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142-144. Virgilio, anima buona, Maestro verace e solo inteso al morale perfezionamento dell' alunno, è pronto a cavarlo di quello stato angustioso; onde gli dice: anche minor vergogna della tua sarebbe bastevole a scancellare colpa assai maggiore, che la tua non fu; perciò acquetati, sta di buon animo. Difetto; colpa (cf. Inf., XXII, 125; Purg., VI, 40). Lava, purga, toglie via (cf. Inf., XXVII, 108; Purg., IX, 113; Par., V, 75). Tristizia (cf. Inf., VI, 3; Par., XXXII, 54); tristezza, mestizia; pon giù la tristezza, racconsolati (cf. Purg., XXXI, 46). Ti disgrava (cf. Par., XVIII, 6); la colpa è gravame davvero, è gravame conseguente al dolore di essa, e tanto più pesante quanto meno l' anima avvertì l' atto del commetterla.

faccia imbattere.

-

145-148. Se t' avverrà di trovarti altra volta dove sienvi persone che si svillaneggiano, in somiglianti contese, fa conto ecc. Le parole di Virgilio conchiudono nella sentenza di quelle del Signore ad Abramo: Ambula coram me, et esto perfectus.-Fa ragion (Par., XXVI, 8); fa conto, pensa, ch' io ti sia dappresso per rimproverarti, com' ora ho fatto. T'accoglia; ti colga, ti Piato; lite, contesa (placitum pe' Lat. era la lite agitata innanzi ai tribunali). Bassa voglia; è gusto sconveniente ad anima bennata. E Pietro cita Salomone (Prov., XX, 3) : Honor est homini, qui separat se a contentionibus: omnes autem stulti miscentur contumeliis; e poscia S. Paolo (Ephes. : non parmi però che in tale Epistola si rinvenga tal passo -): Turpia colloquia bonos mores corrumpunt. Nel Conv., IV, 25 : «La qual grazia (gentilezza) s' acquista per soavi reggimenti, che sono dolce e cortesemente parlare, dolce e cortesemente servire e operare. E però dice Salomone all' adolescente figlio : Rimuovi da te la mala bocca, e gli atti villani sieno lungi da te. » E l'Apostolo (Coloss., IV, 6): Sermo vester semper in gratia sale sit conditus, ut sciatis quomodo oporteat vos unicuique respondere. E si confronti quanto Dante scrive (Conv., IV, 25, post med., dove cita Tullio nel primo degli Ufficii), con ciò che scrive l'Apostolo, Ephes., V, 12. E forse a ciò si riferisce per gran parte, chi ben consideri, la parola dell' Autore dell' Imitazione di Cristo (ora non mi sovviene il luogo preciso): quoties inter homines fui, minus homo redii.

Nota le terzine 6; 8 alla 11; 17, 19; 21 alla 24; 26, 28, 29; 31 alla 43; 45 alla fine.

NOTA

(ai vv. 58-61).

Intorno a Maestro Adamo credo debito mio riferire la seguente lettera, che m' indirizzava quell' illustre e dotto Prelato, ch'è Mons. Farabulini, sì a fondo versato in molte discipline, segnatamente nelle storiche, come ne fan fede le molteplici opere da lui pubblicate; scrivevami adunque così:

<< Stimo meglio côrre oggi il tempo e proporle in iscritto, senza più altro aspettare, il dubbio che Le ho accennato nella precedente mia lettera; poichè non so quando possa darmisi il destro di parlarle in persona. E innanzi tratto L'avverto che non ho già alle mani una delle grandi ed ardue quistioni, ch' Ella dovrà risolvere nel suo nuovo Commento; ma, in iscambio, una semplice notizia storica, che riguarda, non il testo, bensì una nota che trovo ripetuta, al modo stesso, dai chiosatori della Divina Commedia. Essa

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è intorno alla patria di quel Maestro Adamo che, a richiesta dei Conti di Romena, falsò i fiorini d'oro di Firenze; onde fu posto a morte, e dal Poeta ignominiosamente celebrato nel Canto trentesimo dell' Inferno.

