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Lo lume era di sotto dalla Luna,

Poi ch' entrati eravam nell' alto passo,

Quando n' apparve una montagna bruna

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altrettante oscurato (casso); cioè erasi cinque volte compiuto il plenilunio, ed altrettante il novilunio; in altre parole eran passati cinque mesi da che (poi) erano entrati nell' Oceano, spiegan tutti (alto passo, arduo, pericoloso; cf. Inf., II, 12); che significato io creda doversi dare ad alto passo, si vegga qui appresso.-Racceso, luna piena (cf. Inf., X, 79-80; XX, 127; Purg., XXIII, 119; XXIX, 53-4); casso (cassato, spento, levato via, cf. Inf., XXV, 76; XXX, 15), luna nuova (cf. Inf., XV, 19). Nel Conv., II, 14 : « L'altra è la variazione della sua luminosità (della luna), che ora luce da un lato, e ora dall' altro, secondo che il Sole la vede. » L' Antonelli : « Da vero astronomo, accenna alla parte lunare ove ha luogo il raccendimento, che è la parte che il nostro satellite tien sempre volta alla terra. Senza tale determinazione non poteva stare l' imagine del riaccendersi, giacchè, rispetto al Sole che sempre la illumina, la Luna è sempre accesa, tranne i casi d' ecclissi lunare. »-Una montagna bruna per la distanza, cioè che per la distanza ci sembrava bruna, indistinta. La distanza toglie all' occhio i naturali lineamenti degli oggetti (cf. Inf., XXX, 27; Purg.,II, 13-25; XIII, 55-6; XXIX, 43-48; Conv., IV, 8). E Virgilio (Æn., III, 205-206) :

Quarto terra die primum se attollere tandem Visa, aperire procul montes, ac volvere fumum. Frutto dell' esperienza queste parole del Cesari : « Un colle, per esempio, vicino a noi, lo veggiamo distinto in ciascuna parte del color proprio delle cose che ci sono: veggiamo gli alberi d' ogni maniera, le case, i prati, le bestie. Dilungandoci più, muore la distinzione degli oggetti, e veggiamo un indistinto intimo colore che trae al rossigno, o al violetto. Allontanato anche più, il colle piglia colore azzurro; ed è quello che torna agli occhi dagli strati interposti dell'aria fra noi e il fondo; che certo vedete la sola aria fondissima del cielo, aiutata dal lume del sole il giorno, aver colore cilestro, e più oscuro la notte pel poco splendor delle stelle. Ma se l'oggetto è basso verso la terra nostra, non aiutato che da pochissimo barlume, resta l'azzurro della sola aria, ma bruno e questo era quello della montagna. > Aita tanto ecc., la più alta ch' io vedessi mai (cf. Purg., III, 14 e segg., IV, 40 e segg.; e 80 e segg.). Per cose straordinarie egual forma anche altrove (cf. Purg., XXXII, 147). Ad onta degli sforzi fatti da qualche moderno con molta erudizione (e di sovente è la molta erudizione che guasta tutto), i chiosatori più accreditati veggono in questa montagna la montagna del Purgatorio; nè può essere altrimenti; ma nello spiegarlo io tengo forse un modo differente dagli altri. Che il Poeta facesse il Purgatorio antipodo a Gerusalemme non c'è dubbio (cf. Inf., XXXV, 112-115; Purg., II, 1-3); e quanto dista Gerusalemme, nell' emisfero nostro, dall' equatore? circa trentadue paralleli; ma dunque la montagna del Purgatorio dovrà giacere nell' altro emisfero a circa paralleli trentadue di latitudine meridionale. Ora si leggano queste parole del nostro Autore (Quæst. Aq. et Terr., §. XIX: Hæc (terra) habitabilis extenditur per lineam longitudinis a Gadibus usque ad ostia fluminis Ganges, ut scribit Orosius. Quæ quidem longitudo tanta est, ut occidente Sole, in quinotiali existente, illis qui sunt in altero terminorum, oriatur illis qui sunt in altero....... Igitur oportet terminos prædicta longitudinis distare per CLXXX gradus, quæ est dimidia distantia totius circumferentia. Ma dal principio del Canto XXVII del Purgatorio non solo è confermata la distanza di centottanta gradi tra il Gange e Gibilterra, ma è affermato che Gerusalemme, antipodo del Purgatorio, è equidistante dai due punti predetti; quindi se ne deduce che siccome tra Gerusalemme e Gibralterra la differenza

