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Lo storico Donato Giannotti nel dialogo ricordato dal mio opusculo, attribuisce la trovata originale alla mente sublime di Michelangelo Buonarroti, che, come tutti sanno, fu studiosissimo di Dante. L'idea che mi pregio di sostenere, non ebbe fortuna, perché il dialogo del cinquecentista venne alla luce una trentina d'anni fa, quando l'opinione volgare era cosí abbarbicata nella mente degli studiosi, o inchiodata, direbbe il Galilei, che passerà del tempo prima che sia divelta, aprendo gli occhi al vero.

Anche il senso allegorico della Commedia, con cui s'accorda la nuova interpetrazione cronologica, è tenuto mia invenzione, mentre è il frutto degli studi del padre Ponta che fra i Dantisti non è un Carneade, e non sospettava che la sua principale allegoria sarebbe stata cosí felicemente congiunta con un pensiero del Buonarroti.

Non istarò ad affermare ciò che l'A. spesso nega senza discutere, né a ripetere quanto scrissi in risposta al Barbi, contento di ribattere le nuove obiezioni.

Si mette in dubbio il valore dei rapporti da me stabiliti fra tempo e spazio a questo modo: se dal quarto al sesto cerchio i poeti impiegano ore percorrendo 7 miglia, non possono in 6 ore andare dalla selva al quarto cerchio per miglia 1100.

Anzitutto fo notare che il mio orario è diverso, perchè segnai dalla selva al quarto cerchio ore 8, dal quarto al sesto ore 2. Messe le cose a posto, rimane sempre la sproporzione, anzi chi ben guarda al resto del mio orario, può trovarvi altre simili enormità; cosí dalla quinta alla nona bolgia si fanno in 6 ore miglia 9, mentre dal sesto cerchio alla quinta bolgia si fanno, in sole 27 ore, miglia 2820. Guardando il mio orario alla grossa, proporzione non v'è, ma riflettendo sul quinto capitolo del mio lavoro, si trova tutto logico e giustificato.

Bisogna far differenza fra spazio percorso d'un fiato, senza cura aver d'alcun riposo, e spazio percorso con varî e lunghi indugi, guardando i dannati, parlando con essi, volgendo a destra o a sinistra e interrompendo cosí il cammino verso il centro del mondo. Anche l'A. nel suo scritto recente sostiene questa distinzione: "si pensi che solamente dopo la porta infernale si accenna a fermate più o meno lunghe, a difficoltà di cammino ed a tante altre circostanze che contribuiscono al ritardo,'. Or dalla selva al quarto cerchio abbiamo due spazi, uno breve di circa 20 miglia (vestibolo e cerchi) percorso con varie fermate, l'altro lunghissimo di circa 1070 miglia com

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1 Giornale dantesco, ib., pag. 251. A maggior conferma aggiunge: "Il viaggio infernale, come del resto anche quello del Purgatorio, non si compie solo collo scendere di cerchio in cerchio, guadagnando unicamente sul raggio terrestre, sul profilo, ed a cui si limitano i conti del dott. Russo, ma anche col girare sugli archi acquistando terreno nel senso della periferia del vasto abisso È proprio il caso di dire che l'A. è più papista del Papa; le sue parole non fanno che sostenere sempre più la mia tesi. Pure io l'invito a citare un solo passo del mio libro, da cui si tragga, ch'io non tenni conto del giro del poeta sui cerchi. Non ne parlai espressamente, perché il concetto è vecchio e da tutti risaputo: ne aveva scritto diffusamente il Giambullari e l'A. stesso. A pag. 74 del mio studio, parlai bene di indugi, senza determinarli, perché non era necessario.

piuto senza mai fermarsi. Quanto tempo assegneremo alla visita dei dannati? Tenendo conto, come desidera l'A., (p. 249) che nel quinto e sesto cerchio le fermate siano più lunghe, avendo per essi impiegato due ore, non parrà troppo se pel vestibolo e i primi cerchi se ne segnano 3: ne resteranno 5 per le miglia 1070 percorse d'un fiato in linea retta. Chi pensa infine che da Lucifero al Purgatorio per via a spirale (in linea retta sono 3250 miglia) Dante si conduce in 22 ore, qual meraviglia se in 5 si percorre una via diritta di 1070 miglia? Le 600 ore che l'A. scherzosamente ha tirato in ballo, non son punto necessarie. Con egual processo potremmo dimostrare che le ore 27 dagli eresiarchi ai barattieri son proporzionali alle ore 6 tra barattieri e scismatici, e cosí cade la grande obiezione del mio contradittore.

