CANTO XXX. 5 Nel tempo che Giunone era crucciata Atamente divenne tanto insano, I 2 1-12. Notati dall' Alfieri, salvo i primi quattro. Il Tommaseo: «A modo di similitudine avete due comparazioni lunghe molto, dedotte da Ovidio. Nelle altre due Cantiche gli accenni mitologici son più brevi, più diffusi i geografici e gli astronomici. Il dotto si fa più maturo.» Giunone (« Giunone dissero (i Gentili) Dea di potenza » Conv., II, 5) corrucciata che Giove, suo marito, avesse amato Semele, figliuola di Cadmo re di Tebe, e madre di Bacco, non contenta con fiera astuzia d' essersi vendicata dell' abborrita rivale (Par., XXI, 6), tolse a perseguitare tutti i Tebani, che s' eran messi sotto la protezione di Bacco (cf. Inf., XX, 59; Purg., XVIII, 93): cf. Ovidio, Met., III, 253315. Crucciata contra ecc; altrove (secondo la lez. comunemente seguita) col dat., Purg., XXII, 39. Per Semele; a cagione di Semele. Il sangue ecc.; la stirpe, la razza. Una e altra fiata; più volte; quando Giunone per vendetta fece sì che Atteone figlio d' Aristeo e di Antonoe sorella di Semele, fosse sbranato dai propri cani; e che Agave altra sorella di Semele e moglie d'Enchione, ubbriacatasi nei sacrifici di Bacco, uccidesse l'unico figlio maschio Penteo, credendolo un cinghiale; e che finalmente Ino, altra sorella di Semele, si gettasse col figlioletto in mare. Una ed altra fiata, ben osserva il Biagioli, non determina le volte; ma ben sono determinate a due sole quando vi s' appone l' articolo (l'una e l'altra fiata, Inf., X, 48). Atamante; re di Tebe e marito di Ino, divenuto insano, impazzito per castigo di Giunone, vedendosi venire incontro la moglie Ino che seco menava i due figlioletti Learco e Melicerta, e credendola una leonessa co' suoi leoncini fece tendere le reti per prenderli; e preso Learco lo scagliò contro un sasso; perchè la madre disperata si gittò con Melicerta nel mare. Ovidio (Met., IV, 512 e segg.): Protinus Æolides media furibundus in aula Seque super pontum nullo tardata timore, Mittit onusque suum percussa recanduit unda. Carcata; ciò fa credere che li portasse in collo (cf. v. 12). — Da ciascuna mano; a destra e a sinistra, dall' uno e dall' altro lato (cf. Inf., VII, 32; IX, 5 Conv IO 15 110). Gridò: Tendiam le reti, sì ch' io pigli Prendendo l' un ch' avea nome Learco, Poscia che vide Polissena morta, 3 4 Lionessa, Ino; - lioncini, i figli.- Distese ecc. (cf. Inf., vIII, 40); artigli, le mani; ma nella voce stessa, e nell' agg, che l' accompagna, è chiara la ferocia selvaggia dell' atto, come di fiera (cf. Inf., XIII, 14; XXII, 137). Il Cesari: «Una cosa mi par qui da notare; che Dante nello stesso concetto passa da una in altra metafora, cioè dalle reti agli artigli; e quello che fa qui, sì il fa in cento altri luoghi; e con lui i Latini.» - Rotollo, tenendolo per un piede lo aggirò come pietra in fionda, e lo percosse, scagliò ecc. Il Biagioli: Rotollo; questa sola forma esprimer poteva l'azione, poichè ogn' altra, il rotò, lo rotò, rotol, sarebbe un guasto; e non meno conveniente si è l'effetto del dattilo seguente percosselo, a far sentir la prestezza e la forza di quel braccio furibondo.>> E quella, Ino. Con l'altro incarco, con l' altro figlioletto, Melicerta, che aveva in braccio (cf. v. 6). 