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Per la distanza, e parvemi alta tanto,
Quanto veduta non ne aveva alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto :

:

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è di sei ore, ovvero, il che torna lo stesso, di novanta gradi di longitudine; così novanta gradi di longitudine occidentale ci doveano essere tra il meridiano di Gibilterra e quello del Purgatorio. Da tutto ciò si fa chiarissima la frase volta nostra poppa nel mattino.... sempre acquistando del lato mancino; cioè andando ad occidente bensì, ma con inclinazione a sud, unico modo per giungere all' equatore (vv. 127-129), e di là alla montagna del Purgatorio. Il Della Valle sostenne già che l'opinione che questa montagna sia quella del Purgatorio, non solo è improbabile affatto, ma è anche assurda, in qualunque ipotesi voglia farsi. Ma lo Scartazzini notò che la sentenza del Della Valle è fondata sull' opinione che Ulisse nella sua navigazione arrivasse fino all' Equatore, dove poi naufragò; la quale opinione è falsa. Se ben si ponderino è vv. 127-129, Ulisse non solo ci mostra ch' era giunto all' Equatore, come intende lo Scartazzini, ma che era già passato al di là, pel semplice fatto che la notte vedea già tutte le stelle (si badi all' espressione) dell' altro polo, e il nostro tanto basso ecc.; perchè stando all' equatore dovea invece scorgere le stelle del polo australe nella stessa misura che del boreale; dunque con ciò significa chiaramente che Ulisse aveva già varcato la linea equatoriale. Lo Scartazzini contro il Della Valle anche afferma il Purgatorio è circa 2050 miglia distante da Gades: se Ulisse e i compagni navigarono cinque mesi o 150 giorni dopo esser partiti da Gades, essi dovevano fare giornalmente circa tredici miglia di viaggio per giungere appiè del monte del Purgatorio. Non so da che principio parta l' illustre Dantista, per conchiudere che il Purgatorio dista da Gades 2050 miglia; parmi ad ogni modo che sia troppo poco secondo me, Ulisse, partito da Gades e sempre acquistando del lato mancino, aveva un tragitto ben più lungo da percorrere, dovendo tener conto che il meridiano di Gades dista da quello del Purgatorio 90 gr. di longitudine occidentale, e che mettendo Gades allo stesso parallelo di Gerusalemme, ne viene che doveva percorrere anche i 64 paralelli, che separavono Gades dal Purgatorio; il che, tenendo conto dell' obliquità del viaggio, ognuno può agevolmente fare il conto quante miglia darebbe. Ora, io tengo per fermo che il Poeta nella montagna che in distanza vide Ulisse, abbia voluto significare il monte del Purgatorio; le parole parvemi alta tanto ecc. ne sono un forte argomento. Ma perchè Ulisse vi potesse giungere, io credo che i 77. 130-132 non si debbano riferire al tempo da che era partito da Gades, sibbene a quello da che aveva varcato l' Equatore. Si badi che gli allegati versi vengono dopo all' accenno che aveva già passato l' Equatore. In tal guisa, e solo così, il viaggio di Ulisse dall' Equatore alle vicinanze della montagna del Purgatorio, diventa, per la distanza, possibile; perchè solo ammettendo che per alto passo s' intenda l' Equatore, il viaggio da quel punto al Purgatorio si poteva fare in cinque mesi, calcolando un quindici miglia al giorno; ma torna affatto impossibile se per alto passo si voglia intendere il punto dell' Atlantico dopo usciti di Gibilterra. Pare audace la spiegazione? eppure se non la si ammette, non parmi sostenibile che quella fosse la montagna del Purgatorio; ma siccome io credo di certo che il Poeta intendesse il Purgatorio, è mestieri trovar modo pel quale quel viaggio tornasse possibile; nè altro modo io ci so vedere. Cf. l' Antonelli, Purg., II, 31-33.