Mettendo a profitto il nuovo esperimento sulla principale allegoria della divina Commedia del padre M. G. Ponta, e alcuni versi del Purgatorio (XXIII, 118-21), ebbi ad osservare che Dante comincia l'esodo pei regni d'oltretomba, allorché si mostra la luna piena, la quale in conseguenza non può aver dato lume nella selva oscura. Notai che leggendo il primo canto dell' Inferno, nessuno sospetta che fra gli orrori della selva, tanto amara che poco è più morte, possa risplendere la luna tonda: attraverso il passo che non lasciò giammai persona viva, Dante sarebbe stato, secondo alcuni commentatori, aiutato più volte dal plenilunio, e a me riesce inesplicabile lo spavento, il dolore del poeta. Si deve inoltre pensare che la notte nella selva oscura non rappresenta una notte naturale, ma un periodo di tempo durato dei mesi e degli anni non che dei giorni: è la notte dei vizi in cui Dante cadde dopo la morte di Beatrice,

E volse i passi suoi per via non vera,..
Tanto giú cadde che tutti argomenti
alla salute sua eran già corti,
fuorché mostrargli le perdute genti.
Per questo visitai l'uscio dei morti....

Purg., XXX, 130.

Dopo tutte queste ragioni, delle quali l'A. è padronissimo di dubitare, nella terzina,

E già ier notte fu la luna tonda;

ben ten dee ricordar che non ti nocque

alcuna volta per la selva fonda,

io trovo questo significato:

Inf., XX, 127

ier sera quando entrammo per lo cammino alto

e silvestro, fu luna piena; te ne devi ricordare, perché piú volte ci giovò. Poiché questo cammino è nient'altro che una via sotterranea che conduce all' Inferno, L'A. obietta: come la via sotterranea è chiamata selva fon

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Similmente l'aggettivo silvestro ha senso traslato: il cammino silvestro è l' Inferno (Inf., XXI, 84), lo cammino alto e silvestro (Inf., II, 142) è la via profonda e sotterranea, quella che nella terzina di sopra fu detta selva fonda. Tra le due frasi vi è analogia e significato eguale: la selva fonda non vale forse il cammino alto (profondo) e silvestro? Come la luna possa giovare anche laggiú, lo sanno i poeti; Virgilio quando nell'abisso non vede e stelle, e luna, e sole, piú volte avvisa il compagno: già ogni stella cade - i Pesci guizzan su per l'orizzonta la luna è sotto i nostri piedi il sole a mezza

terra riede.

L' A. per altro mi rende giustizia, quando riconosce che il principio di proporzionalità fra tempo e spazio da me stabilito, ha corretto un errore di molti commentatori; ammette che giusta è l'interpretazione data alle parole di Malacoda,

Ier piú oltre cinqu' ore che quest' otta,...

Inf., XXI, 112,

e-che Dante giunge sulla quinta bolgia alle sette del mattino. Però mi meraviglio come non abbia poi fatto il seguente ragionamento:

Se dalla quinta alla nona bolgia sono impiegate 6 ore, ne passeran 5 in proporzione dalla prima alla quinta; dunque se coi barattieri si è alle 7 del mattino, coi lenoni siamo stati alle 2 dopo mezzanotte. Inoltre, sui tre gironi dei violenti è passato un certo tempo non meno di 4 ore; dunque molto prima di mezzanotte ci trovammo in compagnia dei Centauri.

Se avesse fatto queste considerazioni, avrebbe dovuto concludere cosí: Noi commentatori affermiamo che Dante alle 4 del mattino non aveva ancora tentato la discesa nei violenti, e dalle precedenti argomentazioni risulta che sei ore prima egli l'aveva già bella e compiuta? E tutto questo ci accade senza aver computato altri tempi, che saran certo trascorsi nelle discese del Minotauro e di Gerione? Che non ci sia un forte abbaglio nel nostro orario?

Dopo questa seconda riflessione, un'altra ed ultima, che lo avrebbe rimesso sulla buona via:

I Pesci che guizzan sull' orizzonta mentre i poeti son sul sesto cerchio, indicano un'ora mattutina poco prima dell'alba. Caino e le spine che tocca

Giornale dantesco, Vol. III.

