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purificazione e segregazione nello strato superiore della poesia avvenne nel bel tempo giovenile della lirica di Dante quasi di per sè, come se sotto il dolce tepore che amore spirava dall'alto si sciogliesse la crosta del fango e del gelo, plebea e scolastica, dell'invernal medio evo, e i fiori della primavera italica liberassero il capo nell'aria.

Nella risposta a Bonagiunta finalmente il poeta, che altrove, ove accenna al sistema poetico suo e de' coetanei, o degli antecessori, è soltanto gramatico e retore, si sente e riconosce e confessa poeta: anzi tutto è amore che spira, e le penne de' nuovi poeti vanno sotto il gran dettatore strette e ratte. Il che vuol dire che Dante apprese la formola intellettiva dell' amore cavalleresco con la passione di un'anima profondamente tenera, con l'entusiasmo d'una gioventù eroica che crede a quel che pensa e dice, con la passione d'un ingegno originale e armonico che aborrendo dalle consuetudini e dai consuetudinari, dalle consorterie e dai consorti di stile e d'academia, prosegue la tradizione e l'ideale con libera e intelligente adorazione: Così d'una poesia convenzionale, che non aveva d'ideale se non le formole, egli fece una poesia stupendamente imaginosa e patetica e profonda e solenne, sostituendo al sentimento cavalleresco il sentimento mistico, alla gaia scienza la dottrina scolastica. Da prima il sentimento, la dottrina prevalse di poi; ma il motivo e il movimento è uno. Nella Vita nuova alla gran canzone del rinnovamento, della visione e trepidazion religiosa, séguita subito un sonetto che tratta della essenza di amore in potenza e in atto: il misticismo si accoppia già alla scolastica: è utile notar ciò fin da principio.

1 V. N. XX.

IV.

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Nei quattro sonetti precedenti senza mezzo alla canzone Donne che avete..., e che « furono, attesta il poeta, quasi narratorii di tutto il mio stato 1», aveva egli rappresentate le procelle non solo degli affetti suoi ma de' sensi. È un amore che tiene assai del franco cavaliere quello che, quando lo trova presso alla donna amata,

Prende baldanza e tanta sicurtate,

Che fiere tra' miei spirti paurosi

E quale ancide e qual caccia di fòra
Sì ch’ei solo rimane a veder vui. 2

Ma dopo ciò parve al poeta avere di sè assai manifestato, e si propose quind' innanzi tacere di dire a lei e ripigliare materia NUOVA e più nobile che la passata. 3 Cominciò dunque a sembrargli irriverente e forse triviale il rivolgersi direttamente all'amata donna e narrarle il turbamento che la vista di lei cagionava nel suo petto giovanile. Ond'è che, avvenendosi poi a conversare con alcune gentili donne che sapevano bene il suo cuore e già erano state presenti a molte sue sconfitte, e domandato ove stesse, poichè piacque a Beatrice negargli il saluto, la beatitudine sua, egli disse cotanto « In quelle parole che lodano la donna mia ». Di che non si mostrarono contente le accorte donne, parendo loro che quelle parole de’sonetti ove Dante avea notificato la sua condizione avesse egli operate con altro intendimento. Allora il poeta quasi si vergognò; e propostosi di prendere per materia del suo „parlare sempre mai quello che fosse loda di questa gentilissima, pareagli avere impresa troppo alta materia, sic

1 V. N. XVII. 2 Ivi XIV. 3 Ivi XVIII.

chè non ardia di cominciare, e così dimorò alquanti dì con desiderio di dire e con paura di cominciare 1. Bella esitanza di poeta su'l punto di aggiungere l'idea da lungo tempo vagheggiata! Ma avvenne poi che, passando per un cammino lungo il quale correva un rio molto chiaro d'onde, la sua lingua parlò quasi come per sè stessa mossa, e disse: Donne ch'avete intelletto d'amore 2.