13-21. L' Alfieri notò sino al 19. E quando ecc., e quando Troia rimase distrutta, Ecuba moglie di Priamo, menata schiava dai Greci, avendo veduto la figlia Polissena sgozzata da Pirro sulla tomba d' Achille, e poi trovato il cadavere del figlio Polidoro alle rive della Tracia, impazzì pel dolore e andò correndo pe' campi latrando come un cane. E; annoda questa alla narrazione precedente. La fortuna, la quale governa le sorti di quaggiù, e innalza o deprime i popoli e gli imperi a suo piacimento (cf. Inf., VII, 77 e segg.). Virgilio (Æn., III, 53): ut opes fracta Teucrum, et fortuna recessit. Volse in basso, depresse, fe' decadere (lo stesso verbo adopera della Fortuna anche altrove, Inf., VII, 96, e XV, 95). — L' altezza; la potenza, la grandezza; fa rammentare il superbo Ilion (Inf., 1, 75) e la sua posteriore condizione bassa e vile (Purg., X11, 62). - Tutto ardiva; tutto si facea lecito, ogni impresa anco più scellerata, come lo spergiuro di Laomedonte e il rapimento d' Elena. Insieme col regno ecc.; Ovidio (Met., XIII, 402) Troia simul Priamusque cadunt. Il re; Priamo, sposo d' Ecuba. Casso (cf. Inf., XXV, 76), abbattuto, estinto, per mezzo de' Greci; Virgilio (Æn., II, 4-5) : Troianas ut opes, et lamentabile regnum, Eruerint Danai : - Ecuba trista ecc.; il Cesari (sino al v. 21); «Versi pieni di splendore e di pietà; anche con molto artifizio spezzati, a significare lo smarrimento e la disperazione della infelice donna. Quell' affollar d' aggiunti dati ad Ecuba, e ciascuno di forte sentenza, è grande arte ad amplificar il dolore e quelle quattro sillabe del forsennata, che forza! e quel la dolorosa, per infelice, coll'articolo, innalza con enfasi la compassione.»-Trista, misera, per la morte de' suoi e per la rovina di Troia; cattiva, schiava de' Greci. Nel Conv., II, 13, di Boezio: cattivo e discacciato; di Attilio Regolo (ivi, IV, 5): cattivato, cioè fatto schiavo de' Cartaginesi. Polissena, sua figlia sacrificata 20 E del suo Polidoro in su la riva Del mar si fu la dolorosa accorta, Non punger bestie, non che membra umane, 6 7 8 da Pirro sulla tomba d' Achille. Polidoro; ultimo de' figliuoli di Priamo, da lui affidato a Polinestore amico suo re della Tracia; ma Polinestore, saputa la caduta di Troia, perfidamente uccise il giovinetto per averne il tesoro seco portato (cf. Purg., XX, 115). Cf. Virgilio Æn., III, 22-56; Inf., XIII, 4648. Giungendo Ecuba, trovò sul lido della Tracia il cadavere del figlio tradito. Forsennata; pazza di dolore. Ovidio (lib. cit., 431 e segg.) : Dixit, et ad littus passu procedit anili Albentes lacerata comas. Date, Troades, urnam, - Latrò ecc.; Ovidio (loc. cit., 402-404 e 569): Priameia coniux Perdidit infelix hominis post omnia formam, Latravit conata loqui ... ululavit mosta per agros. - Tanto dolor (cf. Inf., XXXII, 51), a tal segno fu il dolore che le fè la mente torta, la trasse di senno, la fè impazzire. Il Tommaseo : «Il Canto incomincia con due lunghi accenni a due passi delle Metamorfosi : l'uno quasi tradotto e con molta efficacia, l' altro compendiato in parole d' abbondante pietà e di schietezza potente. I lamenti d' Ecuba in Ovidio, in mezzo allo scintillar dell' ingegno, hanno calore verace d'affetto; e comparata alle aride superfluità di certi moderni, la sua soprabbondanza feconda apparisce quasi maestrevole parsimonia (Met., XIII). E così nella morte di Polissena son tratti di natura veri, e però di vero poeta. >> 22-27. Notati dall' Alfieri. Ma nè di Tebe ecc.; il Bargigi : « Comprendere si può, che grandi furie menavano il Tebano Atamente e la Troiana Ecuba; ma nè furie di Tebe, nè Troiane si vider mai in alcuno tanto crude non punger, non straziar bestia, che sarebbe ancor crudeltà, non che membra umane ecc.; che è quanto a dire : nessun furore si vide mai sì crudele nè in Atamante (furie Tebane), nè in Ecuba furie Troiane), nè in bestie, nè in uomo alcuno, quanto quello ch' io vidi in due dannati ecc.; tale è la spiegazione che richiede la lez. vidi in due ombre (e non vidi due ombre) del v. 25, ch' è da ritenersi la vera. Lo Scartazzini : « Altri: Ma non fur mai vedute furie nè in Tebe nè in Troia andar sì crudeli contro alcuno, nè sì acerbamente straziar bestie non che membra umane (uomini), quanto crudeli e furiose vidi due ombre ecc. Questa dichiarazione presuppone che la vera lezione al v. 25 sia vidi due ombre invece di vidi in due ombre; in secondo luogo essa 25 30 Quant' io vidi in due ombre smorte e nude, L' una giunse a Capocchio, ed in sul nodo E l'Aretin, che rimase tremando, Mi disse: Quel folletto è Gianni Schicchi, ΙΟ prende furie personalmente Erinni, invece di prenderlo nel senso di furori. Si osservi però : 1o in due ombre nel v. 25 è lezione degli ottimi codd., e così lessero tutti gli antichi commentatori. 