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Arnolfs. Jeste Archiepiscoporum Mediolanensis
Landolfo : Victoria Mediolanensis

DELLA LETTERATURA NAZIONALE.

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l'ideal della forma tutta la materia soggetta del medio
evo; questa storia, dico, è la storia della letteratura
italiana. Da Arnaldo al Savonarola, da Francesco d'As-
sisi a Filippo Neri, da'due Landolfi e da Falcando al
Machiavelli e al Guicciardini, dalla traduzione della
Tavola rotonda e dal Febusso e Breusso all'Ariosto, da
Dante o meglio da Giacomino di Verona al Tasso, dal
Novellino al Bandello e al Giraldi, da Folgore di San
Gemignano al Berni, da Albertano al Castiglione, da
Lorenzo vernense e da Arrigo settimellese al Fracastoro lle ter
al Vida al Flaminio, da Nicolò pisano e da Cimabue al
Michelangelo e a Tiziano, è perennità è continuità è
processo e progresso di svolgimento e di moto.

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DISCORSO SECONDO

Dei quattro periodi di contrasto e di formazione: periodo latino, lombardo, siculo, bolognese. Quando, come, fra quali circostanze e su quali soggetti, cominci l'opera della letteratura nazionale.

I.

Quando contro la potenza di Federigo secondo, che dal mezzogiorno riallargavasi ingrossando verso il settentrione solo a tempo abbandonato dal padre suo, si stringeva la seconda lega delle città lombarde, Tirteo della libera gesta fu Pier della Caravana piemontese. Egli cantava: « Ecco il nostro imperadore che raccoglie gran gente. Lombardi, guardatevi bene, che non siate ridotti peggio che schiavi comprati, se non durate fermi.... Sovvengavi dei valenti baroni di Puglia, i quali nelle loro case non hanno oramai che dolore: guardate non avvenga altrettanto di voi. Non vogliate amare la gente di Lamagna, non vi piaccia usare la sua compagnia : lungi, lungi da voi questi cani arrabbiati. Dio salvi Lombardia, Bologna e Milano e loro consorti, e Brescia e 'l mantovano, e i buoni marchigiani, sì che niuno di loro sia servo. » Così il nobile Piemonte dava all'Italia il primo poeta di libertà. Ma

egli poetava in provenzale : oh perchè non suonò nella lingua della patria la fierezza di quei sensi, l'ardenza di quei versi, e il martellar feroce del ritornello finale,

Lombart, be us gardatz

Chè ia non siatz

Peier que compratz

Si ferm non estatz!

E già prima, circa il 1195, quando Lombardia erasi anche levata contro Arrigo sesto, all'espressione dell'odio popolare contro il tedesco avea dato violenti forme, in provenzale, Pier Vidal. All'incontro, la vittoria parmense del 1248 che dette il colpo mortale a Federigo secondo, quando il plebeo Gambacorta predò la corona imperiale mostruosa di ricchezza e di peso, fu cantata in latino: in latino l'epinicio guelfo annunziava alle città confederate, di Milano, di Bologna, di Venezia, d'Ancona, che

surrexit Dominus nostræ libertati, Iam suæ apparuit Parmæ civitati.

Ora questo fatto delle battaglie nazionali d'un popolo nuovo cantate in lingua straniera o antica a troppi altri consimili fatti succede, sì che non se ne vogliano sottilmente ricercare e discorrere le ragioni. Con che ci verrà fatto di rinvenire il perchè s'indugiasse di tanto il volgare italiano a manifestarsi nell'opera letteraria, e di segnare i termini de' periodi che a quella manifestazione furono innanzi e le ragioni varie dei fenomeni che vi si svolser per entro.

II.

Della vitalità fra noi del latino dobbiamo certo in gran parte riferir la cagione al principio religioso, il quale rappresentando allora una specie di gerarchica civiltà avea consacrato l'idioma dell'antico impero come lingua cattolica sì della Chiesa che della scienza d'occidente. E ciò potè più efficacemente volere e più largamente conseguire in Italia, dove la Chiesa era in questo suo intendimento aiutata dallo stesso principio popolare. Il quale e nella scuola conservava la tradizione classica, e con le leggi e con le forme del reggimento mirava tuttavia a Roma; la cui grande imagine stiè sempre dinanzi agli occhi degl'italiani, gli confortò schiavi, gl'inanimò ribelli, liberi gl'illustrò della sua gloria radiante di fra le ruine, come la fiammella della lampade mortuaria la quale raccontasi si serbasse viva a traverso i secoli nella tomba della fanciulla romana figliuola del grande oratore. Anche per gli altri popoli d'occidente era il latino la lingua officiale della chiesa e della scuola, dell'impero e delle leggi ma fuor di chiesa e del chiostro, al di qua dei cancelli della corte di giustizia, essi sbrigliavano il volo delle fantasie e l'impeto degli affetti nei volgari nuovi. Per gl'italiani il latino era la lingua dei padri loro, con la quale avevano imperato al mondo; la intendevano e la parlavano più comunemente; la reputavano sola degna a cui commettere i pensamenti de' savi, le gesta delle città, il lavorio dell'arte; speravano per avventura di restituirle l'antico uso di dignità. Per ciò, mentre gli altri popoli cominciarono ben presto a intessere il racconto epico

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nostri l'una cosa e l'altra fecero latinamente. Ebbero p
anch'essi le loro leggende su le barbariche signorie su le
dinastie che li opprimevano; ma gli avanzi informi

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d'ana leggenda italica primitiva di Valterio d'Aquita-Waller W
nia e di Carlo Magno e Adelchi giacciono trasfigurati
nella cronaca del monastero della Novalesa. Tentarono
di raccogliere le fila dei miti antichi ondeggianti ancora
per l'aere di primavera nei crepuscoli tinti in rosa dagli
ultimi raggi del sole su le vette favolose dei colli etru-
schi e latini; ma dei canti misteriosi, che le niufe o le
fate lasciavan sentire dagli spechi di Fiesole di Chiusi
di Volterra, un'eco a pena è ripercossa nel Ninfale fie-
solano e nell'Ameto del Boccaccio e nel Novelliere di
Domenico da Prato. Di quel che le donne fiorentine
nelle veglie severe favoleggiavano de'troiani, di Fiesole
e di Roma, una traccia rimane, leggiera e interrotta,
nelle cronache del Malispini e del Villani; si leggono
nelle cronache del Cobelli le vicende dei discendenti
da'fondatori romani di Forlì mescolate alle gesta dei
signori nuovi goti e longobardi: ma il Malispini atte-
sta di aver còlto il leggiadro racconto da certe antiche
scritture ch' ei vide in casa d'un gentiluomo vecchio
romano, e il Cobelli da altri libri pur latini d'un cro-
nicatore antico di Ravenna; Roma e Ravenna, le due
città classiche ed imperiali. E da cronache latine anti-`
che delle due città romane d'Aquileia e Concordia pro-
venne il poema di Attila e de' suoi italici antagonisti
Giano e Foresto, romanzato poi nel secolo decimoquarto
in versi francesi dal bolognese Nicolò Casola e nel
secolo decimoquinto in prosa popolare veneziana e nel
decimosesto in elegante prosa italiana da Gian Maria
Barbieri e da altri in ottave: documento non unico di

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