Ora da questa canzone alle ultime rime che ricordin Beatrice la poesia di Dante si transumana. Non più desiderii, non più querele, non più gioie straordinarie : ma continua e beata contemplazione della bellezza in ciò ch'ell'ha di più sovrasensibile, in quanto si manifesta operatrice di bene non pur su l'anima del poeta ma in tutto che l'appressa. Ugo da San Vittore avea detto: Le bellezze visibili sono come fronde che il vento porta via, ma che gettano ombra e freschezza, e attestano così la provvidenza 3. Ma Dante adora non le bellezze, sì la bellezza. La parte materiata, quella che il vento porta via, ei non vi attende: gran che se della sua donna ricorda il color di perla 4, proprietà angelicata, e gli occhi, de' quali non ci fa mai sapere se neri sieno o cilestri, se languidi o ardenti, ma che in essi ella porta amore 5. Direste ch' ei ne contempli l'idea pura ed astratta (« Per esemplo di lei beltà si prova » 6), se di quando in quando non accennasse al passar ella fra le genti. Allora il poeta si prostra e non osa alzar gli occhi; ma avverte la santa presenza al sentimento di carità e d'umiltà che spandesi intorno, al fremito d'adorazione che la séguita: i cor villani s'agghiacciano7, i gentili sospirano 3, ira e superbia di parti cado

1 V. N. XVIII. 2 Ivi XIX.

3 Appr. OZANAM, Le Purgatoire de Dante (Paris,

Lecoffre, 1862) p. 560. 4 V. N. XIX. 5 Ivi XXI. 6 Ivi XIX. 7 Ivi l. c. 8 Ivi XXVI.

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no 1, e chi sofferisce di starla a vedere diventa nobil cosa o si muore 2. E questo del rappresentare la bellezza come principio di benevolenza e di pace tra i feroci odi che insanguinavano i comuni italiani sarebbe pure un nuovo aspetto e un fine civile che Dante avrebbe dato alla lirica d'amore. Ma egli mira più in là: qui come altrove Dante è il poeta cattolico nel grande intendimento del medio evo, più che cittadino si sente uomo. Meglio che testimone della provvidenza, come appariva a Ugo da San Vittore, la bellezza è a lui argomento visibile dei miracoli e dei misteri della fede, è aiutatrice della provvidenza e sua ministra alla salute degli uomini. Quando Beatrice muore, risorge, è vero, in Dante il sentimento individuale; ma per poco; ed ei ben presto torna a compiangerne la perdita come pubblico danno e della città e del genere umano.

E quanta non è poi l'armonia tra l'idea e la forma in quelle canzoni che hanno solenne l'intonazione di ogni stanza sì come i salmi, in quei sonetti che tendono all'alto che volano via come l'angiolo dipinto da Giotto nella cattedrale d'Assisi! É tal forma cotesta delle rime di Dante nel secondo periodo che male saprei definire; direi quasi che forma non vi sia, tanto è generalmente leggiera, volatile, aerea: non che lo sforzo, ma il più delle volte non v'è pur lo studio dell' artista che avverte all'opera sua. V'è dell'afflato divino: « la mia lingua parlò quasi come per sè stessa mossa » ha detto il poeta. La lirica di Dante, nel suo proprio fior giovinile, è come la donna sua :

Quel ch'ella par, quando un poco sorride,

Non si può dicer nè tenere a mente,

Si è nuovo miracolo gentile 3.

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E par che sia una cosa venuta
Di cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi si piacente a chi la mira,

Che dà per gli occhi una dolcezza al core
Che intender non la può chi non la prova.
E par che della sua labbia si mova

Un spirito soave pien d'amore,

Che va dicendo all'anima: sospira!1

Le rime del secondo periodo, e specialmente i sonetti, sono veramente bellissime: ma, tutte contemplative e quasi direi estatiche, non possono esse farcene dimenticare alcune altre ove, sebbene soavemente colorato e risonato, vive il contrasto, ove la querela elegiaca vapora in una fantastica mitologia di personificazioni delle facoltà dello spirito, che sollevasi s'intreccia e dilegua, come gruppo di nuvole bianche a cui l'occhio di un innamorato tien dietro mentre l'animo sogna. La canzone che incomincia E' m' incresce... 2, che certo fu fatta per Beatrice e innanzi la morte di lei, è di coteste. Essa canta il cominciamento dolce dell'amore e il fine amaro. Gli occhi della pura fanciulla

Ohi me quanto pïani,

Soavi e dolci vêr me si levaro,
Quand'egli incominciaro

La morte mia ch'or tanto mi dispiace
Dicendo: 11 nostro lume porta pace.
Noi darem pace al core, a voi diletto
Diceano agli occhi miei

Quei della bella donna alcuna volta.

Queste le promesse tacite, o imaginate dal sentimento giovenile che si abbandona al piacere: ma, quando la passione montò, gli occhi soavi

1 V. N. XXVII. 2 Canz. III.

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