20 che furie non alluda qui alle Erinni sembra provarlo, per tacer d' altro, il v. 79, nel quale le due ombre si chiamano arrabbiate — infuriate.» — In alcuno; dentro ad alcuno; mentre la spiegazione contro alcuno ha sua ragione dalla differente lezione del v. 25 vidi due ombre. Non punger, non si videro mai pungere ecc. Quant' io; quanto crudo io vidi questo furore. - In due ombre; sono Gianni Schicchi (v. 32) e Mirra (v. 37). Smorte, pel dolore e per la rabbia. - Nude, come tutti i dannati. — Mordendo; addentando questo o quello de' dannati, ne' quali s' intoppavano; come il porco, uscendo dal porcile, sbalzando qui e là addenta tutto quello che gli vien sotto. Di quel modo, in quella maniera. Il Cesari: <Chi vide porco affamato, apertogli il porcile, gittarsi fuori ragghiando e assannando ogni cosa che trova, dice: Niente si può immaginarsi più fiero et è dell' ingegno di Dante, l' aver colto la natura del porco pure in quell' atto. > Si schiude; quando esce dal porcile, il Buti; quando, aperto il porcile, è lasciato uscire, il Bargigi. 28-30. Notati dall' Alfieri. Giunse a ecc.; corse verso Capocchio. - Nodo del collo; qui vale nuca, la parte del collo ove son le vertebre cervicali; in fatti Capocchio, trascinato dal folletto, cade bocconi. L'assannò; lo afferrò colle sanne, gli infisse sul nodo del collo le sanne (cf. vv. 33-34), mantenendo così la metafora del porco, del quale, come del cane, son proprie le sanne (cf. Inf., VI, 23; XXII, 56; XXXIII, 35). Altrove assannare in senso traslato (Inf., XVIII, 99; Purg., XIV, 69). - Tirando ecc.; trascinollo via un tratto col ventre sul duro fondo del bolgia (sodo, duro, perchè tutto di macigno, Inf., XVIII, 2). Ma col verbo grattare vuole il Poeta tenerci viva nella mente l'idea del prudore di quei miseri; come a voler dire, osserva il Cesari : « Se colui, per la rabbia del pizzicor crudele godeva grattarsi, questa volta ebbe di quel che voleva anche troppo.» Fu già osservato giustamente che il Poeta in questa bolgia (come in quella dei ladri, e fra i suicidi e dissipatori, (Inf., XIII, 115-135; XXV, 17-151), mostra una parte dei dannati non solo quale paziente, ma quale operatrice della pena degli altri. 31-33. L'Alfieri notò il secondo. L' Aretin; Griffolino (Inf., XXIX, 109).— Rimase tremando; rimase, perchè tremava anche prima per la sua condizione di membra paralitiche (Inf., XXIX, 98); ora poi il tremore gli è ricresciuto dalla paura di essere egli pure assannato. · Folletto; il Lamennais : Les follets étaient des esprits qu'on croyait répandus dans l'air. Folletto è qui per similitudine, e vale spirito malefico in genere. Stupenda la scena; il meschino, quasi a coonestare la sua paura, e a trarsi d' impaccio, non aspetta che il Poeta lo interroghi, ma senza richiesta lo informa del nome dell' una dalle due ombre furiose. - Gianni Schicchi; fiorentino, della casa de' Cavalcanti, che falsò in sè medesimo la persona di Buoso Donati (cf. Inf., XXV, 140), ch' era già morto, per regalare a sè stesso con falso testamento una cavalla, di buona intesa con Simone Donati, non già figliuolo, come 35 E va rabbioso altrui così conciando. Oh, diss' io lui, se l' altro non ti ficchi A dir chi è, pria che di qui si spicchi. II 