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136-138. Notati dall' Alfieri. Ci allegrammo, credendo oramai di esser giunti al fine del nostro viaggio, cioè al mondo senza gente (v. 117). tosto, ma subito il nostro rallegrarci si cambiò in dolore (cf. Inf., XIII, 69 : nella Vit. N., § III: la letizia si convertì in amarissimo pranto.) Il Cesari

Vit. N. 3.

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Chè dalla nuova terra un turbo nacque,
E percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fe' girar con tutte l' acque,
Alla quarta levar la poppa in suso,

E la prora ire in giù, com' altrui piacque,

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<< E or che tornò in pianto? certo l'allegrezza, la cui idea è scolpita nella mente per lo verbo ci allegrammo. Ed ecco uno di que' passi, che mostra (secondo ragione e natura) nel parlar nostro talora essere alcune naturali ellissi; cioè alcune parole che da sè s' intendono, senza dirle.»-Nuova terra, dalla montagna testè apparsa, da quel nuovo mondo. Turbo, un vento turbinoso (cf. Inf., III, 30 e 133). — Primo canto, la parte anteriore, la prora. Virgilio (Æn., I, 104):

Franguntur remi; tum prora avertit, et undis
Dat latus.

139-142. Notati dall' Alfieri. Il fe girar, cioè il legno; con tutte l'acque con l'acque e tutto, spiega il Cesari (cf. Inf., XXII, 147); era sì impetuoso e violento quel turbine, che non solo avvolse la nave ma anche tutte le acque all' intorno, producendo così quel vortice nel quale la nave si sprofondò. Virgilio (Æn., 1, 114-117):

ingens a vortice pontus

In puppim ferit; excutitur, pronusque magister
Volvitur in caput ast illam ter fluctus ibidem

Torquet agens circum, et rapidus vorat æquore vortex.

Alla quarta, alla quarta volta; levar, il turbine fece levare in su la рорра, e la prora in giù, sprofondando la nave nell' abisso. Come altrui piacque, a chi regge i destini degli uomini, a Dio (tacendone il nome, come altrove, Inf., v, 81), che non volle concedere che noi s' arrivasse a quel lido (Purg., 1, 131),

Che mai non vide navicar sue acque
Uomo, che di tornar sia poscia esperto,

acque e lido solo riserbati alla barchetta dell' Angelo e all' anime sante (ivi, 11, 41 e segg.). Infin, finchè si chiuse sopra noi, rimanemmo sommersi. In una lettura all' Accademia della Crusca (Ulisse nella Divina Commedia) il dotto R. Fornaciari intese di mostrare che intento di Dante si fu di simboleggiare in Ulisse l'uomo che pretende di scrutare e conoscere i segreti divini, che non possono dall' uomo conoscersi senza l'aiuto della fede e della grazia. Certo, se un' allegoria qualunque intese Dante di racchiudere in Ulisse, sarebbe quella, a mio credere, intraveduta dal Ponta, del dovere cioè dell' uomo, giunto alla vecchiezza, di smettere le cure della vita attiva o civile e darsi alla contemplativa, preparandosi studiosamente alla morte. È notabile per ciò questo tratto del Convito (IV, 28) : «È da sapere, che siccome dice Tullio in quello di Senettute, la naturale morte è quasi porto a noi di lunga navigazione e riposo. E siccome il buono marinaro, com' esso appropinqua al porto cala le sue vele e soavemente con debile conducimento entra in quello, così noi dovemo calare le vele delle nostre mondane operazioni, e tornare a Dio con tutto nostro intendimento e cuore; sicchè a quello porto si vegna con tutta soavità e con tutta pace..... Rendesi dunque a Dio la nobile anima in questa età (della vecchiezza), e attende la fine di questa vita con molto desiderio, e uscire le pare dell' albergo e ritornare in città, uscire le pare di mare e tornare a porto. Oh miseri e vili che colle vele alte correte a questo porto; e laddove dovreste riposare, per lo impeto del vento rom