6

l'onda sotto Sibilia, quando i poeti son per abbandonare la quarta bolgia, segna anche un'ora della mattina poco dopo il sorger del sole. Per evitare la contraddizione notata avanti, perché non attribuire queste due descrizioni a due mattinate diverse? Al commentatore non conviene ripetere questi argomenti, perchè il suo Inferno è scompartito cosí che ripugna ad alcun principio di proporzionalità, come già ebbi occasione di dimostrare, e dice che se Dante avesse fatto passare un intero giorno tra il sesto cerchio e la quinta bolgia dell'ottavo, ci avrebbe regalato qualche altro cenno astronomico. Si ricordi però, che da Lucifero al Purgatorio passa anche una giornata, e nel viaggio dalla divina foresta all'Empireo, che dura 24 ore, scarsissime e molto dubbie sono le indicazioni astronomiche. Se, come scrisse l'Agnelli nella Topo-cronografia, il viaggio nel mondo materiale non si può eseguire fuori del tempo (138), è necessario che venga rispettato il principio di proporzionalità; le ipotesi posson esser combattute, ma non i numeri su cui si fonda la logica delle mie dimostrazioni, ond' io dico agli annotatori, che rinuncierò volentieri all' intuizione del Giannotti e del Buonarroti, quando dall'orario comune si saranno allontanate le incoerenze.

Vorrei tralasciare altre confutazioni, ma me ne sbrigo in poche parole: l'A. affermò (Topo-cronografia, pag. 106-7) che al c. VII Inf. 97-99 è indicata mezzanotte, e al c. XI, 112-15, le 4 am.; ora per isvincolarsi dai legami dei miei argomenti, non ha difficoltà di contraddirsi scrivendo che quelle indicazioni son problematiche e posson variare per una o per due ore. Quando l'avversario vi sfugge di mano a questo modo, non mette conto far delle dispute. Curiosa quest' altra: dimostra che il verbo salire riferito al movimento degli astri ha in Dante il significato di procedere dall' orizzonte verso il meridiano, cioè sorgere, mentre cadere vuol dire tramontare. L'A. trae la conseguenza: se salire è procedere dall' orizzonte al meridiano, cadere vuol dire procedere dal meridiano all'orizzonte. Con questa logica potrei concludere che tramontare è lo stesso che procedere dal meridiano all' orizzonte! Un'ultima ancora: notai che le parole

Già ogni stella cade che saliva,

quando mi mossi

Inf., VII, 98.

non si riferiscono all'entrata dei poeti nel cammino alto e silvestro, ma alla mossa di Virgilio dal Limbo, dopo le parole di Beatrice :

Or muovi, e con la tua parola ornata....
l'aiuta sí....

Inf., II, 67.

" e poi

L'A. sostiene il contrario, ricordando le parole "allor si mosse, che mosso fue ; ma se Dante subito dopo si mosse anche lui, che ragione avrebbe Virgilio di usare il numero singolare, mentr'erano in due?

L'architettura generale dell'Inferno dà luogo ad altre controversie, alcune affatto oziose, perché, malgrado l' A. mi dia addosso, certe nostre idee han molta somiglianza. Cosí per le traverse dei primi cerchi mi attenni alle misure brevi del Vellutello, e per le ripe del Minotauro e di Gerione segnai profondità considerevoli che il Manetti e il Giambullari non avevan molto ben osservato. Però mentre il Vellutello era stato arbitrario nelle proporzioni, io mi sforzai con calcoli di probabilità di farle scaturire, per quanto era possibile, dal poema stesso.

Coll' A. dissentiamo fortemente sulla grandezza dell' intera voragine: la mia occupa quasi tutto il raggio terrestre, la sua meno d'un decimo vicino al centro: qui mi sarei aspettata una carica formidabile, ma le forze gli si sono affievolite.

Il Galilei aveva creduto che nel verso,

Andiam, chè la via lunga ne sospigne,

Inf., IV, 22

il poeta avesse parlato del solo cammino infernale; l' A. fa finire invece la via lunga dall' Empireo, senza badare al richiamo d'un altro verso,

La via è lunga e il cammino è malvagio,

Inf., XXXIV, 95,

che col primo ha molta relazione. Qui certamente la via lunga è il cammino ascoso nell' emisfero australe; l'altra non potrebbe limitarsi, come pensava il Galilei, all' emisfero opposto?

Dei miei due argomenti sull' immensa profondità, uno che è prova ineluttabile, vien saltato a pie' pari: ai versi

Loco è laggiú da Belzebú remoto

tanto, quanto la tomba si distende,

Inf., XXXIV, 127,

non vien data alcuna interpetrazione che giustifichi l' Inferno piccino; l'altro argomento è combattuto, ma sfuggendo pel rotto della cuffia.

Scrissi che Dante impiegò 8 ore dalla selva al quarto cerchio e 48 dalla selva al centro, onde ne nasce che, proporzionando tempo e spazio, la prima discesa dev'esser circa un sesto dell' intera. L' A. obbietta che il mio orario è sbagliato e l'argomento non merita l' onore della discussione. Sia pure errata la mia cronologia con tutta l'architettura, e siano vere quelle da lui sostenute, è certo però che il principio di proporzionalità è esatto, è la pietra di paragone a cui si possono provare tutti i disegni infernali. Vediamo dunque se resiste alla prova quello dell'avversario.

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