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maseo, che mai non deve giacere in vile riposo. In Plutarco il tempo è Dio sotterraneo e terrestre. Perchè nell' Isola di Creta, e proprio dentro dal monte Ida piacesse a Dante di collocare il simbolico suo Vegilo, è facile a capirsi, tanto solo che si ripensi con quanto studio ed amore egli va sempre raccogliendo quelle antiche tradizioni, che gli davano occasione e gli porgevano come l'addentellato a quegli avvedimenti morali, ch' erano il suo intento finale. Creta, secondo gli antichi, era nel mezzo delle tre parti del mondo allora conosciute, e potè perciò essere guardata come principio dell'uman genere, che indi si disperse sulla faccia della terra; soprachè, fu regno di Saturno (col quale dicono i poeti che cominciasse del mondo la prima età); e l' Ida, gia culla di Giove, gli faceva ricorrere al pensiero il verso di Virgilio (1),

Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna, verso che traduce nel Poema (2), commenta nella Monarchia (lib. 1, cap. 13), e riferisce nell' Epistolario (Epist. VII, 1). Il Veglio tiene le spalle volte a Damiata, cioè all' oriente; dall' oriente si propagò all' occidente l' umanità, pur sempre nel suo viaggio peggiorando; e d' oriente in occidente (secondo l'astronomia di Dante) girano i Cieli, e perciò il tempo. Se il Veglio guarda Roma come suo speglio, gli è perchè dopo smarrita l''innocenza e perdutasi l'umanità nell' idolatria e nei conseguenti errori morali, Roma doveva essere il gran faro, donde, nell' ordine provvidenziale, si sarebbe diffusa su tutta l'umanità la luce del rinnovamento morale e politico dei popoli, Roma di tutto il mondo rifacendo una sola famiglia, essendo la santa città da Dio costituita così, mediante il Papa e l' Imperatore, da esser fida e sicura scorta a tutta l'umanità a conseguire la sua duplice felicità, temporale ed eterna; nè, secondo Dante, sarà mai sperabile che il mondo a ciò arrivi, senza la guida di Roma, nè che, una volta per sua colpa smarritosi, possa rifarsi sulla buona strada, e racquistare forza e sicurezza pel buon cammino senza il doppio Direttivo, dato all' umanità da Dio, che sono il Papa e l' Imperatore, ambedue Soli di Roma a guida del mondo.

Nella statua, nota il Tommaseo, in cui Daniele figura gli imperi del mondo antico, Dante vuole rappresentare non solo le età del mondo civile, ma si gli atti del mondo morale e le varie nature degli uomini, santi, buoni, men buoni, cattivi, pessimi e vili. Congiungendo l' idea biblica con la tradizione mitologica delle quattro età da Ovidio descritte, congegna l'immagine simbolica dell' umana vita.

Non v' ha dubbio adunque, almeno per me, che nella testa del Veglio di fin oro formata il nostro Poeta simboleggia precisamente quello che Ovidio intende coll' aurea aetas, e col saturnia regna Virgilio (3); e di conseguenza nel Veglio non può intendersi che il corso dell' umanità, che da innocente e perciò felice giunge fino alle maggiori abbiezioni per tanto crescere e succedersi d' errori e di mali, quant' è la distanza di pregio dall' oro all' argilla; dipinge insomma l' umanità nello stato d' innocenza e nel suo travagliarsi dopo la colpa primitiva, non altrimenti ch' egli fa nel Paradiso (VII, 25-33, e 79 e segg.) e nel Convito (IV, 5).

E anche la fessura, onde la statua del Veglio è rotta, tranne in ciò che è d'oro, viene a rincalzo; son pressochè tutti d'accordo i chiosatori a ricono

(1) Ecl. IV, 6.

(2) Traducendo Saturnia regna colle parole primo tempo umano (Purg., XXII, 70), parmi chiara l' allusione a Saturno, divinità d'origine romana, col chronos (tempo) dei Greci.

