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commesso il suo verbo a due potenti milizie; e queste si erano sparse fra le genti rinnovando su 'l mondo il suggello della fede. Intorno al capo di san Francesco, frate innamorato di tutte le creature, socialista cristiano, volano le colombe, e i lupi gli lambiscon la mano; e il popolo gl'intesse una ghirlanda lucida e serena che si riflette su l'arte della parola e del disegno. Intorno al capo di san Domenico rugghiano le fiamme dei roghi e sibila come fionda di piombo il sillogismo del definitore teologo: egli brandisce una facella, che vorrebbe esser di luce, ma che vapora d'inferno per la via dei secoli. E due famiglie, due eserciti, seguitano quei padri e quei duci. In mezzo all'una procede contemplando e inneggiando il serafico autore dell'Itinerario della mente verso Dio, in mezzo all'altra, tutto chiuso e concludendo in forma, l' Angelo delle scuole. Gli uni si rivolgono al sentimento col misticismo, gli altri all'intelletto con la scolastica. Letterati e artisti, gli uni fanno miglior prova nella leggenda nella lirica nell'architettura, gli altri nel trattato e nella pittura. Ribelli all' autorità, gli uni si chiameranno fraticelli della povera vita, specie di quaqueri, e daranno, vittima ignota, un fra' Michele; gli altri produrranno fra' Girolamo Savonarola e i piagnoni, tendenti a una democrazia monastica. Per intanto due forme d'arte mistica rifioriscono intorno a loro, la visione e la meditazione. E in cima alla Somma di Tommaso d'Aquino la teologia s'abbraccia con la scienza; e in cima alla ontologia di Bonaventura la fede s'abbraccia con l'arte; e tutte quattro paion d'alto irraggiare le belle cattedrali sorgenti nell'Italia di mezzo e i timidi colori dell'arte che aspetta Giotto. Dante sta ritto in piedi fra i colonnati solenni e leggiadri, e guarda, rapito in contemplazione.

DISCORSO TERZO

Del periodo toscano: affermarsi della letteratura nazionale: Firenze e il gran triumvirato.

I.

Diamo ora uno sguardo a tutto insieme il fluire maestoso di questo fiume divino, come avrebbe detto Omero, della letteratura italiana nel secolo decimoterzo e nel decimoquarto. Incominciata dalla poesia individuale, seguitò, come letteratura di popolo libero, segnando la superbia del nome latino rivendicato e i fasti della nuova libertà nelle cronache, descrivendo le tradizioni e i costumi nelle leggende e novelle; abbracciò, come ne' suoi principii ogni letteratura non primitiva, tutta la scienza e del passato e del presente nelle enciclopedie; attestò nei volgarizzamenti la conservazione dell'arte e della scienza antica. Altrove si scherzò con versi leggeri, ma nell'Italia centrale e fra la cittadinanza fiorentina nacque la prosa del trecento, gentile ed elevata, forte ed elegante, come poi l'architettura. di Santo Spirito; qui prese moto e colore quella poesia che nelle luminose visioni della Vita nuova sembra tendere al cielo come i due angeli dipinti da Giotto nella

cattedrale d'Assisi, o che sorge come Santa Maria del Fiore gigantesca e solitaria nella Divina Commedia. Sublime spettacolo, il popolo italiano, raffermo e assodato, porre il fondamento e dare proprissime alla sua civiltà la forza e l'azione, le figure e le sembianze, con un acconcio temperamento dell' antico e del nuovo, del cristiano e dell'etnico, del latino e del medievale, tanto ne' reggimenti e negl'instituti, quanto nella scienza e nell'arte; certo per quella facoltà di sapiente eclettismo e di artistica assimilazione che fu della gente nostra, degli elleni e latini. Ma il popolo d'Italia, più simiglievole in ciò a' greci che non a' romani, questi mezzi di ravvicinamento gli ebbe in sè stesso; come quello che si aveva connaturato, pur riadattandolo estrinsecamente a sè, il cristianesimo, e che ne' forzati mescolamenti delle genti settentrionali qualche cosa aveva attinto di loro. E come il popolo d'Italia, a quella guisa che i romani con le armi e i greci con le colonie e le dinastie, si stese con i commerci per tutto il levante e a settentrione; così le lettere ed arti sue, a guisa di chi sentesi ricco di dottrina ed esperienza propria e pur gli giova guardare all'altrui e profittarne, attinse largamente non che dal francese e dal germanico, ma e dal bizantino e dall' orientale. E come la nuova plebe latina aveva col lavoro di secoli contemperato a sè artisticamente il cristianesimo anzi che essersi lasciata ritemperare da quello; e come ella più presto che non distrusse, assorbì in sè molta parte di feudalismo e d'aristocrazia, facendo cittadini e artigiani i suoi an- • tichi signori; e come ella lasciò poi sorgere di sè il popolo grasso e la nobiltà popolana, non restando ella veramente in soggezione de' nuovi ordini, ma piuttosto partecipando con quelli il reggimento; così la primitiva

