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Donde si raccoglie che una volta sola si deve impartire la benedizione apostolica coll'indulgenza plenaria, quando duri il medesimo pericolo, benchè sia diuturno, e benchè il moribondo appresso cada in grave peccato, anzi benchè nell'atto di ricevere l'assoluzione si trovi in peccato. La ragione, come si è detto, è in ciò che l'indulgenza non si lucra nell'atto di ricevere la benedizione, ma nel solo punto della morte.

Ciò posto, è assolutamente proibito di dare più assoluzioni in articulo mortis? Alla S. C. fu esposto un simile dubbio che fu risolto come appresso:

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1.o Utrum vi praecedentis resolutionis (5 febr. 1841 in Valentinen.), prohibitum sit, infirmo in eodem mortis periculo permanenti, impertiri pluries ab eodem vel a pluribus sacerdotibus hanc facultatem habentibus indulgentiam plenariam in articulo mortis, quae vulgo benedictio papalis dicitur?

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2.o Utrum vi eiusdem resolutionis item prohibitum sit impertiri pluries infirmo in iisdem circumstantiis ac supra constituto, indulgentiam plenaria in articulo mortis a pluribus sacerdotibus hanc facultatem ex diverso capite habentibus, puta ratione aggregationis Confraternitati SS. Rosarii, sacri Scapularis de Monte Carmelo, SS. Trinitatis etc.?

S. C..... respondendum censuit: Affirmative ad utrumque, firma remanente resolutione in una Valentinen. sub die 5 februarii 1841 » (12 mar. 1855 in Ditionis Belgicae, n. 362).

Da questa risoluzione dovrebbesi raccogliere non solo non potersi lucrare, colla pluralità delle benedizioni, più indulgenze plenarie, ma la pluralità stessa delle benedizioni essere del tutto illecita e vietata.

Nondimeno vuolsi considerare che, stante la clausola firma remanente resolutione in una Valentinen. sub die 5 febr. 1841, quella proibizione va diretta solo a tener saldo il principio stabilito nel cit. decreto in Valentinen.,

il quale, come s'è visto sopra, dichiara che nello stesso articolo di morte non si possono lucrare più indulgenze plenarie per le benedizioni che si ricevono da più sacerdoti che ne hanno la facoltà. Ora se più benedizioni si diano, non già per cumular sull'infermo più indulgenze, ma per altri utili e giusti motivi, non crediamo illecita siffatta pratica. Può darsi infatti che il sacerdote, il quale prima ha impartita la benedizione, credeva di averne la facoltà e non l'aveva. Può darsi che inavvertentemente si sia omessa qualche cosa notevole della formola. Può darsi che l'infermo poco avvertiva o poco era disposto a riceverla. Per tutte queste ragioni, e ancora per eccitare più e più volte il moribondo a devoti affetti, ed a rendergli più certo e sicuro l'acquisto dell'unica indulgenza nel punto della morte, crediamo nè vietata nè illecita, ma utile e santa la pratica di dare più volte al moribondo e per più titoli la benedizione in articulo mortis.

Questa nostra opinione è consona all'insegnamento di Mons. Melata nell'accuratissimo suo libro Manuale de Indulgentiis, il quale così scrive (Par. II, Sect. I, cap. 1 art. 2): Non obstante Decr. 263 ac D. 286 5 febr. 1811 et D. 362 12 mar. 1855 non videtur reprobari posse infirmum, qui ius habet recipiendi benedictionem in articulo mortis ex pluribus titulis, quatenus v. gr. adscriptus pluribus confraternitatibus, si eam postulet sibi dandam ex variis titulis, non ex intentione pluries lucrifaciendi indulgentiam, quod contrarium esset supradictis decretis, sed ad securiorem reddendum effectum, si puta aliquis titulus quavis ex causa nullus esset; ceterum haec multiplicata benedictio, etsi nihil conferret ad indulgentiam, maxime vero conferret ad excitandos pios affectus, et proinde ad procurandam dispositionem, sine qua inutilis evaderet indulgentiae largitio (1).

(1) Avevamo già scritto questo articoletto quando ci è giunto un opuscolo di Mons. Melata col titolo: An benedictio in articulo mortis pluries possit impertiri, nel quale dottamente e con ampie pruove sostiene la medesima nostra tesi.

65.

Circa la benedizione per le indulgenze

in forma Ecclesiae consueta e consueto ritu.

Fu detto innanzi che i sacerdoti collettori dell' opera della S. Infanzia, debbono benedire le croci, i crocifissi, le medaglie, le corone e le statuette di N. S. G. C., della B. V. e dei Santi, in forma Ecclesiae consueta; gli scapolari poi della SS. Trinità, della B. Vergine del Carmine, de' Sette Dolori della B. V. e della Immacolata Concezione devono benedirsi consueto ritu. Qual'è precisamente per le benedizioni la forma consueta della Chiesa? Qual'è il consueto rito?

