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Ahi quanto nella mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter vederla, bench'io fossi
presso di lei e nel mondo felice!

(Par., XXV, 136-139).

"Intendi (scrive, ben a ragione, il Fraticelli) che la suprema rivelazione gli toglie la vista fin della Scienza divina, ch'è dichiarazione delle verità rivelate. 99

Torna a Dante la vista, la mercé di Beatrice:

Cosi dagli occhi miei ogni quisquiglia
fugò Beatrice col raggio de' suoi,
che rifulgeva più di mille miglia.

S'immagini, dunque, che raggiera!

(Par., XXVI, 76-78).

La sfera del Cielo stellato o della fascia zodiacale, che simboleggia la Metafisica o la Scienza delle cause prime, accoglie perciò quanti spiriti mai furono, che, pur stando in terra, vissero di là dalle cose fisiche e però colla mente sempre volta al Cielo. Siamo al termine estremo della creazione, e, quindi, al confine che segna il passaggio dal tempo alla eternità beata. Beatrice rideva d'un riso ineffabile. Prendi, dice Dante, prendi tutte le più belle figure di donne e mettile insieme :

--

Tutte adunate parrebber niente

vêr lo piacer divin, che mi rifulse,
quando mi volsi al suo viso ridente.

E come no?

(Par., XXVII, 94-96).

Rideva tanto lieta,

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che Dio parea nel volto suo gioire.

Ivi, 104-105).

Tutto è luce ed amore, (Ivi, 113); e questo è il vero Paradiso di Dante. La sfera del Cielo cristallino o primo mobile che simboleggia la Filosofia morale, perché "ordina noi a tutte le altre scienze;,, è perciò il cerchio massimo dell' Universo. Il vero or non piú si dimostra, ma si vede "come stella in cielo,, (XXVIII, 87); ed in esso si queta ogn'intelletto, (Ivi, 108) onde quell' esser beato nell'atto che vede, (Ivi, 110). Beatrice col volto di riso dipinto, (XXIX, 7) non è piú una donna, è una santa, che riguarda

Fiso nel punto che m'aveva vinto.

(Par., XXIX, 9).

E quel punto luminoso, che aveva vinto il poeta a chiudere gli occhi, sí acuto n'era lo splendore, è Dio stesso,

Ove s'appunta ogni ubi ed ogni quando:

(Ivi, 12).

in cui, cioè, per essere immenso ed eterno, va a far punto o a terminare, siccome a centro, ogni luogo ed ogni tempo.

Da ultimo, l'Empireo che simboleggia la Scienza divina. e però tutta pace, è apice e compendio di tutto, quasi cupola maestosa che corona il grande edificio della creazione dantesca: miro ed angelico tempio (XXVIII, 53). Beatrice or sta per tornare al suo seggio; e le ultime pennellate del poeta sono le seguenti:

Qual è colui che tace e dicer vuole

mi trasse Beatrice, e disse: Mira
quanto è 'l convento delle bianche stole !

(Par., XXX, 127-129).

Beatrice, nel suo silenzio, parla; e Dante se ne fa interprete fedele: tanto le loro intelligenze o le anime loro si sono compenetrate insieme. A lei si rivolge ancora una volta per averne

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uno schiarimento; ma Beatrice era sparita. E Dante, invece di lei, trovasi al fianco un vegliardo vestito come le genti gloriose :

Diffuso era per gli occhi e per le gene

di benigna letizia, in atto pio,
quale a tenero padre si conviene.

(Par., XXXI, 61-63).

È s. Bernardo, che sottentra a Beatrice.

Ed: Ella ov'è? di subito diss' io.
Ond' egli: A terminar lo tuo desiro
mosse Beatrice me del luogo mio.
(Ivi, 64-66).

E' compimento d'ogni desiderio di Dante è vedere Iddio.

E se riguardi su nel terzo giro

dal sommo grado, tu la rivedrai

nel trono, che i suoi merti le sortiro.