<< Tutti gli annotatori da me veduti (e sono gran numero), affermano che il famoso falsario ebbe i natali in Brescia : io ho qui, invece, un documento sincrono, dal quale si ritrae ch' egli neanche fu italiano. È in prima da notare che nei pochi documenti del secolo XIII, che rimangono negli Archivi di quella città, non è alcun cenno di costui. Così mi accertò il Conte Francesco Bettoni, presidente dell' Ateneo di Brescia, il quale sta ora compilando una nuova istoria della medesima. Rimarrebbe a fare indagini in proposito negli Archivi di Firenze, posto che sieno sopravissuti gli Atti criminali, che avranno servito alla condanna del falsario, e data quindi cagione all' Allighieri di metterlo nel suo Inferno. Ma io non ho avuto ancor tempo di ricercare colà cotali Atti, nè mi sono curato di darne ad altri la briga di rintracciarli.

« Quello che a me più importa, è il mentovato documento: vo' dire, un Contratto rogato in Bologna il 28 di Ottobre 1277, a favore di Bonifacio Arcivescovo di Ravenna. L'originale si conserva nell' Archivio Arcivescovile di quella città (Cafs. IV., n. 6438); e fu ai dì nostri pubblicato dal Tarlazzi nel vol. II dell' Appendice ai Monumenti Ravennati del Conte Fantuzzi. Era par noto assai prima; dacchè venne allegato nelle Decisioni della Sacra Rota del 1778, tra le cause giudiziali. Ora, in fine di questo pubblico Atto, il notaio, tra i testimoni ch' erano presenti in Bologna, registra eziandio Maestro Adamo, e lo dice appunto familiare dei Conti di Romena: ma nol fa Bresciano, nè altrimenti Italiano, bensì Inglese. Ecco le testuali parole: Acum Bononie in palatio Episcopatus bonon., præsentibus... Magistro Adam de Anglia familiare Comitum de Romena. Qui Adam par chiaro che sia, non il nome proprio, ma il cognome del casato; e infatti qualche famiglia così cognominata è tuttora in Inghilterra e in Francia.

« lo tengo che non possa qui dubitarsi dell' identità del personaggio. La data dell' Istrumento, il nome del testimone, la sua qualifica, tutto s' accorda a far credere che costui è il medesimo Adamo (così italianizzato da Dante, e non latinizzato dal notaio), che falsificò la lega suggellata del Battista ad istigazione dei Signori di Romena, mentovati dallo stesso Poeta. Non saprei dire se fin dal 1277, quand' era in Bologna, egli avesse già contraffatto il fiorino d'oro certo è che quella contraffazione si conobbe in Firenze, secondo le cronache, quattro anni appresso, cioè nel 1281; e però dopo quest' anno egli dovè essere preso e processato ed arso dal governo.

<< Ma come si spiega che questo Magister Adam de Anglia, così assolutamente detto inglese da un notaio (che in ciò non poteva errare), sotto la penna de' commentatori di Dante si scambiasse poi in Bresciano? Io suppongo ch' egli fosse, non già della Gran Brettagna, ma della Armorica o Britannia minor, come si appellò la Brettagna delle Gallie, posta allora sotto lo scettro dei re d' Inghilterra; e precisamente fosse della provincia di Brest, o latinamente Brestia; nome che di leggieri potè essere franteso, e quindi voltato in Brescia. Ancora può darsi che alcuno a quel nome cangiasse la tin c, e leggesse Brescia, come, per atto d'esempio, vicium per vitium leggevano gli antichi.

E di ciò basti; chè non voglio dimorare più tritamente ricercando sì minute cose e andandomene in congetture. La S. V. giudichi se convenga dare altra patria a Maestro Adamo, chiamandolo Inglese o più strettamente Brettone. Riceva questa qual si sia proposta per un testimonio dell' alta stima che Le professo, e mi onori de' suoi comandi.

Di Roma, il 2 Maggio 1892.