Infin che il mar fu sopra noi richiuso.

pete, e perdete voi medesimi là ove camminato avete! Certo il cavaliere Lancilotto non volle entrare colle vele alte, nè il nobilissimo nostro latino Guido Montefeltrano. Bene questi nobili calaron le vele delle mondane operazioni, che nella loro lunga età a religione si rendéro, ogni mondano diletto e opera diponendo. »

Nota le terzine 1, 2, 4; 6 alla 15; 19, 20, 25, 27, 29, 30, 32, 33, 34, 39, 40, 41, 43, 45, 47.

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1-6. Costruisci la fiamma, per non dir più (perchè più non parlava), s' era già drizzata e stava ferma (di piegata che era e mossa): e già se ne andava da noi (riprendeva il suo giro per la bolgia, sospeso per preghiera di Virgilio, Inf., XXVI, v. 83). Dritta in su e queta; significa che più non parlava, avendo veduto che parlando si crollava (cf. Inf., XXVI, 86). La fiamma; il maggior corno della fiamma (cf. ivi, 85), la quale nella parte superiore si divideva in due liste (cf. ivi, 52 e 68). Per non dir più; il peccatore parlava coi guizzi e crollamenti della punta della fiamma, come fosse la lingua che parlasse (vv. 88-89); tacendo esso, quella sta ritta e queta; per non dir più adunque risponde alla frase per aver finito di parlare. Licenza, commiato, permesso, di che si accenna al v. 21 (cf. ivi, nel commento). Un altra, un' altra fiamma, che veniva appresso a questa; vedremo chi era (cf. v. 29 e segg.).——-Ne fece ecc., ci fece guardare, attirò tutta la nostra attenzione ecc.; consimile locuzione nell' Inf., VIII, 3-4, e IX, 35.—Confuso suon; è quel mormorare confuso, notato più addietro (Inf., XXVI, 86), o quel rugghiare, che vedremo qui appresso (v. 58), mosso dalla lingua del dannato, prima che la voce s' abbia fatto strada sino alla punta della fiamma, dove si converte in parole (cf. 77. 13-18).

7-15. Notati dall' Alfieri. Ad esprimere il suo concetto, non poteva il Poeta trovare più appropriata similitudine, e l' erudizione ravviva la poesia; e la malvagia opera di Perillo, forse non disgiunta da malvagio consiglio al tiranno, s' annoda mirabilmente a ritrarre il mormorare indistinto d' un consigliere malvagio. - Bue cicilian ecc.; Perillo, artefice ateniese, costrusse un toro di rame, e lo offerse a Falaride tiranno di Agrigento, dichiarandogli, che se un uomo vi fosse stato collocato dentro, e di sotto fattovi fuoco, le urla di costui si sarebbero convertite perfettamente in muggiti bovini. Falaride accettò il dono e la proposta, e obbligò lo stesso Perillo ad entrarvi, e farne la prova (cf. Ovidio, Trist., III, II, 41 e segg.).—Cicilian (come Cicilia per Sicilia, Dante e gli antichi nostri). -- Mugghiò prima, mandò muggiti la prima volta. Fu dritto, fu giusto, ben gli stette. Temperato ecc., che l'aveva lavorato, organato colla sua lima, coll' arte sua, o co' suoi strumenti d'artista. Fa venire in mente il caso dell' architetto Calendario, che ovendo inventato per la Republica di Venezia un congegno per impiccarvi i rei politici, scoperta una congiura e in essa implicato il povero Calendario, fu egli il primo a far la prova se il suo congegno andava bene. Onde se il Salmista dell' uomo ingiusto disse (Ps. VII, 16), incidit in foveam quam fecit; Ovidio, ricordando il caso di Perillo e un altro consimile, scrisse (Art. am., 1, 955) :

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