(3) E si noti questa parola sulla prima età del mondo (Purg., XXII, 148) :

Lo secol primo quant' oro fu bello;

e quello che Matelda dice al Poeta circa al Paradiso terrestre (Purg., XXVIII, 139-142), ove ricorre la frase l' età dell' oro.

scere in quella fenditura il simbolo della perduta innocenza; le ferite dell'anima portan lagrime (1), e d' altre colpe son cagione, sino ad affievolirne il corpo sociale. Siccome integro vale puro; e sano agli antichi Toscani e a' presenti e nel regno di Napoli (— e anco a Roma -) vale intero (2); così rotto e corrotto dicono il peggiorare dell' anima (Tommaseo). E da ciò si capisce perchè, rotta quella stretta unità, che formava la Monarchia perfetta, l'uman genere si scinda, e diventi schiavo e infelice (cf. Mon., 1, 7, 14, 17); e si capiscono ancor meglio le accalorate perole, con che, riferendosi a Costantino, l'Autore conchiude il libro primo e secondo della Monarchia. E fuori della Monarchia, quale Dante la intendeva, l' umanità non ha che errori e lagrime.

Io dunque non posso ammettere che nelle parti, onde la statua del Veglio si compone, sia da scorgere il succedersi delle varie Monarchie, come intendono i più dei commentatori, dai più antichi giù giù sino al Casini. Se si ammette nel Veglio tale concetto politico, si chiede : e quando fu l'età che, in fatto di reggimento civile possa paragonarsi alla testa del Veglio? con Pietro di Dante tutti mi rispondono che fu il tempo di Saturno: benissimo; e ciò conviene anche per quanto sentimmo dal nostro Autore rispetto a quel re Cretese. E l'argento quale monarchia raffigurava? molti tacciono, forse conscii della difficoltà di rispondere; ma il Lubin con qualche altro opina che significhi gli imperi degli Assiri, Caldei e Medi (cominciano a divenir troppi per un solo metallo!); il rame significherebbe l'impero dei Greci, che poi passò nei Romani, ancor detoriorando; quindi si biforcò nell' Impero Orientale ed Occidentale : « l'impero Occidentale, ch'è rappresentato nella gamba destra, ha il piè di terra cotta, dacchè i Papi ne contendono al Monarca il potere » (Lubin).

Sia pure che abbia dalla sua il maggior numero di segnaci, ma questa spiegazione a me lascia tre fortissimi dubbi, che propongo all' altrui osser

vazione.

Primo dubbio. Se nel Veglio Dante avesse inteso di simboleggiare il succedersi delle varie Monarchie, perchè far tanto piangere l' umanità, se da un governo d'oro era passata ad uno d'argento? un governo tale, in difetto del primo, sarebbe ben augurabile anche ai dì nostri a tutte le nazioni; e lo volesse Iddio! Nè veggo perchè un simile governo dovesse esser cagione di tante tribolazioni, e tali che pei disordini derivanti sia in parte cagione che si formino per l' inferno fiumi di colpe.

Secondo dubbio. I seguaci del concetto politico nel Veglio, che nel ferro veggono l'Impero Romano, come faranno a sbrigarsela con Dante, che quell' Impero faceva scaturire de Fonte pietatis (Epist., V, 3; Mon., II, 5), cioè da Dio, Imperium pium (Epist., v1, 2), Impero cioè, secondo Dante, pieno di mitezza e di carità; il qual Dante, per giunta alla derrata, vuole e predica che fosse redivivo quello di Saturno, tempo ottimo, tempo aureo (Mon., I, 13), e questa opinione la ridice in cento guise nella Monarchia, la predica nell' Epistolario, la sostiene a lungo nel Convito, e la rafferma nel Poema? (3)

Terzo dubbio. Il rame giunge precisamente fino alla forcata, cioè come spiegano, dove il tronco si divide negli arti inferiori : benone! ma se alla forcata (cioè in quel punto dove il tronco si divide ne due arti) comincia precisamente, come vedemmo, l' Impero Romano; e se (udimmo del pari) la forcata si

(1) Quella che Cristo riconciliatore dell' uomo pervertito e sanatore delle piaghe delle anime venne a portare al mondo, il Poeta la chiama la molt' anni lagrimata pace (Purg., X, 35).