letteratura italiana, incominciata dal popolo e promossa e aiutata dal sentimento religioso e dal principio ecclesiastico, prese poi della feudale ed ecclesiastica quello che le conveniva, rinnovandola per altro a maggior durata col temperarne l'essenza e le forme; quindi lasciò sviluppare di sè una letteratura più dotta, alla quale seguitò ella a porger del suo, perchè riuscisse più che altro una sua necessaria prosecuzione e un perfezionamento.

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Adunque, ricollegare pazientemente l'antico col nuovo, la imitazione allargare, accomodare la scienza a tale arte che pur rimanesse popolana, e sopra tutto guardar sempre al popolo e alla nazione; furono i caratteri della prima letteratura d'Italia. Quindi volgarizzamenti di scrittori greci e latini, sacri e profani; vite di santi e leggende bizantine e orientali, e trattati e poemi di origine provenzale ed arabica; quindi il re Artù e Tristano e Isotta la bionda per una parte, e Alessandro ferro cido mitoe Cesare e Catilina per un'altra; e novelle che la malogico brinus of teria pigliano da ogni paese; e nella poesia la canzon filosofica accanto al sirventese politico e alla gaia bal- üles. il frank lata, e le ire di municipio con la carità di cristiano, e l'erudizione classica col genio paesano d'Italia e con gli spiriti cavallereschi di Provenza; e l'elegia che fiorisce d'onde spunta la satira, e l'entusiasmo lirico col sillogismo delle scuole; e negli spazi della visione popolati di mille fantasie le arduità matematiche: il che tutto raccoglie in sè, rappresentatore supremo di questa universalità della prima arte italiana, Orfeo, Omero ed Esiodo a un tempo, Dante Alighieri. E in questa varietà è tuttavia da notare la potenza, che quei nostri vecchi ebbero mirabile, di dare l'aria del paese e l'atteggiamento di famiglia così alle erudizioni diverse e

alle difficili astrazioni della scienza come alle fantasie che pigliavano di lontano. I romanzatori de' Reali di Francia attinsero certo d'oltre monte la materia e parte anche delle forme; ma quei romanzi divennero accettissimi alla nazione, e tuttora rimangono lettura tradizionale di questo popolo, che dei moderni imitatori di Francia e di Germania non sa pure il nome. Ritraggono dall' oriente le leggende cristiane; ma sono ad un'ora di quelle cose dove più cara fiorisce la favella toscana e dove il sentimento popolano fiammeggia più limpido. Il Cavalcanti poeteggia sottili filosofemi nelle gravi stanze della canzone; ma le sue ballate furono certo intese e cantate dalle donne e dagli amanti. E non erano elleno popolari le fantasie della Divina Commedia? e anche l'allegoria che la domina non era il popolo d'allora avvezzo a comtemplarla e meditarla nelle leggende nelle pitture e fin negli ornamenti architettonici delle chiese? in fine, non era egli tutto avvivato dalle ricordanze del popolo italiano il poema dell'aristocratico fiorentino? Onde il popolo e lo cantò, come poi udì cantare nelle piazze versi del Petrarca, e volle che glie ne fosse dichiarata nelle chiese ai dì di festa la parte scientifica. E dal popolo desunse il Boccaccio non poco della materia al suo Decameron, e delle forme le più belle e durature. Allora Dante il Petrarca il Boccaccio, ingegni sovrani, parlavano al popolo d'alte cose e di leggiadre con alti ed ornati sensi e parole; e n'erano compresi ed ammirati. Oggi ingegni mezzanissimi fanno prova d'imitare il popolo; e le sono smorfie; e il popolo non bada a loro. Degnamente. Il popolo vuolsi rialzare; non rimpiccolir noi nè bamboleggiare senilmente, per mantenerlo sempre in condizion di mi

nore.

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