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Premettiamo innanzi tutto che malamente si avvisò il confessore Tizio nell'imporre una penitenza a vita. Ecco come insegna il chiaro Mons. Giovine (De Disp. Matr. Vol. II § CVIII, n. 3): Talis autem poenitentia (gravis) imponenda est ad tempus; minime vero in perpetuum: quia attestante M. P. Leo, Maior Poenitentiarius quando intendit poenitentias a se impositas perpetuari, id expressis verbis declarat, prout videre est in formulis commutationis votorum. Huc accedit quod licet in ea clausula non reperitur id determinatum, tamen bene intelligitur ex communi Ecclesiae usu, cum huiusmodi poenitentiae ad tempus, arbitrio Confessoris vel Superioris praescribendum imponatur. Et eo vel magis, quia in rebus poenalibus benignior interpretatio est facienda in dubio, iuxta Cap. Odia 15, de Reg. Juris in 6-.

Checchè intanto sia di ciò, avendo Tizio imposta quella perpetua penitenza, ed avendola Onofrio accettata, incombe a questo l'obbligo di adempirla. Or vediamo se, imposta per mandato della S. Sede una grave penitenza e data già l'assoluzione, bramando in progresso di tempo il penitente una commutazione di quella penitenza, debba rivolgersi al confessore ovvero alla Santa Sede.

I TT. ed i Canonisti, per quanto sappiamo, tacciono di questa speciale quistione. A noi sembra potersi risolvere coi medesimi principii onde si risolve il dubbio se per la commutazione della penitenza dei riservati ci sia bisogno di ricorrere al superiore, ovvero basti rivolgersi a qualsivoglia confessore. Imperocchè sì nella dispensa pontificia, e sì nell'assoluzione dai riservati l'atto è valido solo colla imposizione e coll'accettazione della penitenza. Nell'uno e nell'altro caso rimane l'obbligo di adempire la penitenza medesima, il quale obbligo se non si adempie, non rende nullo l'atto già compiuto; e solo quando ci sia stata la clausola secus sub reincidentia, si ricadrebbe nel medesimo vincolo di prima.

S. Alfonso (L. VI, n. 529 Dub. 2), esaminando il dubbio, an confessarius inferior possit commutare pocnitentiam a superiore, impositam ob casus reservatos ", reca due sentenze. La prima più comune è negativa, per la ragione che l'accessorio segue il principale: or siccome è riservato al superiore il giudizio nella causa principale, cioè nell'assoluzione dai riservati, così riman riservata la imposizione della penitenza che appartiene al medesimo giudizio. La seconda sentenza seguita anch'essa da gravi TT. è affermativa; ed eccone la ragione. Essendo state già cancellate le colpe per l'assoluzione del superiore, quelle non più debbono considerarsi riservate, ma diventano comuni; e però può essere chiamato qualunque confessore a recar giudizio su di esse. Benchè questa sentenza sia detta probabile da non pochi TT., a S. Alfonso però, com'egli dice, arride più la prima: His tamen non obstantibus, prima sententia mihi arridet; nam licet inferior hic et nunc possit novum formare iudicium super illa peccata, si rursus ei deferantur, tamen nullam ipse habet facultatem mutandi sententiam superioris in iudicio prius ab eo lato; principium enim certum est quod inferior nihil potest in lege superioris ". E soggiunge: - Probabile autem puto... quod si gravis accederet causa et non esset facilis accessus ad superiorem ; quia tunc inferior licite posset poenitentiam commutare ex praesumpta superioris conniventia. Il Ballerini aggiunge (Op. Th. Mor. Tr. X n. 532) che tal volontà del superiore si può anche presumere quando causa della mutazione fosse solo la fragilità e la infermità del penitente, benchè facilmente si possa ricorrere al superiore: Ratio est, dice, quia bene sentiendum est de prudentia superioris: hic autem si comperisset poenitentis imbecillitatem, id ipse fecisset et idcirco non renuit, ut (quod rei natura postulat) ab alio fiat, etiam se non consulto ».

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Questa teorica crediamo che possa bene applicarsi

al caso di una penitenza imposta specificatamente dalla S. Sede, per qualche dispensa nel foro interno. Un confessore semplice, secondo la teorica di S. Alfonso, non può mutarla, se non quando possa presumere la volontà della S. Sede.

