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63.

Di un pubblico usuraio in punto di morte.

Viene a morte Matteo, pubblico usuraio, che ha dato il danaro al 15 al 20 al 50 ed anche al cento per 100. Chiamato Tizio a confessarlo, non vorrebbe andarvi, temendo d'imporgli una restituzione che il moribondo forse non accetterebbe, nè i parenti vorrebbero eseguire, ed anzi questi sarebbero disposti a malmenare il confessore, ed a provocare scandali. Se ne consiglia col teologo. Francesco, il quale lo esorta a smettere il timore, ricordandogli la teorica insegnata da' DD. che quando il penitente sta in buona fede, e l'ammonizione non è per giovare, non v'ha obbligo nè d'interrogare, nè di ammonire. Tizio, confortato da questi suggerimenti, va dall'infermo, e senza interrogarlo sulle usure, trovatolo disposto per tutt'altro, lo assolve. Che dire del suggerimento di Francesco? Che della condotta di Tizio ?

In quanto al suggerimento di Francesco, osserviamo che veramente i TT. insegnano potersi omettere l'interrogazione e l'ammonizione, quando: 1o il penitente sta in buona fede; 2° non vi ha speranza di emenda o vi ha timore di scandali; 3.o non ne ridondi danno contro il bene comune (Ligor. L. VI n. 614 e 615). Applichiamo questa dottrina al nostro caso.

Si può supporre la buona fede in un pubblico usuraio? È vero che l'usura, massime se eccessiva, salta agli occhi di tutti, ed ogni cuore benfatto la condanna. Pur tuttavia non mancano ragioni o pretesti onde, anche un crudele usuraio, può palliare la propria coscienza e credersi innocente. Molti reputano di fare atto di carità, sovvenendo il prossimo colle loro usure nelle necessità in cui questo si ritrova. Molti son persuasi potersi prendere le usure, stante il libero consenso del mutuatario. Molti stimano il pericolo della sorte, oggidi soprattutto, rendere lecite usure pur anco esagerate.

Molti opinano che, guarentendo la legge civile ogni contratto benchè usuraio, perciò stesso il contratto rendesi lecito. Sono errori codesti, senza dubbio, sono palliativi; ma potranno bastare a ingannare la coscienza e far credere lecito ciò ch'è illecito. E noi sappiamo che gli usurai, anche più scandalosi, con queste ragioni scusano per lo più la loro condotta. Crediamo perciò che anche in un pubblico usuraio sia possibile la buona fede.

Ma in un moribondo non deve presumersi la speranza di emenda? Volesse Dio che in tutt'i moribondi fosse certa la speranza dell'emenda, massime quando si tratta di avari che arricchirono con frodi la famiglia! Tutti sanno quanto l'avarizia alligna più nei vecchi, prossimi al sepolcro, che nei giovani, e tutti conoscono quanto questa passione stringe e tiranneggia il cuore umano. Ci sottoscriviamo perciò al giudizio prudente del Frassinetti il quale dice (Comp. di T. M. Diss. VI, §. 4): Qualora il Confessore si avveda che il moribondo è in obbligo di fare una qualche restituzione, cui non riflette, e qualora apparisca ch'egli si trovi in buona fede; se prudentemente giudica che non vi sia tempo per trattare della medesima, oppure se preveda che il moribondo non si vorrà persuadere del suo obbligo, dovrà lasciarlo nella sua buona fede ed assolverlo. Così pure il ch. Berardi (Praxis Conf. n. 4755 ed. 2.).

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Ma posto ancora che ci sia speranza di emenda, quando l'ammonizione abbia a produrre scandali e gravi mali, anche allora la si deve omettere. Così tutt'i TT. con S. Alfonso (1. c. n. 614 in fin.): Omittendam esse monitionem etiam quando timentur scandala aliorum, infamiae, rixae et similia. E ne adduce la ragione: Quia semper praestat vitare mala formalia aliorum, quam materialia poenitentis ».

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Ma omettendo l'ammonizione ed assolvendo un moribondo di tal fatta, non ne verrebbe scandalo al paese e non sarebbe questo un grave danno al bene comune?

Non v'ha dubbio che lo scandalo ci potrebb'essere, e perciò pure il danno al bene comune. Per questa ragione, insegna S. Alfonso, 1. c. n. 615, sull'autorità del De Lugo, devesi ammonire chi ignora la nullità del matrimonio, che ben si conosca dal pubblico. E Benedetto XIV nella Bolla Apostolica del 26 giugno 1749 dice doversi ammonire il penitente si in iis versetur facti circumstantiis, quae confessario dissimulante, peccatorem in pravo opere obfirmant, non sine aliorum scandalo, cum quis arbitretur ea sibi licere, quae ab iis qui Ecclesiae sacramenta frequentant, impune exerceri animadvertat ..