(2) Per la racquistata innocenza Virgilio dice a Dante (Purg., XXVII, 140):

Libero, sano, dritto è tuo arbitrio.

(3) Veggasi Appendice VI, § 4.

gnificar per l' appunto la divisione dell' Impero in Orientale ed Occidentale fatta da Teodosio il grande (ann. 395), che cosa rimane per indicarci quella strettissima unità, che l' Impero pur ebbe, per lo meno, da Augusto a Costantino, il che vuol dire per trecento cinquant'anni e più? e tre secoli e mezzo nel corso dell' umanità vi sembrano un' inezia, una cosa trascurabile per Dante, che tanta mole d'Impero così uno e per ciò così buono (Mon., 1, 7 e 16) celebra in cento guise, e ne invoca in altre cento la rinnovazione a salute del mondo? Posta pertanto l' irrefutabile opinione di Dante che si a lapsu primorum Parentum, dispositiones hominum et temporum recolamus, non inveniemus, nisi sub Augusto Monarcha, existente Monarchia perfecta, mundum undique fuisse quietum; e poi : et quod tunc humanum genus fuerit felix in pacis universalis tranquillitate tutte le istorie lo attestano (Mon., 1, 18); se nel Veglio si vuol discernere senza distinzione l'umanità da Adamo fino a noi, come mai nel ferro vedere l' Impero Romano? Se il tempo di Augusto era per Dante la pienezza dei tempi (loc. cit.), nè tanta pace e felicità ebbe mai l'uman genere simili a quelle da che mondo è mondo, come si fa a metter d'accordo l'Autore con sè stesso, posto che nel Veglio egli intendesse l'uman genere tutto quanto, dalla sua origine insino al 1300 dell' éra volgare? Pertanto a me pare affatto necessario ammettere una distinzione nell' umanità in due grandi periodi, da Adamo a Cristo, e da Cristo in giù. Dall' oro dell' innocenza, via via procedendo di male in peggio, il genere umano giunse alla più miserabile abbiezione, all' argilla; nè occorrono citazioni dalle Opere di Dante a provare la sua opinione su ciò. Cristo rinnovò il mondo; e la pianta prima dispogliata di fiori e d' ogni fronda, al contatto della Chiesa, da Cristo fondata e guidata, rigermoglia floridamente (Purg., XXXII, 59): dunque l'argilla, per miracolosa opera di Provvidenza, si rimuta in oro, e l' umanità fatta buon mondo (Purg., XVI, 106), ricomincia il nuovo suo corso, come ai tempi di Saturno, per rimutarsi nel giro dei secoli di bene in male e di male in pessimo; siamo dunque, in certa guisa, ai ricorsi del Vico.

E ad una terza rinnovazione del mondo volgeva Dante ogni suo sforzo e tutte le sue mire; e di tale rinnovazione ei non disperò, certo pensando che Dio ha fatto sanabili i popoli, e che l' incalzarsi delle sciagure e dei malanni morali e politici, anzichè insinuare sfiducia e abbandono, deve rendere più viva ed efficace la fede che non sia lontano il divino provvedimento a riparo del mal fare e della cecità degli uomini. (Purg., VI, 118-123). E ben conscio del dettato, che quando nella politica le cose son guaste è duopo ritornarle ai loro principî; non per altro intento che per codesta vagheggiata e sperata rinnovazione morale del mondo scrisse la Monarchia, mettendo dinanzi agli occhi di tutti in qual modo l'umanità sia stata un tempo felice, per implicitamente conchiudere che per modo eguale poteva felice ridivenire

novamente.

CANTO XV.