Circa la forma consueta della Chiesa per la benedizione delle croci, dei crocifissi, delle medaglie ecc., ecco come ha definito la S. C. delle Indulgenze:

- Utrum ad indulgentias applicandas crucibus, rosariis etc. alius ritus sit necessarius praeterquam signum crucis a sacerdote, qui hanc facultatem accepit, factum? Resp. Negative (11 apr. 1840 ad 5 Incerti loci in Gallia n. 281).

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Quando in indulto existit clausula: In forma Ecclesiae consueta, sufficitne signum crucis manu efformare super res benedicendas absque pronuntiatione formulae benedictionis et sine aspersione aquae benedictae? Resp. Affirmative (7 ian. 1843 ad 2. in Briocen. n. 313). Dunque le croci, i crocifissi, le medaglie, le corone (1) e le statuette di metallo vanno benedetti col solo segno

(1) Si noti che per le corone del Rosario e de Sette Dolori devesi adoperare la formola propria, non bastando il solo segno di croce. Così defini la S. C. delle Indulg.: « Pro coronis rosarii et septem dolorum servandam esse formulam, cum responsa S. Congregationis dierum 11 apr. 1840 et 7 ian. 1843 non comprehendat casus de quibus agitur in proposito dubio (29 febr. 1864 — Mon. Eccl. Vol. II, Par, I, p. 54). Queste benedizioni non possono darle i sacerdoti collettori della S. Infanzia; ma, come dicemmo altrove, ci è bisogno di speciale facoltà.

di croce, senza neppure l'aspersione dell'acqua santa, dovendosi così intendere la forma consueta della Chiesa. Circa poi gli scapolari, fa d'uopo osservare il rito consueto, il quale non è altro se non la formola propria di ciascuno scapolare secondo l'appendice del Rituale Romano.

66.

Circa il benedire privatim gli oggetti
con indulgenze.

I sacerdoti collettori della S. Infanzia possono benedire privatim i prefati oggetti divozione. Qual'è il senso di quella parola privatim?

Il senso della detta parola potrà desumersi dalle se. guenti risposte della S. C. delle Indulgenze:

Qui obtinuit facultatem benedicendi cruces, sacra numismata et coronas precatorias cum applicatione indulgentiarum, potestne ea facultate legitime uti coram publico, v. gr. in Ecclesia vel oratorio coram fidelibus. inibi congregatis et res benedicendas manu tenentibus, si indulto facultatis sit clausula Privatim? Resp. Negative (7 ian. 1843 in Briocen.).

"

- Sacerdos qui habet facultatem applicandi tantum privatim indulgentias piis rebus, potestne in fine officii publici applicare indulgentias iisdem rebus, depositis super aliquo altari, quod designavit? Resp. Negative

(6 mai. 1852 in Briocen. n. 359).

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Donde si raccoglie che la facoltà di benedire privatim non si può esercitare innanzi al pubblico raccolto in chiesa, o in oratorio, sia che vi si facciano sacre funzioni, sia che non vi si facciano; sia che gli oggetti si tengano in mano dai fedeli, sia che si tengano deposti

sopra qualche altare. Devono benedirsi o in luogo privato, ovvero anche nella chiesa, ma quando non ci sia concorso di fedeli.

67.

Se sia meglio far subito i suffragii legati,
ovvero differirli per farne di più?

Cornelio parroco riceve in legato uno stabile da vendere e da distribuirne il prezzo ai poveri per l'anima del testatore. Non vorrebbe vender subito il detto stabile, sperando di ricavarne col tempo maggior prezzo. Riceve danno l'anima del testatore da questa dilazione? Commette colpa Cornelio con differire?

Ad ambedue i quesiti rispondiamo colla dottrina dell'Angelico. Quanto al danno, fa d'uopo distinguere il merito della limosina dall'effetto della limosina stessa: l'uno e l'altro giovevoli all'anima del defunto. Dal differire non v'ha nessun discapito all'anima del testatore in rapporto al merito della limosina, il quale principalmente dipende dalla volontà e dalla intenzione di quello. V'ha però discapito in quanto all'effetto della limosina, in quanto cioè si differiscono quei suffragii di cui l'anima molto si gioverebbe (D. Th. Quodlib. 6. a. 13).

Da ciò può risolversi l'altro quesito, se pecca Cornelio con differire la vendita. Se differisce di breve tempo, affine di ricavarne maggior prezzo, non commette colpa alcuna, ma fa cosa lodevole. Se poi differisce lungo tempo, donde non ne possa ricavare grosso aumento di elemosina, non sembra potersi scagionare da colpa, perchè vendendosi più prima lo stabile, l'anima del defunto potea forse uscir libera dal purgatorio. Ecco le parole dell'Angelico: In mora modici temporis, non videtur esse

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