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falsamente ecc.; il furto da me commesso fu poi con falsità imputato od altri. Su di ciò veggasi la NOTA in fine di questo Canto.

140-142. L' Alfieri notò il primo. Di tal vista, dell' avermi veduto tra' ladri (cf. v. 134). Godi, goda. Velenosa anzi diabolica rappresaglia; temendo il dannato, che fu di parte Nera, che Dante, di parte Bianca, gioisse di averlo quivi scoperto, e ne menasse al mondo trionfo co' suoi Bianchi in obbrobrio de' Neri, gli fa l' amara predizione. Se mai sarai ecc.; se tor

nerai fuor di questo Inferno. Se mai, se un dì, se quando che sia (cf. Inf., XX, 97; XXVIII, 74; Purg., XVII, 1; XIX, 136; XXIX, 37-8; Par., XXV, 1, e altrove). — Luoghi bui, cioè buia contrada (Inf., vIII, 93), valle buia (Inf., XII, 86). Consimile sentenza in consimili parole altrove (Inf., XVI, 82-83). · Apri gl: orecchi; è il primo atto, quasi la preparazione del senso dell' udito, distraendolo da altre cose, per udire; così altrove, di cosa intellettuale : Apri alla verità, che viene, il petto (Purg., XXV, 67); e Par., V, 40 :

Apri la mente a quel ch' io ti paleso;

e nel Conv., IV, 15 : « Tempo è d' aprire gli occhi alla verità. » Nell' Epist., V, 10 Aperite oculos mentis vestræ, ac videte. L'annunzio o vaticinio del Fucci, in sostanza, non è altro che quanto Dante, circa ai partiti di Firenze, intese già dire da Ciacco e da Farinata; alle quali profezie, per quanto risguarda più davvicino il Poeta, si può aggiungere anche quella di Brunetto.

143-144. Due fatti distinti accenna qui il dannato, ma in piena relazione tra loro; la cacciata di parte Nera da Pistoia, prevalendo i Bianchi; poi la cacciata de' Bianchi da Firenze per opera de' Neri. I Neri furono sbanditi da Pistoia nel maggio nel 1301, essendo il partito de' Bianchi fortemente spalleggiato dai Bianchi di Firenze, specialmente dai Cerchi. -- Si dimagra, si spopola; gli abitanti, osserva il Tommaseo, sono come il succo della vita civile. Altrove, per città popolosa, ricorre l'idea di grasso (Par., XVI, 70-71).

Poi, qualche tempo appresso; cioè cominciando dai primi di Novembre dello stesso anno, quando Carlo di Valois, sotto finte apparenze di paciere, entrò in Firenze, scalzò il partito de' Bianchi dando il governo della città al partito Nero; onde Firenze rinnova genti, cacciandone i Bianchi e richiamando dall' esiglio i loro avversari;-e modi, maniera di governare. Questa frase rinnovar genti e modi ben si commenta coll' altro luogo del Purg., VI, 146-147.

145-150. Marte, il dio della guerra, trae di Val di Magra un vapore ecc. Val di Magra, valle così appellata dal fiume Magra, che la percorre, il qual fiume (Par., IX, 89-90)

per cammin corto

Lo Genovese parte dal Toscano;

e fa parte della Lunigiana, patria de' Malaspina (cf. Purg., VIII, 116). E alle foci della Magra (in faucibus Macra, come dice, autentica o no, la Epistola di Frate Ilario) era situato il Monastero del Corvo. Vapor, vapore fulmineo, fulmine di guerra; intende Moroello Malaspina. Questi (al quale, se è autentica, Dante indirizzò quella Epistola, che vien terza nell' ediz. del Giu

