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I.

Del fine della raccolta.

CREDEVA Giacomo Leopardi che « de'più antichi (italiani), fuori di Dante e del Petrarca, quantunque si trovino rime, non si trovi poesia.1 (*) La quale opinione accolta assolutamente non raccomanderebbe certo ai lettori questo libretto, che noi mandiamo fiduciosi ad accompagnare nella Biblioteca Diamante e in certo modo a illustrare la Commedia il Canzoniere il Decamerone. Ma che al Leopardi,

() Vedi le note in fondo al Discorso.

a

dimesticatosi co' Greci quasi con uomini del tempo suo e abituato a contemplare un esempio di arte lucido eguale sereno, non apparisse nelle rime del trecento quella che sola a lui pareva poesia, è facile a intendere. Pure poesia v'è sotto quelle apparenze tal' ora un po' rozze, tal' altra un po' uniformi, qualche volta anche artifiziate; sotto quelle apparenze che tengono del colorito di Giotto e de' tocchi di Donatello. E non potrebbe non esser così: perchè quella età portò Dante e il Petrarca, perchè in quella età esultò la poesia fin dall'agile pic ghevole armoniosissima prosa delle leggende, delle cronache, delle novelle; e la religione e lo stato e la famiglia, e i costumi e le arti e le dottrine, fu tutto poesia; e le forme della poesia non erano anche trite dall' uso o cincischiate dalle cesoie dei trattatisti o sgualcite dalla mano impronta degli accademici di tutte le scuole. Oltre che; la ragion poetica della Commedia e del Canzoniere, i due

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