(Ivi, 67-69).

Beatrice, dunque, or siede in trono: ossia, nel terzo giro della mistica rosa, contando dall'alto o dal sommo grado, dopo il trono di Maria.

Sanza risponder gli occhi su levai:

e vidi lei, che si facea corona,
riflettendo da sé gli eterni rai.

(Ivi, 70-72).

E nel suo seggio di gloria, vidi la Donna mia, la quale de' raggi divini, che da sé rifletteva, facevasi un'aureola intorno al capo: vera e grande apoteosi, in cui Beatrice rimane deificata. A Dante non rimaneva che inginocchiarsi e pregare:

O donna, in cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute,
in Inferno lasciar le tue vestige.

È la speranza della vita eterna.

(Ivi, 79-81).

Beatrice avea lasciato le orme del suo piede nel Limbo, quando vi andò a chiamare Virgilio, perché subito accorresse a salvare Dante, smarrito nella selva de' vizi e degli errori umani.

Di tante cose, quante ho io vedute,
dal tuo potere e dalla tua bontade
riconosco la grazia e la virtude.

(Ivi, 82-84).

Di tante e sí svariate scene, che mi si pararono davanti, percorrendo i tre regni della eternità cristiana, è tua la grazia e la virtú, tua la possanza e la bontà, in me trasfuse per contemplarle e descriverle.

Tu m'hai di servo tratto a libertade
per tutte quelle vie, per tutt'i modi,
che di ciò fare avean la potestate:

(Ivi, 85-87).

La mia mente era ingombra di errori; e tu l'hai illuminata. Il mio cuore era schiavo de' sensi o delle passioni, schiavo de' disordinati appetiti; e tu mi hai francato dal servaggio. Ora mi sento moralmente libero, e, quindi, signore di nie. È l'effetto delle vie, per le quali mi hai menato, e de' modi, meco usati, facendomi progressivamente vedere, prima il tormento e la disperazione de' dannati, poi le pene e la purificazione degli eletti, da ultimo il gaudio e la glorificazione de' beati. Tutto, adunque, io deggio a te.

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La tua magnificenza in me custodi,

sí che l'anima mia, che fatt' hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi.

(Ivi, 88-90).

Giacché ti é piacciuto esser meco sí larga, sí liberale, sí munificente, custodisci in me la opera tua, ch'è santa, e fa che l'anima mia, da te sanata, in punto di morte si ricongiunga a te, e compia cosí i suoi finali destini.

Cosí orai; e quella sí lontana,

come parea, sorrise e riguardomnii;

poi si tornò all'eterna fontana.

(Ivi, 91-93).

La preghiera è più che degna di Dante; e in siffatta forma, non poteva pregare che 'l divino poeta soltanto. Beatrice, dall'alto del suo seggio, benignamente guardando, sorrise; e quest'ultimo sorriso è come un' arra di futura grandezza e di felicità eterna. Poi si rivolse a Dio, ch'è la fonte inesauribile, eterna, di tutti i beni.

Cosí contemplato e descritto, il Paradiso è il vero regno dello Spirito venuto a libertà, ch'è quanto dire emancipato dalla carne; è il vero regno della Filosofia, qual era vagheggiata dagli Scolastici, o il regno della pace, dove intelletto, amore ed atto formano una stessa cosa; e il vero regno di Dio, dappoiché la Triade è insieme Unita. E, quando l'uomo è sollevato dall'amore fino a Dio, per modo che l'umano è congiunto al divino, si ha il perfetto e sommo Bene: il paradiso dell'Anima.

Oneglia, 1895.

G. DE LEONARDIS.

NOTIZIE

Del Codice diplomatico dantesco.

Si è publicato in questi giorni, in edizione splendidissima, il primo fascicolo del Codice diplomatico dantesco: I documenti della vita e della famiglia di Dante Alighieri riprodotti e illustrati da Guido Biagi e da G. L. Passerini. Riferiamo qui il manifesto che lo accompagna.