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liani) era figlio di Manfredi marchese di Giovagallo, e nipote di Corrado il vecchio (cf. Purg., VIII, 116-119); successe al padre nel 1282, e sposò Alagia de' Fieschi (cf. Purg., XIX, 142-145); era poi cugino di Franceschino da Mulazzo, presso il quale Dante fu ospite (cf. Dizionario Dantesco, vol. VIII, Append. XIII). I Neri di Pistoia, cacciati in esiglio, s'unirono ai Lucchesi, alleati de' Neri di Firenze, e questi capitanati di Moroello nel 1302 posero l'assedio al castello di Serravalle, tra Pistoia e Valdinievole, che dopo fiera resistenza cedette. Per Campo Piceno, s' intende quel tratto del territorio Pesciatino (Piscense o Pisceno dice il Bianchi) che da Serravalle si protende fino a Montecatini. Altri intendono le parole del Fucci doversi riferire all' assedio e presa di Pitoia nel 1306; altri ancora che sia avvenuta una vera battaglia nel 1302 proprio su Campo Piceno; ma di questa non fan cenno nè il Compagni nè il Villani. - Di torbidi nuvoli involuto, accompagnato da turbida e bellicosa gente, spiega il Bargigi; onde il Bianchi ed altri chiosatori vedrebbero qui accennati i soldati di parte Nera. Il Casini col Tommaseo è d'avviso, che il modo immaginoso, col quale Dante rappresenta l'apparizione e la vittoria del Malaspina, fu forse suggerita al Poeta dal ricordo della cometa del settembre 1301, della quale G. Villani (Cron., VIII, 48) scrive: «Apparve in cielo una stella cometa con grandi raggi di fumo dietro, apparendo la sera di verso il ponente, e durò fino al gennaio (1302); della quale i savi astrologi dissono grandi significazioni di futuri pericoli e danni alla provincia d' Italia e alla città di Firenze, e massimamente perchè la pianeta di Saturno e quella di Marte in quello anno s' erano congiunte due volte insieme....; singolarmente si disse che la detta cometa significò l'avvento di messer Carlo di Valos. » Ma Dante, oltrechè al fenomeno narrato, come udimmo, dal Villani, pensava probabilmente anche a quest' altro da lui ricordato (Conv., II, 14): In Fiorenza, nel principio della sua distruzione, veduta fu nell' aere, in figura d' una Croce, grande quantità di questi vapori seguaci della stella di Marte. » Il qual fatto è così narrato dal Compagni (Cron., III, 19, ediz. Del Lungo) : « La sera (— dell' entrata di Carlo di Valois in Firenze -) apparì in cielo un segno maraviglioso; il quale fu una croce vermiglia, sopra il palagio de' Priori. Fu la sua lista ampia più che palmi uno e mezzo; e l' una linea era di lunghezza braccia XX in apparenza, quella attraverso un poco minore; la qual durò per tanto spazio, quanto penasse un cavallo a correre due aringhi. Onde la gente, che la vide, e io che chiaramente la vidi, potemmo comprendere che Iddio era fortemente contro alla nostra città crucciato.» Ora, il fenomeno notato da Dante, e del quale Dino stabilisce il dì preciso, segnò il principio della distruzione di Firenze; il che non vuol altro significare, se non che la venuta di Carlo fu per Firenze una totale rovina; concetto che si rafferma nel Purg., XX, 73-75. Con tempesta; conserva la metafora di vapore di torbidi nuvoli involuto, e vale impeto furioso (cf. Inf., XXI, 67); onde tempesta impetuosa ed agra dimostra e l' impeto e l'accanimento e la ferocia; il che manifesta l'ardore de' Bianchi in quella pugna. - Fia combattuto; Moroello sarà combattuto dai Bianchi, i Bianchi gli faranno dapprima terribile resistenza. Repente d'improvviso, come fulmine. Spezzerà la nebbia, spezzerà i torbidi nuvoli, che l' involgono, cioè n' uscirà con tale impeto ecc.- Ogni Bianco, e presente alla pugna, e anco rimasto a casa, perchè dopo quella disfatta furon tutti mandati in bando. Feruto, ferito (cf. Inf., XXI, 87).

E detto l'ho perchè doler ten debbia.

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151. Il verso riassume quanto il dannato avea detto prima (cf. vv. 140-142); ma facendo

come colui che dice,

E il più caldo parlar dietro riserva

(cf. Purg., XXX, 71-72, e ivi il bel passo del Convito), Vanni chiude la fezia, nota il Cesari, colla più amara trafittura e piena di velenosa rabbia; e detto l'ho ecc.; conciossiachè quello che nelle ingiurie più ci cuoce e traprofigge, è l' animo, che in vero studio intende e procaccia la nostra vergogna o il dolore.

Nota le terzine 1, 3, 4, 8, 9, 10, 13, 16, 17, 18, 20, 22, 26, 28; 31 alla 35; 39, 40, 42, 44, 45, 49, 50.

NOTA.