Suo affez.mo

David FARABULINI.>

CANTO XXXI.

Purg. V, 21.

I

Conv. IV, 27.

5

Pietro

Una medesma lingua pria mi morse,
Si che mi tinse l' una e l' altra guancia,
E poi la medicina mi riporse.

Così od' io, che soleva la lancia
D' Achille e del suo padre esser cagione
Prima di trista e poi di buona mancia.

Noi demmo il dosso al misero vallone,
Su per la ripa che il cinge dintorno,

2

Auctor præmissa illa moralitate quomodo Virgilius eum reprehendit audientem talia vitia; ad quod Seneca ait : « gratissima est probi hominis iracundia, et Augustinus in Decretis multa bona præstantur invitis, quoniam eorum consulitur utilitati, non voluntati, quia ipsi sibi inveniuntur inimici dicit quomodo devenit ad puteum etc. >>

..

1-3. Notati dall' Alfieri. Una medesma ecc.; una stessa lingua, quella di Virgilio, prima sì mi punse con quelle parole di rimprovero e di minaccia (Inf., XXX, 131-132), da farmi tutto arrossir di vergogna; e poi mi diede conforto (ivi, XXX, 142-148). Mi tinse (cf. Inf., XXX, 133-134); dell' idea del colore nella vergogna cf. Purg., V, 21 (e nell' amore, Vit. N., § 15 e 37; Purg., XXVIII, 43-45; nel dolore, Purg., XXXIII, 4-6; nel disdegno, Par., XXVII, 19-21); e nel Conv., IV, 25: « Le vergini, le donne buone e li adolescenti.... tutti si dipingono nella faccia di pallido e di rosso colore. » nedicina ecc.; il conforto di parole amorevoli e di serio ammaestramento, perch' io da tema e da vergogna mi disviluppassi (Purg., XXXIII, 32-33). Consimile all' altro, Inf., XXIV, 16-18; idea che, sott' altro rispeto, rifiorisce altrove nelle parole temprando il dolce con l'acervo (Par., XVIII, 3). — Mi riporse; mi porse all' incontro.

La

4-6. Favoleggiarono gli antichi che la lancia, che Achille aveva ereditato dal padre Peleo, fosse di tal natura, che le ferite da quella aperte non si potevan sanare se non al tocco della lancia stessa (o con un empiastro, dicono altri, della polvere raschiata dalla lancia medesima); cf.Ovidio,Met.,XIII, 171-172; Trist., V, 2, 15 : Rem. amor., 47; e i poeti del tempo di Dante, osserva il Casini, volentieri paragonavano il bacio e lo sguardo della lor donna alla lancia di Peleo. Od' io; intesi narrare dagli antichi poeti. Prima ecc.; anche Ovidio (Rem, amor., 44):

Una manus votis vulnus opemque feret.

Mancia; nel senso di dono in genere, e per tutto ciò ch'è dato; dunque in senso di effetto (cf. Berni, Orl. inn., II, 23, 38).

7-9. L' Alfieri notò il primo. Lasciandosi a tergo l' ultima bolgia, i Poeti s' avviano silenziosi per quel tratto dell' ottavo Cerchio, che è tra questa bolgia e il Pozzo de' Giganti, il quale è nel dritto mezzo di Malebolge (cf. Inf., XVIII, 4-6). Demmo il dosso (volger le spalle, Inf., XV, 52; XXV, 139; Par., IX, 128; e dar le spalle, per mettersi in fuga, qui appresso, v. 117; e dar le reni, per volgersi dall' altra parte, Par., IV, 141). Vallone, bolgia; misero, dove tanta miseria s' aduna, cf. Inf., xxx, 61. Su per la ripa : spieghiamoci; per ripa io non intendo qui quella pendice o costa dell' argine

