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animi dal panteismo, e ripose la suprema felicità nel conseguimento del Nirvana, che a detta dei migliori indianisti altro non è che il nulla. Il genio indiano si manifestò in un numero sterminato di produzioni letterarie e in que' grandiosi monumenti architettonici che ti opprimono lo spirito colla stessa lor mole. La religione di Zoroastro, divulgatasi nell'Iran, ebbe per base il doppio principio del bene e del male, che poi produsse in occidente dapprima i Manichei e poi un formicolio di sette. Ma la Persia doveva finire in mano degli Arabi e adottare l'islamismo scismatico dei seguaci di Alì.

Insomma i cultori dei Vedas e del Zend-Avesta non rappresentano la parte migliore del genio degli Arii, quella parte che era destinata a fruttificare e riuscire a vera e perfetta civiltà.

Gli Elleni tra le deliziose sinuosità che cingono l'Egeo, si sollevarono ben presto ad una pura contemplazione del bello: l'armonia e la proporzione furono la loro filosofia e la loro vita. Il linguaggio si piegò mirabilmente ad esprimere tutte le sfumature del pensiero e del sentimento: si contemperò l'immaginativa coll' intelletto, e a grandi veri vennero indirizzati dai loro sovrani filosofi, Socrate innanzi a tutti, Platone ed Aristotile.

Ma fra tante speculazioni mancò loro un largo concetto dello stato, o, per dir meglio,non l'ebbero che per poco i Macedoni. La loro influenza intellettuale e morale doveva diffondersi per tutto il mondo, come la loro enciclopedia riversarsi tutta nel sangue delle genti civili; ma il loro dominio non potè mai riuscire cosmopolitico.

Questo fu privilegio dei Romani; e già sullo scorcio della repubblica e ai tempi dell'impero il fatto era pienamente evidente, cosicchè Virgilio non esitò di scrivere quelle parole che riassumono la storia di Roma

Tu regere imperio populos, Romane, memento;
Hae tibi erunt artes; pacisque imponere morem,
Parcere subiectis et debellare superbos. (1)

La giurisprudenza dei Romani, un capolavoro colossale quanto il loro impero, e nella quale si riflette tutta la loro sapienza politica, si estese a tutto il mondo conosciuto, e formò poi la base dei codici di pressochè ogni nazione moderna.

La conquista della Grecia, operata dalle armi romane, trasfuse pienamente la coltura ellenica nella belligera Roma, e come dice Orazio :

Graecia capta ferum victorem cepit, et artes

Intulit agresti Latio. (2)

Allora il genere umano venne diviso in due grandi categorie: barbari e greco-romani.

Fra molti errori e molti vizi, nol neghiamo, virtù eroiche, fortezza di animo invitto, maravigliosa costanza di propositi, conoscenza estesa di grandi verità resero l'impero romano il più acconcio a ricevere il cristianesimo, il quale nella sua più elevata forma gerarchica, lasciato l'oriente e smesso il favellar greco, s'impianta in Roma e s'addomanda romano; per il che di Roma e del suo impero potè dire il

Poeta :

La quale, e il quale (a voler dir lo vero)
Fur stabiliti per lo loco santo,

U' siede il successor del maggior Piero. (3)

Scesero allora i barbari dal settentrione con piglio truce e minaccioso, e sprezzando quegli ultimi imperatori im

(1) Aen. I. VI, v. 851-53.

(2) Ep. L. II. 1.

(3) Inf. C. II.

animi dal panteismo, e ripose la suprema felicità nel conseguimento del Nirvana, che a detta dei migliori indianisti altro non è che il nulla. Il genio indiano si manifestò in un numero sterminato di produzioni letterarie e in que' grandiosi monumenti architettonici che ti opprimono lo spirito colla stessa lor mole. La religione di Zoroastro, divulgatasi nell'Iran, ebbe per base il doppio principio del bene e del male, che poi produsse in occidente dapprima i Manichei e poi un formicolio di sette. Ma la Persia doveva finire in mano degli Arabi e adottare l'islamismo scismatico dei seguaci di Alì.

Insomma i cultori dei Vedas e del Zend-Avesta non rappresentano la parte migliore del genio degli Arii, quella parte che era destinata a fruttificare e riuscire a vera e perfetta civiltà.