Dalle parole del Fucci noi siam certi del furto, ch' egli fece; certi del pari che la colpa fu poi imputata ad innocenti; ma gli innocenti furono totti di vita prima che la loro innocenza si conoscesse? e il Fucci fu poi condannato? son domande alle quali non si ha dai commentatori una concorde risposta. Dalla narrazione di Vanni a me parrebbe risultare che la falsa imputazione del furto ebbe luogo bensì, e chi sa con quali danni degli innocenti; ma che poi il vero reo sia stato scoperto e meritamente fatto morire, il verso 135 mi pare non lasciar dubbio di sorta, benchè il Landino ed altri accennino a condanna di presunti rei, escludendo quella del Fucci. Il Ciampi colle sue Notizie inedite della sagrestia pistoiese de belli arredi, e con una Lettera sopra la interpretazione d'un verso di Dante, portò molta luce su questo argomento. Egli riferisce documenti a provare che al principio del 1293 ignoti ladri introdottisi nottetempo nella chiesa di S. Zenone a Pistoia, tentarono di rubarvi quanto ci avea di prezioso nella cappella di San Jacopo; però dichiara che il furto non fu veramente effettuato. Del delittuoso tentativo non si poterono scoprire gli autori che nel 1294, essendo podestà Giano della Bella, e che i rei furono manifestati da Vanni della Monna (della Nonna, scrivono molti), ch' era uno di loro, e furono Vanni Mironne e Vanni Fucci onde Rampino di Ranuccio Foresi, ch' era tenuto in carcere come presunto reo, fu messo in libertà nel marzo del 1295, e condannati alla morte i veri colpevoli. A consimile conclusione viene l' Anon. Fiorentino ed altri degli antichi chiosatori.

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CANTO XXV.

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Al fine delle sue parole il ladro
Le mani alzò con ambeduo le fiche,
Gridando Togli, Dio, ch' a te le squadro.

Da indi in qua mi fûr le serpi amiche,
Perch' una gli s' avvolse allora al collo,
Come dicesse: I' non vo' che più diche;

I

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Partitosi Vanni Fucci, stando i Poeti nel medesimo luogo di prima, veggono altri ladri in quella bolgia, e sono spettatori delle loro terribili trasmutazioni d' uomini in serpenti, e di serpenti in uomini; alla fine riconoscono cinque ladri Fiorentini."

1-3. L' Alfieri nota i due ultimi. Al fine ecc.; dette le ultime parole, con che si conchiude il Canto precedente, a dare maggiore sfogo e risalto alla rabbia diabolica, che il divorava, dall' odio all' uomo (cf. Inf., XXIV, 133-151) il Fucci passa all' odio contro Dio, che sì terribilmente il puniva. La forma, con che il Canto s' inizia, arieggia a quella del Purg., XXIX, 1-2 (cf. Inf., VIII, 1). Le mani alzò, levò le mani contro il cielo (cf. Purg., XXIV, 106; altrove alzar le ciglia contro Dio, Inf., XXXIY, 35; - cf. Inf., XXVIII, 104; Purg., VIII, 10). Ambedue le fiche; atto inverecondo e di spregio, che si fa mettendo il dito pollice tra l'indice e il medio piegati, rivolgendosi verso alcuno. Il Nannucci indagò l'origine di quest' atto osceno e oltraggioso; e conviene con quanto ce ne narra il Gelli. V'ha però chi crede che tal modo d'ingiuriare fosse proprio de' Pistoiesi, a differenza delle altre genti di Toscana; difficile il poterlo provare con certezza. È bensì vero (cf. Villani Cron., VI, 5) che nella loro rocca di Carmignano, presa e disfatta dai Fiorentini nel 1288, sovra un' alta torre i Pistoiesi in una lastra di marmo aveano fatto scolpire due braccia che faceano con le mani le fiche a Firenze. Nota il Tommaseo, che nello Statuto di Prato chiunque ficas fecerit vel monstraverit nates versus Cælum, vel versus figuram Dei o della Vergine, i paga dieci lire ogni volta; se no, frustato. Gridando; dice qui la rabbia violenta. Togli, e più che prendi; ne' nostri vecchi scrittori togli si usa quasi come esclamazione, quando chi parla vuol esprimere sdegno, disprezzo, noia, o altra consimile passione : chi badi all' uso e alla forza del nostro to' anche in molti dialetti, capirà benissimo il togli del Fucci. Squadro; squadrare vale quanto aggiustare colla squadra, drizzare; dunque il senso è : le aggiusto a te per l' appunto, le indirizzo a te.

