, come le strade della terra....... Nella vita umana sono diversi cammini, delli quali uno è veracissimo, e un altro fallacissimo, e certi men fallaci, e certi men veraci.» E ivi, 22 : «Uno solo calle è quello che noi mena alla nostra pace» (cf. commento Purg., XXX, 123).

13. Al piè d' un colle ecc. Altri appiè (cf. Inf., X, 40; XVI, 154). Colle; altrove è detto monte (cf. v. 77, e II, 120). Il significato allegorico di questo colle è in dritta opposizione a quello della selva o valle; vi s' attagliano le parole di Sant' Agostino (Lib. 1 de Serm. Dom, in Monte) : « Si quæritur quid significet mons, bene intelligitur significare majora præcepta justitiæ.» E Sant' Ambrogio (Lib. 5 Comm. in Luc., cap. 6) : «Non vestigiis corporalibus, sed factis sublimioribus in hunc montem ascende, et sequere Christum.»

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