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interiore di essa bolgia, sibbene intendo quel tratto di piano inclinato che correva da questa bolgia sino al Pozzo. Lo Scartazzini spiega : « per veder meglio i Poeti erano discesi in su la scarpa dell' ultimo argine di Malebolge; Inf., XXIX, 52-53; ora riascendono; ma il Poeta non disse codesto, ma solo ch' egli e Virgilio discesero in sull'ultima riva; dunque non sulla scarpa (che sarebbe giù verso il fondo della bolgia), ma sulla vetta o cima dell' argine. Ciò che potè trarre a questa spiegazione è certo quel su del v. 8; ma qui non ha senso di scesa, come non l' ha nel Purg., XXVIII, 6 :

Prendendo la campagna lento lento,

Su per lo suol che d'ogni parte oliva;

come non l' ha nell' Inf., XVII, 43 (tanto più che prima, v. 35, aveva detto poco più oltre). Nè giova, come il Bennassuti, aver prima fatto un capriccioso disegno (Inf., XXIX, 53), per poi richiamarsene a questo punto per ispiegare materialmente l'avverbio su, mostrando in ascendenza il tratto di territorio che è tra l'ultima bolgia e il Pozzo, mentre par meglio rispondente alla parola del Poeta (Inf., XXIV, 37-38) intendere che anche questo tratto pendesse, fosse cioè, per quanto leggermente, inclinato verso il Pozzo.-Attraversando, camminando attraverso, attraversando quella larga ripa, quel terreno ecc., in precisa direzione dei ponti, che tutti, ne' vari loro ordini, convergevano verso il Pozzo (cf. Inf., XVIII, 14-18). Anzi dobbiamo supporre che i Poeti camminassero sopra un rialto, quale proseguimento dell' ordine de' ponti già percorso, se è vero, com'è verissimo, che i varii ordini di ponti morivano propriamente alla sponda del Pozzo.-Senz' alcun sermone; dopo qualche fatto rilevante (cf. Inf., XXIII, 1; XXIX, 70), la mente ha come bisogno di raccogliersi in sè; Dante, benchè da Virgilio tosto confortato, non s'era ancora dispogliato della sua confusione, nè poteva, perch' era stata profonda; e Virgilio, perchè l' alunno nel suo raccoglimento tragga buon frutto e si raffermi ne' buoni propositi secondo l' avuto ammaestramento, lo lascia pensare.

10-15. L' Alfieri li trascrisse, tranne il penultimo. Quivi; in quel luogo, in quella solitudine ch' era dalla decima bolgia al centro dell' ottavo Cerchio, occupato dal Pozzo. — Men che notte ecc.; è duro a capire perchè certi chiosatori vogliano in questa frase intendere l'ora del giorno; ma più ameno di tutti è certo il Bennassuti : « Men che notte ecc. Nè notte nè giorno; cioè crepuscoli, e qui crepuscoli della sera. Nel 9 Aprile, in che siamo, il sole tramonta alle 6, 32, ed i crepuscoli durano sino alle 8. Ma che ci han da fare i crepuscoli del nostro mondo rispetto al colore dell' aria di laggiù? Dante, insomma, non altro vuol farci intendere se non questo, che in quel luogo non c'era un buio fitto, ma non c'era neppur vera luce, una specie di crepuscolo serotino, quando gli oggetti perdono i loro atti (cf. Purg., XXIX, 48) e l'occhio non discerne che a poca distanza (cf. Inf., XXIV, 70-75).—Il viso; la vista, l'occhio non poteva spingersi molto in là (cf. Inf., XVIII, 127); e segue qui l'opinione di Platone, come altrove notai (cf. Inf., X, 73-75). — Ma ecc.; pare un giuoco, ed è, la spiegazione data da alcuni : benchè non potessi vedere, poteva udire; s'intenda :non vedevo che poco, non sapevo su che fissare

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Mon. III, 10.

6

Conv. III, 9.

7

Conv. I 6.

20

Dopo la dolorosa rotta, quando
Carlo Magno perdè la santa gesta,
Non sonò si terribilmente Orlando,

Poco portai in là vôlta la testa,
Che mi parve veder molte alte torri;

Ond' io Maestro, di', che terra è questa?