12 dicono l'Anon. Fior., Benvenuto ed altri,ma fratello di Buoso,come con documenti mostrò il Del Lungo. L' Anon. Fior. : « Essendo messer Buoso Donati aggravato d' una infermità mortale, volea fare testamento, però che gli parea avere a rendere assai dell' altrui. Simone suo figliuolo il tenea a parole, per ch' egli nol facesse; e tanto il tenne a parole, ch' elli morì. Morto che fu, Simone il tenea celato, et avea paura ch' elli non avesse fatto testamento mentre ch' egli era sano; et ogni vicino dicea ch' egli l' avea fatto. Simone, non sappiendo pigliare consiglio, si dolse con Gianni Sticchi, et chiesegli consiglio.Sapea Gianni contraffare ogni uomo,et colla voce et cogli atti, et massimamente messer Buoso, ch' era uso con lui. Disse a Simone : Fa venire uno notaio, et di' che messer Buoso voglia fare testamento: io entrerò nel letto suo et cacceremo lui di dietro, et io mi fascerò bene, et metterommi in capo la sua cappellina, e farò il testamento come tu vorrai; è vero che io ne voglio guadagnare. Simone fu in concordia con lui: Gianni entra nel letto, et mostrasi appenato, et contraffà la voce di messer Buoso, che parea tutto lui, et comincia a testare et dire : lo lascio soldi XX all' opera di S. Reparata, et lire cinque ai Frati Minori, et cinque a' Predicatori, et così viene distribuendo per Dio, ma pochissimi danari. A Simone giovava del fatto; et lascio, soggiunse, cinquecento fiorini a Gianni Sticchi. Dice Simone a messer Buoso : Questo non bisogna mettere in testamento; io gliel darò come voi lascerete.... Simone per paura si stava cheto : Questi segue: Et lascio a Gianni Sticchi la mulà mia; chè avea messer Buoso la migliore mula di Toscana. Oh, messer Buoso, dicea Simone, di cotesta mula si cura egli poco et poco l' avea cara. - Io so ciò che Gianni Sticchi vuole meglio di te. Simone si comincia adirare et a consumarsi; ma per paura si stava. Gianni Sticchi segue: Et lascio a Gianni Sticchi fiorini cento, che io debbo avere da tale mio vicino; et nel rimanente lascio Šimone mia reda universale; con questa clausola, ch'egli dovesse mettere ad esecuzione ogni lascio fra quindici dì, se non, che tutto il reditaggio venisse a' Frati Minori del convento di S. Croce: et fatto il testamento ogni uomo si partì. Gianni esce del letto, et rimettonvi messer Buoso. > Così conciando; per antifrasi, così malmenando (cf. Inf., XXVIII, 37, nel commento). Il Tommaseo : « La regina Mirra, che, come porco rabbioso (in Inferno staranno i re come porci, Inf., VIII, 50) ch' esce del porcile, s' avventa a Capocchio, scimmia, è per vero fantasia strana.» Badino i giovani, che il folletto che s'avventa a Capocchio, non è gia Mirra, ma Gianni Schicchi. E prosegue : « Forse voleva il poeta simboleggiare la trista uguaglianza che la città della colpa mette tra gli uomini, e il rabbioso mordersi tra loro che fanno gli uomini falsi. Tra regina Mirra e falsa (che rammenta la regina Pasifae falsa vacca, imbestiatasi nelle imbestiate schegge), tra Mirra regina e la moglie del cortigiano Putifarre, troviamo un Fiorentino, che, falsando un testamento e regalando sè stesso del lascito d' una cavalla, si fa beffe de' vivi e de' morti.> 34-36. Il Poeta voleva poi sapere il nome dell' altra delle due ombre, onde ne richiede Griffolino. Se; partic. deprecativa, così, per quanto desideri che ecc. L'altro, l'altro folletto, che era comparso insieme allo Schicchi (v. 25) si vede che quello non aveva per anco assannato nessuno de' dannati vicini al ponte. Non ti ficchi ecc.; non ti assanni (v. 29). Non ti sia fatica, non t' incresca, non ti gravi (cf. Inf., XIII, 56; XXVIII, 23), piacciati (Inf., X, 24; Purg., XXI, 79). Di qui si spicchi, si parta quinci, si allontani (cf. Purg., XXI, 107). COMMENTO. 41 |