nella discussione sull' Amore, ad una grave obbiezione dell' alunno il Maestro senza ambagi risponde (Purg., XVIII, 46-8) : quanto Ragion qui vede, Dir ti poss' io: da indi in là t'aspetta Pure a Beatrice, ch' è opra di Fede. Questo semplice passo, o io m' inganno, basta anche da solo a darci e il preciso significato allegorico delle due Guide di Dante, e ad additare agli interpreti del sacro Poema i veri confini segnati dall' Autore medesimo. CANTO III. PER ME SI VA NELLA CITTÀ DOLENTE, I Con questo Canto comincia l'azione del Poema e lo svolgimento del gran dramma, del quale Dante è protagonista. L' Inferno di Dante si può dividere in quattro grandi scompartimenti, i quali, alla lor volta, possono distinguersi in ispeciali divisioni: 1) Antinferno, dal v. 21 del Cto 111 al v. 13 del Cto IV. 2) Inferno fuori della Città di Dite, dal luogo citato fino al v. 106 del Cto IX: 3) Inferno entro alla Città di Dite, che dal citato luogo giunge fino al v. 142 del Cto XXXI : 4) Abisso (cf. IV, 24), che dal v. 143 del Cto XXXI va fino al v. 69 del Cto XXXIV. Per altre osservazioni veggasi Diz. Dant, App. XVII, P. II, § VI, A. In quanto alla divisione penale, essa è a minori ad majus. Di questa sapiente distribuzione morale ne può dar ragione S. Tommaso (Summ. Th., Suppl., 97, 7, nel resp.): Siccome nel mondo de corpi, se tengano l' ordine loro, i più gravi sono i più bassi; così nell' ordine degli spiriti i più bassi sono i più tristi: e così si spiega il maraviglioso tratto del Poema, dove l' Autore rende conto egli stesso della fatta divisione (Inf., XI, 76, 90). Per converso il Purgatorio, in quanto alla colpa, è a majori ad minus, e di nuovo a minori ad majus il Paradiso, in quanto alla gloria; di che l'Autore dà le necessarie spiegazioni, chi abbia la pazienza di ricercarle (cf. Diz. Dant., artic. D10, I, F). 1-9. L'Alfieri nota i vv. 1-3 e 7-9.— Per prosopopea fa il Poeta che la porta parli di sè e del regno del dolore al quale essa mette.-Per me, per mio mezzo, per entro me, per di qua. Città dolente: 1) accenna propriamente alla Città di Dite (Inf., VIII, 68), città dolente (Inf., X, 22), città roggia (Inf., XI, 73) identica espressione (Inf., IX, 32), in opposizione al Paradiso, città di Dio (Inf., 1, 126, Par., XXX, 130), e città vera (Purg., XIII, 95) : e città vera per società civile bene ordinata (Purg., XVI, 96). Ne' Salmi (XLVII, 7) : « In civitate Domini virtutum, in civitate Dei nostri; Deus fundavit eam in æternum. La Chiesa in un suo inno: Cœlestis urbs Hierusalem. senso generale la città dolente è quella abitata dalle genti dolorose (Inf., 111, 17), è il dolente regno (Purg. VII, 22), ove stan tutti quelli che son morti nell ira di Dio (Inf., III, 122). Eterno dolore (che si spreme in disperate strida, Inf., I, 115), perchè i dannati non hanno speranza alcuna Non che di posa, ma di minor pena 2) Nel (Inf., V, 45), quello essendo supplicium æternum (Matth., XXV, 46), perchè ivi mai non si scolpa (Purg., XXIV, 85), onde la condanna de' miseri in eterno rimbomba (Inf., VI, 99).— Perduta gente: e perdute genti, Purg., XXX, 138 (che hanno perduto il ben dell' intelletto» v. 18): e, assol., perduto e perduti (Inf., XXV, 72, e XXVII, 128) : e «lo Ciel perdei dice di sè Virgilio (Purg., VII, 8), che appresso rende colle parole « ho perduto di veder l'alto Sol ecc. >> (ivi, 25). Perdute genti è in tutta opposizione a le beate genti (Inf., 1, 120). I tre versi parrebbero inchiudere ripetizione d' idea; ma non è: onde bene il Giuliani: «Si ponga mente come in prima sia determinato l'Inferno come la Città dolente, e come poi rafforzando il concetto, si accenni l'eternità del dolore che ivi regna, e da ultimo si renda compiuta la terribile idea, indi cando l' annientamento o la vera morte de' nemici di Dio. Chi addentro vi cerchi, troverà nelle parole del Poeta la gradazione del tutto corrispondente GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE : 5 LA SOMMA SAPIENZA E IL PRIMO AMORE. Conv. II. 2 SE NON ETERNE, ED IO ETERNO DURO : 3 alla paurosa verità delle cose descritte ». Sulla porta maggiore della basilica di S. Marco in Venezia si legge il seguente verso: Janua sum vitæ, et per me mea membra venite. Giustizia mosse ecc. Effetto di giustizia l' Inferno, dove impera la ministra Dell' alto Sire infallibil giustizia (Inf., XXIX, 56), la quale, che altro non è che sapienza, distribuisce giusta- trascrisse eterna. Lasciate ogni speranza ecc.; perchè non isperano mai di veder il Cielo (v. 85). Or qui sorge una grave questione, e tale che desta molta maraviglia che quasi tutti gli espositori della