4-9. Notati dall' Alfieri. Da indi in qua, da quel punto in poi. Mi für ecc.; divenni amico, volli bene alle serpi, perchè fecero la mia vendetta contro quell' empio. Il Cesari : « Noi amiamo anche i nemici, quando pigliano la vendetta dell' onore degli amici nostri; quindi è quel modo, che parmi aver veduto in Terenzio, ed in uno dei comici Fiorentini benedette gli sian le mani, detto ad uno che di santa ragione batteva un servo birbone. Il fido alunno di quel Maestro, che sì degnamente rimproverò il blasfemo Capaneo (cf. Inf., XIV, 61 e segg.), non poteva qui non isfogare il suo profondo orrore per l'atto empio del Fucci. Il Tommaseo (forse troppo sottilmente): <Quanto ha di più fiero il secolo piuttosto che il cuore di Dante, distilla dal verso: Mi fûr le serpi amiche. E queste parole son fiero commento a' suoi

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atti, del collegarsi alcun tempo a malvagi e a scempi.» si attorcigliò intorno al collo, serrandolo, stringendolo, come a togliergli il fiato Una ecc., una gli a non più bestemmiare. Purg., III, 117; Par., XXV, 86).— E un'altra gli avvinse le braccia per impeDiche, per dica, comune a' nostri antichi (cf. dirgli di non più alzarle contro Dio con quell' atto di scherno sagrilego.-Rilegollo; chi intende legollo, e chi legollo di nuovo; ma siccome il Poeta di tutti i ladri avea detto (Inf., XXIV, 94)

Con serpi le man dietro avean legate,

così sembra esser nel vero chi tiene che il Fucci fosse stato per un momento lasciato libero dalle serpi, che ora lo rilegano. dicesi propriamente del ritorcere la punta d'un chiedo, che trapassi da parte Ribadendo; ribadire a parte un asse; qui il Poeta, spiegando sè stesso, ricorda il forare e attraversar le reni, aggroppando coda e capo dalla parte dinanzi (cf. Inf., XXIV, 95-96). Con esse; colle braccia. movimento (cf. Inf., XXVI, 86; Purg., V, 14). D' altro insultatore di Dio, Dare un crollo, fare qualsiasi atto di che il Poeta vedrà incatenato le braccia, sentiremo dirci (Inf. XXI, 96) :

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Le braccia, ch' ei menò, giammai non muove.

Su quest' ultima terzina il Cesari: «Pittura feroce! parmi vedere Laocoonte, e i figliuoli annodati e legati da' due dragoni. Io ne vidi a Roma la statua bellissima, che mette orrore e pietà.»

10-12. L' Alfieri notò i due primi. Ahi Pistoia ecc.; fa rammentar l'altro: Ahi Pisa ecc. (cf. Inf., xxx111, 79); e non men che qui violenta, anzi feroce, l'invettiva. Chè, perchè; propr. è collocare, fermare, stabilire, materialmente; così lo statuere de' Lanon stanzi, non decidi, non risolvi. Stanziare tini, dal materiale al morale poi (cf. Purg., VI, 54, dove vale reputare, credere, supporre). D'incenerarti ecc.; d' appiccar fuoco alle tue case, e ridurle in cenere. Alcuni Codd., in luogo d'incenerarti, leggono d'ingenerare; e, come avverte lo Scartazzini, così lesse l' Anon. Fiorentino, che poi chiosò : << Perchè non ordini che tanto tuo mal seme si spenga et non rifigli in te? >> Poichè in mal farecc.; dacchè per malvagità superi i tuoi malvagi fondatori. Fa rammentare la sentenza d' Órazio (Carmen., III, VI, 46-48) :

Ætas parentum, peior avis, tulit

Nos nequiores, mox daturos
Progeniem vitiosiorem.

Credevasi che Pistoia fosse stata fondata dai superstiti della disfatta di Ca-
tilina, riunitisi dov' ora sorge quella città. « E però, scrive il Villani (Cron.,
I, 32), non è da maravigliare se i Pistoiesi sono stati e sono gente di guerra,
fieri e crudeli intra loro e con altrui, essendo stratti del sangue di Catilina
e del rimaso di sua così fatta gente. »
XVIII, 60).
Avanzi (cf. Purg., XXVI, 120; Par,

13-15. Notati dall' Alfieri. In Dio, contro Dio, come spesso la in de' Lat. (cf. Inf., VIII, 63; XI, 32 e 53; XII, 48, e spesso). E notabile questo punto; nella Vulg. El., 1, 12, il nostro Autore de' Principi Italiani del suo tempo di

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