Ma si consideri che nel nostro caso non trattasi di una qualunque circostanza, ma dell'estrema necessità del penitente, del punto di sua morte, pel quale punto, quando fosse altrimenti disposto, quella sola ammonizione potrebbe perderlo eternamente.

Benedetto XIV parlava soprattutto dello scandalo che verrebbe al penitente confermandolo, quando non lo si ammonisse, nel pravo suo proposito: il che non ha che fare col nostro caso. Il caso poi, di cui fa cenno il De Lugo, è uno di quelli che avvengono nel corso della vita, non già in pericolo di morte, nel quale non esiteremmo a credere che il De Lugo medesimo consiglierebbe di tacere. Ma se il popolo vedesse assoluto un pubblico usuraio, non potrebbe creder lecita l'usura? Ciò potremmo ammetterlo nel corso della vita, quando l'usuraio volesse accostarsi ai Ss. Sacramenti. Ma in morte, in quel pericolo grandissimo, tutti conoscono che la Chiesa, pia madre, suole usare maggiore indulgenza. Tutti sanno che occorrono assai facilmente circostanze in cui la confessione si ha da dimezzare facendo come si può, anche con manifestare un sol peccato, ed anche con solo stringere la mano al confessore. Tutti conoscono che in morte tante obbligazioni e penitenze non si possono imporre. Onde l'assoluzione data in punto

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di morte assai difficilmente può recare scandalo di questa natura, come può recarlo la confessione fatta in vita. Del resto, notiamo col cit. Berardi n. 4756: advertendum est etiam quod confessarius ex officio suo tenetur quidem consulere sacramento et suo poenitenti, sed non bono publico (de quo alii ex officio solliciti esse tenentur); cui proinde non qua confessarius (nisi ipse sua agendi ratione scandalum praebiturus esset), sed qua proximus, consulere debet ex lege charitatis quae non facile urget,

Con ciò non vogliamo dire che si può a chiusi occhi assolvere un usuraio scandaloso in articolo di morte. Diciamo solo che fa d'uopo di esaminare accuratamente le circostanze; e quando il confessore si persuade che il moribondo può trovarsi in buona fede; che gli sembra difficile che s'induca a restituire, o che ci siano da temere scandali ed altri mali dalla imposizione di quest'obbligo; e finalmente che l'asscluzione del moribondo non abbia a recare grave scandalo al pubblico, può ed anzi deve omettere l'ammonizione. Quanto alla buona fede, può accertarsene interrogando genericamente il moribondo se ha rimorso di tenere roba d'altri. Se la risposta è negativa, potrà omettere ogni altra interrogazione. Se è affermativa, dovrà chiedere ulteriori spiegazioni, facendo sempre parlare al moribondo, senza interrogarlo di cose ch'ei non rivela e di cui potrà supporsi la buona fede. A norma delle costui rivelazioni il confessore giudicherà se sia prudente, o pur no, imporgli l'obbligo della restituzione.

64.

Se possa impartirsi più volte l'assoluzione

in articulo mortis.

Al moribondo si può dare più volte l'assoluzione in articulo mortis pei varii capi, onde ne ha diritto, p. e. per essere aggregato alla Confraternita del Carmine, del Rosario ecc.?

È certo che il moribondo una sola volta può lucrare l'indulgenza in articulo mortis. La ragione si è che siffatta indulgenza è concessa pel vero articolo di morte, cioè pel punto della morte; laonde sarebbe inutile guadagnarla per più capi. Si considerino le seguenti dichiarazioni della S. C. delle Indulgenze:

- Utrum benedictio apostolica pluries impertiri possit infirmis novo mortis articulo redeunte ? » Resp.: Negative, eadem permanente infirmitate etsi diuturna. Affirmative, si infirmus convaluerit, ac deinde quacumque de causa in novum periculum redeat (24 sept. 1838 in Veronen. n. 263).

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- Licetne, aut saltem, aut convenitne iterum applicare indulgentiam in articulo mortis 1.o quando aegrotus accepit applicationem in statu peccati mortalis? 2.o quando post applicationem in peccatum relapsus est? 3.o quando post applicationem diuturna laboret aegritudine, uno verbo, quando Rituale permittit aut praecipit iterationem Extremae Unctionis, aut confessarius iudicat iterandam esse absolutionem? Resp. Ad 1.m et 2.m: Negative; ad 3.m: prout iacet Negative pariter in omnibus (20 iun. 1836 ad 7 in Aturen., n. 257).

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- Utrum infirmus lucrari possit indulgentiam plenariam in mortis articulo a pluribus sacerdotibus facultatem habentibus impertiendam? Resp. Negative in eodem mortis articulo (5 febr, 1841 ad 7 in Valentinen. n. 286).

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