Ora cen porta l' un de' duri margini;
E il fumo del ruscel di sopra aduggia
Sì, che dal fuoco salva l' acqua e gli argini.

Quale i Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,

I

1-3. Ora, proseguendo il nostro viaggio; - cen porta ecc.; procediamo sul dosso d' uno de' due argini del Flegetonte (cioè l' argine destro, cf. v. 97, nel commento), resi duri, pietrificati, fatti pietra (cf. Inf., XIV, 83, nel commento). Il Poeta n' ha gia detto che questi margini eran fatti pietra; onde qui duri parrebbe ozioso; e così più sotto (Inf., XX, 26 e XXX, 43) dice duro scoglio (cf. Inf., XVIII, 8); e nel Purg, XIX, 48, le pareti del duro macigno; ma se ben si badi, duro ha in questi luoghi il significato di tutto di pietra, non fatto di pezzi di macigno, come ne' nostri manufatti, ma come sono le rocce de' monti. Il fumo, il vapore che s' innalzava da quell' acqua bollente. Ruscel, cf. Inf., XIV, 121. Aduggia, fa ombra e nebbia spegnitrici delle fiamme (così aduggiare altrove, moralm., per ispegnere il vero sentimento cristiano, Purg., XX, 44). Dal fuoco, che cadea in dilatate falde (cf. Inf., XIV, 29); salva, protegge, difende l'acqua del fiume e gli argini. Altri leggono salva l' acqua gli argini; e allora, come osserva lo Scartazzini, significa che quel fumo era sì denso, che convertendosi in acqua, salvava dal fuoco gli argini.

4-6. Quale i Fiamminghi ecc. Il Cesari: «Bel costume di Dante, che assai spesso trae le similitudini non da fatti o accidenti generali del mondo, come dal mare, dai venti ecc., ma da particolari e propri di qualche provincia o città, che fanno miglior pruova; perchè quanto l' idea è più particolareggiata, tanto piace più, facendo al lettore imparare cosa men nota.»- -Guizzante (i più leggono Guzzante), terra di Fiandra, di cui oggi non resta più traccia, dice qualche commentatore; e forse la traccia non ci fu mai, perchè nessuno seppe mai di questo luogo additare l'esistenza; la dissero città sul mare, a circa cinque miglia da Bruggia. Il Lami (cf. Dizionario Dant., art. GUZZANTE) vuol provare che Guzzante nell' originale idioma olandese suona e scrivesi Hadzant (Filalete traduce Cadsand), e ne afferma che non è piccola villa, ma isola e convenevole città. È situata di contro le molte isolette della Zelandia verso il nord, e dirimpetto a Sluis, ossia l' Ecluse verso l' est, la città circa sette leghe dirittamente da Bruges distante. Il Luytz la chiama Cadsenda o Cadsant cum munimento ejusdem nominis; e il Moreri nel suo dizionario, Cassandt e Cassant, ma alcuni la confondono poi con Cassandria, ch'è altra terra nell' isola medesima; imperciocchè oltre Cadzand, aveavi in essa isola altre due città, Oostborg e Ysendych con tre altre piccole terre, Breskens, Willemsdop e Cassandria. Misurava un tempo sette miglia in larghezza e dodici in lunghezza (da 60 al grado); ma col decorrere del tempo il mare per gli incessanti marosi più che metà n' ha tranghiottita. Pier di Dante, a mettere in chiaro la ragione di tali dighe, chiosa: ... De arginibus illis infernalibus similitudinarie ad illos de Brenta et de Flandria, factos ad reparandum flottum, idest aggressum maris Oceani. < Witsand o Weissand (sabbia bianca), villagio della Fiandra, propinquo al mare. Alcuni mss. leggono Guizzante. > Blanc. Si osservi, annota il ch. prof. Dalla Vedova (cf. Dante e Padova, pag. 89), che 15 chilometri a $. O. di Calais trovasi nelle carte più copiose della Francia un paesetto chiamato