Gli Elleni tra le deliziose sinuosità che cingono l'Egeo, si sollevarono ben presto ad una pura contemplazione del bello: l'armonia e la proporzione furono la loro filosofia e la loro vita. Il linguaggio si piegò mirabilmente ad esprimere tutte le sfumature del pensiero e del sentimento: si contemperò l'immaginativa coll' intelletto, e a grandi veri vennero indirizzati dai loro sovrani filosofi, Socrate innanzi a tutti, Platone ed Aristotile.

Ma fra tante speculazioni mancò loro un largo concetto dello stato, o, per dir meglio,non l'ebbero che per poco i Macedoni. La loro influenza intellettuale e morale doveva diffondersi per tutto il mondo, come la loro enciclopedia riversarsi tutta nel sangue delle genti civili; ma il loro dominio non potè mai riuscire cosmopolitico.

Questo fu privilegio dei Romani; e già sullo scorcio della repubblica e ai tempi dell'impero il fatto era pienamente evidente, cosicchè Virgilio non esitò di scrivere quelle parole che riassumono la storia di Roma

Tu regere imperio populos, Romane, memento;
Hae tibi erunt artes; pacisque imponere morem,
Parcere subiectis et debellare superbos. (1)

La giurisprudenza dei Romani, un capolavoro colossale quanto il loro impero, e nella quale si riflette tutta la loro sapienza politica, si estese a tutto il mondo conosciuto, e formò poi la base dei codici di pressochè ogni nazione moderna.

La conquista della Grecia, operata dalle armi romane, trasfuse pienamente la coltura ellenica nella belligera Roma, e come dice Orazio :

Graecia capta ferum victorem cepit, et artes
Intulit agresti Latio. (2)

Allora il genere umano venne diviso in due grandi categorie: barbari e greco-romani.

Fra molti errori e molti vizi, nol neghiamo, virtù eroiche, fortezza di animo invitto, maravigliosa costanza di propositi, conoscenza estesa di grandi verità resero l'impero romano il più acconcio a ricevere il cristianesimo, il quale nella sua più elevata forma gerarchica, lasciato l'oriente e smesso il favellar greco, s'impianta in Roma e s'addomanda romano; per il che di Roma e del suo impero potè dire il Poeta :

La quale, e il quale (a voler dir lo vero)
Fur stabiliti per lo loco santo,

U' siede il successor del maggior Piero. (3)

Scesero allora i barbari dal settentrione con piglio truce e minaccioso, e sprezzando quegli ultimi imperatori im

(1) Aen. I. VI, v. 851-53.

(2) Ep. L. II. 1.

(3) Inf. C. II.

belli, si assisero sul loro soglio. Ma perchè Alarico non osa toccare i vasi del santuario, perchè Ataulfo riconosce il primato intellettuale del popolo vinto e ricusa di assumere il titolo di imperatore, perchè Teodorico si circonda di dotti romani, perchè Clodoveo si fa cristiano a Rheims con tutti i suoi, perchè i Longobardi si vanno italianizzando ogni giorno più, perchè Carlo Martello combatte gl' infedeli, perchè i Normanni si fondono pienamente con i popoli vinti adottandone perfino la favella? Perchè c'è qualche cosa nella schiatta germanica che è destinata a crescere e prosperare; perchè gl'istinti feroci sono alla superficie, ma in fondo in fondo c'è il sentimento del diritto naturale che al contatto del cristianesimo e della civiltà romana si desta e rinfranca; perchè in loro è radicato il giusto concetto di famiglia, il rispetto alla donna colla perenne tutela e colla frequente monogamia, nè manca loro un senso di mitezza verso lo schiavo e di venerazione alle cose sacre.

Il cristianesimo mansuefece i Germani, chi potrebbe negarlo? Ma pure in essi anche in mezzo alla loro antica ferocia, stando a quanto ce ne hanno lasciato scritto Cesare e Tacito, io vi scorgo qualche cosa di nobile e di elevato. Quel sentimento della indipendenza individuale, ignoto alla civiltà classica, quella fiducia baldanzosa nella propria forza, quell'avventurarsi ad ogni sorta di rischio, quel patronato militare, legame che stringeva tra loro i guerrieri senza attentare alla libertà di alcuno, mi rivelano un'idea grandiosa della dignità umana, idea che essi portarono in tributo alla nuova civiltà nella quale si rinnovarono e ingentilirono.

Agli Unni si presenta Papa Leone, e questi fuggono spaventati, e, ritornati alle steppe natie, il loro impero si scompagina col cadere di Attila vero barbaro e schietta immagine della gente turanica. Un altro Leone in quella vece

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