Alla biografia di Dante, dopo i tradizionali e i moderni elogi e le negazioni recenti, vogliamo recare saldo fondamento di testimonianze antiche e sincere. Raccogliere i documenti conosciuti della vita e della famiglia dell' Alighieri, riprodurli per evitare il pericolo di possibili smarrimenti, iliustrarli con il frutto di nuove indagini, e tentare una larga e ordinata esplorazione dei nostri archivi con criterî scientifici e con ferma speranza di trovare la prova di molti fatti sin qui raccomandati solo alla tradizione contemporanea, avviare insomma parecchie questioni, troppo vanamente discusse, a quella soluzione che soltanto i documenti posson fornire : ecco in breve l'assunto nostro e il fine dell'opera di cui offriamo un saggio a' lettori.

"È tempo ormai che gli studî sulla vita di Dante, con la scorta e l'esempio dei più venerati maestri, siano messi per una via da cui non si torni indietro; non piú quella delle vaghe affermazioni o dei sistematici dubbî, sibbene l'altra, diritta e sicura, della riprova de' fatti. E a questa via da tre punti conviene muovere: dallo studio delle notizie soggettive sparse qua e là nelle opere del poeta; da quello delle notizie tradizionali forniteci dai biografi antichi piú degni di fede; dall'esame dei documenti acquisiti alla storia.

"Questo il nuovo programma di studî che abbiamo in animo di compiere, se non ci man

chino il tempo e le forze. Averlo delineato ci sembra già prova di meditati propositi, e ci raddoppia, se non altro, l'ardire.

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Pertanto, accingendoci al lavoro della ricerca e dell'esame dei documenti intorno alla vita e alla famiglia di Dante, col quale intendiamo colorire la prima parte del nostro disegno, diremo brevi parole sugl' intenti propostici e sul modo onde speriamo di conseguirli.

"Di tutti i documenti intorno a Dante o alla famiglia di lui, fin qui comparsin luce, crediamo di aver compiuta e precisa notizia. Li verremo man mano riproducendo ed illustrando con note critiche e storiche e monumenti d'arte contemporanei, secondo che meglio per noi si potrà. Obbligarci a pubblicare i documenti in ordine cronologico, sarebbe come una petizione di principio, poichè vogliamo appunto con reiterate indagini cercarne de' nuovi, e confidiamo anche per questo nell'aiuto dei dantisti e degli eruditi. Si pensi che il frugar negli archivi richiede spesa e pazienza, e che delle ricerche una dà lume all'altra, quando si facciano entro un periodo determinato di tempi e d'avvenimenti, dai quali non converrebbe, con trascorsi inopportuni in altri e più remoti campi, distrarsi.

"E ancora il raccogliere da' monumenti dell'arte quanto può quasi offrirci lo scenario storico entro cui certi fatti avvennero, richiede infinite cure e fatiche: onde nemmen per questo ci conviene seguir l'ordine cronologico dei documenti sin qui conosciuti, procedendo a sbalzi dall' uno all' altro luogo, per i difetti o lacune di quell'ordine stesso, saltando di Toscana in Romagna e d'Arno in Bacchiglione.

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Terminato il lavoro, ogni tavola dei documenti andrà al luogo suo, secondo la data che porta in fronte. E allora avremo anche un altro studio, che ora non apparisce, compiuto: cioè potremo mostrare quanti dei documenti citati da' vecchi eruditi, nei loro spogli, sussistano ancora; e di quelli che non fu possibile rinvenire daremo le testimonianze, le quali saranno riconosciute degne di fede, se la critica varrà a mostrarle una dall' altra indipendenti. Così avremo anche fatto lo studio delle fonti documentali, che servon di guida alle indagini nostre.

"Il saggio che presentiamo potrà, meglio di queste parole, manifestare gl'intenti del lavoro a cui abbiam posto mano e che speriamo di condurre a buon termine, se non ci manchi il pubblico favore.