5

ΙΟ

Temendo il fiotto, che in vêr lor s' avventa,
Fanno lo schermo, perchè il mar si fuggia;
E quale i Padovan lungo la Brenta,
Per difender lor ville e lor castelli,
Anzi che Chiarentana il caldo senta;
A tale imagine eran fatti quelli,

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3

Wissant; designato precisamente e chiaramente da un trecentista e fiorentino, Giov. Villani (Cron., XII, 68) col nome di Guizzante; che Calais e Wissant ai tempi di Dante appartenevano appunto ai paesi della Fiandra, e che anche presentemente la diga fiamminga non si arresta al confine della Fiandra e nemmeno al confine della così detta Fiandra francese, ma continua innanzi Calais appunto verso il detto Wissant (V. il Nuovo Atlante del Kiepert, tav. 20, Berlino. 1860). Trovandosi Wissant verso il confine occidentale della Fiandra Dantesca, Bruggia verso l' orientale, apparisce che Dante con que' due nomi volle indicare la diga fiamminga da un capo all' altro del paese. La distanza dei due luoghi è presso a 120 chilometri o 65 miglia geografiche italiane; e il Poeta più che segnare i confini della Fiandra, intese di stabilire i termini estremi di quella diga quale era a' suoi tempi. — Bruggia, Bruges, città capitale della Fiandra occidentale (cf. Purg., XX, 46). Fiotto, il flusso del mare; quella parte d' Europa è detta appunto Paesi Bassi, per essere di poco sopra il livello del mare, e perciò soggetta alle alluvioni S'avventa; dice l' impeto, e lascia immaginare ancor più grande e forte alla resistenza lo schermo. Schermo, il riparo, le dighe, argini grossi et alti, dice il Buti; e G. Villani (XII, 54) fa menzione di queste dighe, argini alzati per forza, a modo del Po, alla riva del mare per riparare il frotto. Il mar si fuggia, si ritiri, torni indietro risospinto da quegli argini; e ricorda Virgilio (Æn., x1, 62).

di esso.

Qualis ubi pontus

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Nunc ruit ad terras, scopulosque superiacit undam...;
Nunc rapidus retro, atque æstu revoluta resorbens
Saxa, fugit.

E tali dighe ricordano al lettore i famosi Murazzi a simile intento eretti dai
Veneziani, e sui quali fu incisa l' iscrizione del Dalle Laste : AERE VENETO,
AUSU ROMANO.

7-9. E come i Padovani, prima che la Brenta ingrossi per lo sgelarsi delle nevi sul monte Carenzana, fanno lo schermo lungo la Brenta, o meglio riparano gli argini di quel fiume, per proteggere da alluvioni le loro ville e i loro castelli (cf. Dante e Padova, loc. cit., dove su ciò scrisse dottamente G. Dalla Vedova). Chiarentana: 11 Brenta esce dai laghi di Caldonazzo nel Trentino; presso tali luoghi c'è un monte chiamato tuttavia Carenzana, come dimostrò il Lunelli; ciò basta per mandare tra le fantasie quanto fu scritto di Carintia, e d' altro, facendo orribile strazio della geografia e financo del buon senso (cf. Diz. Dant. vol. VIII, App. xv). - Il caldo senta, prima che sopraggiunga a farsi sentire il caldo, il quale sciogliendo le nevi di quel monte, fa crescere i laghi, donde sgorga il Brenta.

10-12. Qui sono gli argini del Flegetonte, che son fatti a immagine delle dighe fiamminghe e di quelli del Brenta; altrove sono le bolge che, come fossi, fanno immaginare de fossi, che cingono le mura de' castelli (Inf., XVIII, 10-13). Gli argini del Flegetonte eran fatti a somiglianza delle dighe de' Fiamminghi (<argini grossi et alti dal lato, fatti di roveri e grosse le sponde; cioè le due pareti da ogni lato bene concatenate, messa la terra e ripieno in mezzo tra li detti due steccati, perchè tra quelli scorra l' acqua

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