Ma quando la S. Penitenzieria abbia ingiunto al delegato d'imporre semplicemente una grave penitenza, senza nulla specificare, in tal caso crediamo il delegato possa benissimo, dopo la esecuzione, cambiare la penitenza imposta da lui, giacchè il giudizio della commutazione si riferisce al giudizio della dispensa a lui delegato; e però con quella facoltà onde impose la penitenza, colla medesima la modera e la muta. Nè vale il dire ch'egli, avendo eseguito il mandato, non deve considerarsi più come delegato della S. Sede; imperocchè ciò corre per la dispensa che è già compiuta, non per la penitenza che non è ancora soddisfatta. Su di questa perdurando ancora il suo giudizio, perdurano ancora le facoltà delegate.

Questo diritto è però solo del delegato, il quale può avvalersene solo in actu confessionis; non è di nessun altro fuori di lui, tranne che nei casi contemplati più sopra, in cui possa presumersi il consenso del delegante.

Nel caso proposto adunque, Tizio può benissimo commutare la penitenza imposta da lui stesso ad Onofrio; anzi deve; giacchè, come abbiamo visto, era quella una penitenza eccessiva e inopportuna. Eccessiva perchè a vita: inopportuna perchè trattavasi di messe imposte ad un prete povero.

Queste cose noi scrivemmo già nel nostro Monitore quando la prima volta risolvemmo la quistione. Se non che avendo meglio esaminato il caso, ci sembra più sicura la sentenza opposta, essendo perentoria la prescrizione del diritto in c. In litteris, 9, de off. et potest der leg. Ex quod iudex delegatus per se vel per alium

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sententiam executioni mandavit, vel mandari praecepit, eius auctoritas et iurisdictio cessat; quia semel est suo officio functus. Fulminata perciò l'assoluzione dal delegato e ingiunta la penitenza, cessa ogni sua giurisdizione; onde per moderare o ridurre la penitenza, fa d'uopo ricorrere al delegante. Solo se il delegato nello imporre la penitenza si fosse riservato il diritto di variare su di essa nel tratto successivo, solo in questo caso crederemmo che validamente possa ridurla o mo. derarla.

61.

Circa la competenza del Vescovo nelle composizioni sopra illeciti acquisti di beni ecclesiastici.

Tizio comprò un fondo ecclesiastico dal Demanio per L. 35 mila, che però al presente vale meno di 30 mila: può chiedere la composizione al Vescovo; ovvero deve ricorrere alla S. Sede?

La S. Penitenzieria concede ai Vescovi di ammettere alla composizione coloro che comprarono beni di chiese, quoties gubernio aut aliis venditoribus solverunt aut solvere debent non ultra triginta libellarum millia. La quantità dunque della somma pagata o da pagare determina la competenza del Vescovo, non già il valore attuale del fondo. Essendosi perciò, nel caso, pagato L. 35 mila, fa d'uopo ricorrere alla S. Sede.

Marcello ereditò dal padre un fondo ecclesiastico comprato dal Demanio per L. 40 mila; ma al punto della successione il fondo era gravato di un debito per lire 20 mila. Marcello vuol comporsi colla Chiesa: può metterci mano il Vescovo?

La risposta è come al quesito precedente. Il fondo fu pagato L. 40 mila: dunque la composizione non è

di competenza del Vescovo. È vero che sul fondo vi sono delle ipoteche; ma questi gravami furono imposti indebitamente dal padre di Marcello, e sul figlio ricade l'obbligo del padre.

Un fondo ecclesiastico, pagato L. 100 mila da Porzio al Demanio, vien diviso a cinque figli in parti eguali. Questi vogliono comporsi colla Chiesa: possono ricorrere al Vescovo?

Vuolsi distinguere: Se i detti figli ricorrono ciascuno per la sua quota pagata L. 20 mila, possono benissimo rivolgersi al Vescovo. Se ricorrono per l'intero fondo, prima della divisione, devono rivolgersi alla S. Sede. La ragione è manifesta, per ciò che si è detto innanzi.

62.

I sacerdoli costretti alla milizia, circa

la messa, l'abito, e l'officio.

I sacerdoti, costretti alla milizia, possono celebrare la S. Messa? Possono portare l'abito militare? Sono dispensati dall'officio divino?

I sacerdoti costretti alla milizia, colla venia del Vescovo locale, possono celebrare la S. Messa, non essendoci nessun divieto dal diritto. Possono ancora portare la divisa militare, perchè costretti dalle leggi: tranne però quando debbono celebrare il S. Sacrifizio, nel quale caso vestiranno l'abito talare. Quanto poi all'obbligo di recitare l'officio, non ve n'è dal diritto dispensa speciale: debbono perciò recitarlo nelle ore libere. Quando ciò non possano fare per qualche grave e giusta ragione, potranno regolarsi col proprio confessore, secondo le norme generali assegnate da' TT.

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