"Studiare nella vita Dante che fu, come disse il Carlyle, la gran voce dell'Italia in tempi di servitú, raccogliere le disjecta membra poetae, è come innalzargli un nuovo monumento di riconoscenza e d'amore. Noi sarem paghi e insieme orgogliosi, se avremo potuto fornire alla grande opera i piú umili, ma piú validi fondamenti,,.

Roma, 26 di maggio 1895.

GUIDO BIAGI

G. L. PASSERINI.

Il CODICE DIPLOMATICO DANTESCO Consterà di circa 40 dispense in folio mass., su carta a mano filogranata di Fabriano. Ogni dispensa sarà di cinque tavole fototipiche o in tipografia con illustrazioni zincografiche, oltre alla copertina. Edizione di soli 300 esemplari numerati. Prezzo di associazione, 10 lire per ogni dispensa. [Ai librai sconto D.].

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I nomi dei primi cento associati, patroni dell' opera, saranno impressi nel frontespizio di ciascun esemplare,

Per l'associazione rivolgersi all'Editore del Giornale Dantesco, il Sig. Leo S. Olschki di Venezia, o ad uno degli editori dott. GUIDO BIAGI, direttore della Rivista delle Biblioteche e degli Archivi, Roma, via Palestro, 36-a, p. p., e conte G. L. PASSERINI, direttore del Giornale dantesco, Roma, via delle Finanze, 6, p. p.

L'associato pagherà l'importo di ciascuna dispensa al ricevimento di essa. Non usciranno più di dieci dispense l'anno. La Società dantesca italiana disporrà di un certo numero d' esemplari dell'opera per i propri soci, al prezzo di 7 lire e 5 centesimi in Italia e di 8 lire per gli stati dell'Unione postale.

Proprietà letteraria.

Città di Castello, Stab. tip. lit. S. Lapi, 30 di giugno 1895.

G. L. PASSERINI, direttore. LEO S. OLSCHKI, editore-proprietario, responsabile.

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La quistione del contrappasso, come ogni altra quistione dantesca oramai, si è venuta in questi ultimi tempi ingrossando, e parecchi importanti scritti si son pubblicati sulla struttura morale dell'Inferno e sul sistema punitivo di Dante. Ma a me pare innegabile che nell'Inferno si soffra una pena morale ed una pena materiale. "La pena morale consiste per i dannati nell' odiare Dio, ch'essi sentono di aver perduto per sempre, nell' odiarsi fra loro, nel continuare nella rea passione ch' ebbero in vita.... La pena materiale, che si fonda sul principio del contrappasso, diviene per loro un desiderio,

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E che cosa è il contrappasso? Dante ce lo fa capire chiaramente quando, presentandoci Bertran de Born (il quale avea fomentato la discordia tra il suo re e il figlio di lui) col capo tronco, ch' ei tenea per le chiome, pésol con mano a guisa di lanterna, ci fa dire da lui

stesso:

Perch'io partii cosí giunte persone,

partito porto il mio cerebro, lasso!

dal suo principio ch'è in questo troncone. Cosí s'osserva in me lo contrappasso. 3

1 Cfr. p. es. L. FILOMUSI-GUELFI, Il contrappasso in Dante, e la rassegna che fa di questo scritto il prof. ZINGARELLI nel Bullettino della Società dantesca italiana, vol. I fasc. 5 (nuova serie), e lo studio dello stesso ZINGARELLI, Gli sciagurati e i malvagi nell'" Inferno dantesco (Giornale dantesco, an. I, pag. 252), e quello di GIORGIO TRENTA, Gl'ignavi e gli accidiosi nelr" Inferno, dantesco (ibid., pag. 513); ecc. Senza fine sono poi gli accenni alla quistione, in altri

lavori.

2 BARTOLI, Storia della letterat. ital., vol. VI (parte I e III). * Inf., XXVIII, 139-142.

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