Commedia abbiano tirato oltre senza neppure accennarla. Si attenda. Dante ne dichiara aperto (Par., XXIX, 16-30), che Dio creò prima di tutto tre cose ad un punto, gli Angeli, la materia prima, e la forma, sostanza anch' essa secondo la filosofia d' Aristotele; e tutte e tre queste cose, perchè derivate immediatamente da Dio, sono da corruzion sicure, cioè eterne (cf. Par., VII, 66-68 e 129). Or che avvenne? Dante ne dichiara esplicito che in minor intervallo di tempo, che non sia quello che a noi occorre per contare dall' uno sino al venti (Par., XXIX, 49-51), una parte degli Angeli appena creati peccò e cadde : e dove andò questa turba peccatrice? all' Inferno; ma l' Inferno dov'è? nel centro della Terra; ma alla caduta degli Angeli il nostro pianeta non esisteva peranco, perchè Dante, personificandolo, fa dire all' Inferno: Dinanzi a me non fûr cose create Se non eterne (Inf., III, 7-8); ciò che il Poeta dichiara anche altrove, chi bene attenda (Par., VII, 124-138), affermando che la terra è soggetta a corruzione, e che perciò non è eterna; e dunque non fu creazione immediata di Dio, quando saperse in nuovi amori; quindi posteriore alla creazione degli Angeli. Ma se dobbiamo tenere che gli Angeli caddero e che andarono all' Inferno, e che l' Inferno è nel centro della terra, non c'è altra via per riuscire, che ammettere che l' Inferno sia stato da Dio creato nel centro della materia prima, non peranco distinta nei quattro elementi (Par., XXIX, 49-51), e che fu come il nucleo intorno al quale si formò poscia la sfera terreste e così diventa chiaro che cosa significhi il soggetto dei nostri elementi (Par., XXIX, 51), e l'Autore si trova in pieno accordo con se stesso, e un punto del Poema illumina l'altro. Però qui sorge un' altra difficoltà, che si riduce ad una vera contraddizione, forse la sola nella quale Dante sia caduto. Se la terra non era ancora formata, come vedemmo, e l' Autore, in quanto alla creazione dell' Inferno, puossi tuttavia spiegare senza manifesta discordia tra un luogo e l'altro del Poema; nessuno può salvarlo da questa discordia rispetto all' Inf., XXXIV, 121-124, circa al precipitare di Lucifero dal Cielo nel profondo dell' Inferno: la cosa è grave e rincresciosa, ma il vero è vero. Cf. Dizionario Dantesco, Append. XVII, Parte, II, § vi, A. 10-12. Queste parole ecc. Ma se già era notte (Inf., II, 1), come potè leggere? è da notarsi che era la Luna piena (Inf., XX, 127; Purg., XXIII, 119). Di colore oscuro : a neri caratteri, quali si convenivano all' oscuro regno del dolore, dice il Casini; ma è dir poco. Il Giuliani intende « scritta morta (Inf., VIII, 127) o annerata, perchè ricoperta dalla caligine che sempre nera fa la valle inferna (Purg., 1, 145); » e questo è dir troppo, dacchè nella valle inferna abbiamo tuttavia da entrare. Scritta morta (come altrove la morta poesia, Purg., 1, 7) può significare scritta che tratta de' veri morti (Purg., XXIII, 122). Dunque io intendo parole oscure e perchè notte, e perchè antica la porta, sulla quale eran poste, e soprattutto perchè sulla porta dentro alla quale è il regno della morte gente (Înƒ, vIII, 85). Il Castelvetro, non senza acutezza: « Le lettere in luogo chiaro poste, a voler essere ben vedute, convengono essere di colore nero; ma se sono poste in luogo oscuro, convengono essere di colore chiaro e bianco. Laonde veggasi Dante come abbia fatto bene a fare le lettere oscure in luogo oscuro, per volere col senso loro spaventare il lettore. » - · Al sommo ecc. Altrove al sommo della scala (Purg., 5 XIII, 1): in sommo della bocca (Purg., VI, 132) : de' liquidi, vale alla superfi- messa. 13-18. L' Alfieri nota i vv. 14 e 15. Persona accorta: perchè s' avvide di quanto si volgeva nel mio spirito. Il Vellutello : « Essendo offitio di Virgilio, la Ragione, di prevedere e provvedere a quelle cose, che porian nocere, l'ammonisce, convenir che quivi si lasci ogni sospetto, e che sia morta ogni viltà, le quali cose erano state cagione del suo sbigottimento, e con franco animo, come vuol inferire, entrar ne la consideration del vitio, et non lasciarsi da quello irretire, ma conosciuta la sua malitia, haverlo in horrore. » Sospetto, paura, temenza, dubitazione (Inf., V, 129; IX, 51; Purg., VII, 108). — Viltà: « viltà d' animo (« viltà di cuore » Par., x1, 88), cioè pusillanimità» (Conv., 1, 11: cf. ivi, IV, 7) : cf. Inf., 11, 45 e 122. Qui: il concetto dantesco è riflesso da quello di Virgilio (Æn., VI, 261): Nunc animis opus, Enea, nunc pectore firmo : cf. Inf., VII, 4; VIII, 104; XVII, 81; XXIV, 55; XXXIV, 20. Ov' io t'ho detto: : |