661

la mia osservazione, ed ecco un gran suono di corno, il quale attirò tutta la
mia vista verso il luogo donde esso veniva. — Alto corno (cf. Inf., IV, 1-2):
corno, che avea un suono sì forte, che avrebbe coperto il rumore del tuono
(fioco, cf. Inf., 1, 63). Vedremo chi fosse il sonatore (v. 71).
sè ecc.; il qual suono fece sì ch' io volgessi gli occhi totalmente al luogo,
Che contra
dond'esso veniva, seguitanti (gli occhi) la sua via(la via che faceva esso suono),
però contra sè, cioè in direzione contraria a quella che il suono teneva.
Seguitando; riferito ad occhi; gerundio che tien le veci del partic. pres. (cf.
Inf., II, 116; Purg., IX, 38; X, 56; Par., XXVIII, 45).
del tutto fissi verso là.
Tutti, totalmente,

16-18. L' Alfieri notò l'ultimo. - Dolorosa rotta; la rotta di Roncisvalle avvenuta per tradimento di Ganellone di Maganza (cf. Inf., XXXII, 122) cognato di Carlo Magno, nella quale furono dai Mori trucidati circa trentamila guerrieri Cristiani, da Carlo ivi lasciati sotto la condotta del paladino Orlando. Nelle leggende del ciclo carolingico si narra che Orlando, vedendosi a Roncisvalle sopraffatto dai nemici, dopo d' aver combattuto eroicamente e perduti pressochè tutti i suoi, chiamò in proprio aiuto Carlo col suo esercito, che era già distante trenta leghe; perciò diè fiato al suo corno, e con tanta forza, che Carlo ed i suoi intesero quel suono, volarono in aiuto, ma quando giunsero, Orlando e gli ultimi suoi eran già morti (cf. Par., XVIII, 43).- La santa gesta; il nostro gesta e il francese geste nei poemi e romanzi cavallereschi valevano in antico schiatta, famiglia, gente, è più raramente impresa; anche l' Ariosto:

Mostra Carlo sprezzar con la sua gesta,

cioè co' suoi paladini. E nel primo senso intesero qui tal voce i nostri vecchi
chiosatori (il Lana, l' Ottimo, l' Anon. Fior.,.il Buti; e la glossa interlin. del
Cod. Cass., sopra gesta ha societatem, e nelle chiose marginali: dum Rolan-
dus remansisset cum alia gesta, idest sotietate ad custodiendum etc.); e così
tra i moderni dantisti il Fanfani, l' Andreoli, il Camerini, lo Scartazzini, il
Casini. Il Del Lungo scrisse, come sempre, cosa degna del suo acume e va-
lore; ma di ciò veggasi in fine del Canto la Nota.
singolarità del suono, la gravità del pericolo, la forza dell'eroe; è pittura, è
Terribilmente; dice la
un volume di cose.

19-21. L' Alfieri notò il primo. Poco portai in là ecc.; la frase rinnova
l'idea che i Poeti procedevano nel cammino: dunque: poco procedetti cogli
occhi rivolti a quel luogo ecc.- Vôlta; è da ritenersi lezione vera, a confronto
di alta, seguita dalla Crusca e difesa dal Foscolo, e che non ha tanto suffra-
gio di Codici, quanto la prima.
parve veder ecc.; leggasi Conv., III, 9, ant. med.— Torri; erano i giganti, che
Che, quando, allorchè.
Mi
torreggiavano di mezza la persona la sponda del Pozzo (vv. 42-44); onde il
Poeta, non chiaro discernendo per l'oscurità, pensa all' appressarsi d' una
città (terra) cinta di torri, e così trae occasione di rompere il silenzio (Inf.,
XXX, 139; XXXI, 9), chiedendone a Virgilio il nome. La domanda del Poeta
è naturalissima, dacchè ben si rammentava d'un altra città turrita già ve-
duta nel suo viaggio (Inf., VIII, 67 e segg.); e forse ricordandosi pure gli
ostacoli gravissimi quivi incontrati, e la paura, che n'ebbe (Inf., VIII, 82-

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