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magnum periculum; unde si executor per modicum tempus eleemosynam dare differat, ut rebus defuncti melius venditis, ampliores eleemosynas dare possit, laudabiliter hoc facit. Si vero e converso per multum tempus differat eleemosynas distribuere, ut non multo ampliores eleemosynas faciat, non videtur esse absque culpa: quia forte defunctus a purgatorio liberaretur, in quo existenti remedium suffragiorum maxime necessarium erat (Quodl. l. c. a. 14). E però lo stesso Angelico cosi conchiude: Hoc autem requirit prudentis executoris examen; ut scilicet, consideratis dilatione temporis et conditione personae, quae creditur citius vel tardius liberanda, et etiam quantitate augmenti eleemosynarum, faciat quod videbitur expedire defuncto » (Quodl. 1, c. ap. Bucceroni Casus consc. V. I, n. 199). Fa d'uopo adunque considerare la dilazione del tempo, la qualità della persona da suffragare (se di santa o di cattiva vita, per cui poco tempo o molto possa stare in purgatorio), e la quantità dell'aumento della limosina, e fare ciò che sembra più conveniente per l'anima del defunto.

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68.

Se i Terziarii di Ordine religioso

possono avere diversi altri scapolari.

Quinzio parroco, munito di relative facoltà, ammelte a professare in Terz'Ordine Francescano quei che sono insigniti dello scapolare del Carmine e di altri scapolari approvati, ovvero del cordone di S. Francesco di Paola, di S. Tommaso, di S. Giuseppe ecc. Opera bene Quinzio?

Quinzio fa benissimo ad ammettere al Terz'Ordine Francescano gl'insigniti di scapolari o di cordoni bene

detti. In forza del decreto della S. C. delle Indulg. del 31 genn. 1893 (Mon. Eccl. Vol. VIII, Par. I pag. 33) è proibito di far parte a più terzi ordini religiosi, e però di accettare, come terziario francescano, chi sia terziario di ordine diverso, senza giusta ragione, e con intento di continuare nella prima aggregazione. Ciò però non ha luogo, trattandosi di scapolari e di cordoni. Nè gli uni nè gli altri costituiscono un terz'ordine religioso; e però, come non è vietato di avere più e diversi scapolari, e più e diversi cordoni, così non è vietato che avendo sì gli uni come gli altri, possa uno essere aggregato ad un terz'ordine religioso.

69.

Che cosa possa pretendere il coniuge superstite quando non gli si dà la legittima in usufrutto, ma in proprietà.

Teodoro, non avendo avuti altri figli dal secondo matrimonio con Clelia, versando in pericolo di morte, le dona in proprietà il quinto di ciò che accorda la legge civile al coniuge superstite in usufrutto, e dispone del resto della sua possidenza, che è tutta in contanti, a favore dei soli discendenti. Clelia credendosi defraudata nel suo diritto, prima che avvenga la divisione, di accordo con uno degli eredi, invola certa somma considerevole, dividendosela egualmente, fino a raggiungere con ciò la metà o due terzi della legittima di lei. Si chiede: 1.o Operò bene Teodoro ? 2.o Clelia può possedere come cosa sua la metà o due terzi di quanto le sarebbe spettato vita sua durante in solo usufrutto? 3. In caso d'obbligo a restituire, Clelia è tenuta per la sua sola rata, ovvero in solidum col complice?

Il cardine della quistione consiste nel vedere in che proporzione sta l'usufrutto vitalizio colla proprietà.

Imperocchè è certo 1.° che la legittima non si può ledere neanco in coscienza. È certo 2.o che al coniuge superstite, in concorrenza di figli, spetta per legge una quota eguale a quella di ciascun figlio, ma in usufrutto (C. C. art. 753). Or quando il coniuge defunto abbia lasciato al superstite non la intera quota vitalizia, ma solo il quinto di essa in proprietà, quest'ultimo ha diritto di rinunziare alla eredità testamentaria, e ripetere la sua quota legittima. Ma se non la ripete, può prendere un dippiù, ed in che proporzioni?

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Non è sì facile diffinir questo punto. Al 5% un quinto di proprietà equivale a quattro annate di rendita; una metà, a dieci annate di rendita, meno l'interesse anticipato a scalare. Sembra a noi che per ben determinare il cambio del vitalizio in proprietà, occorre tener conto della età della persona pensionata, e degli anni che approssimativamente può vivere, com'è uso presso le società di assicurazioni. Crediamo che il limite della vita possa essere da'70 agli 80 anni o poco più, giusta l'oracolo del Salmista (Ps. 89, 9): Anni nostri sicut aranea meditabuntur, dies annorum nostrorum in ipsis septuaginta anni; si autem in potentatibus octoginta anni, et amplius eorum labor et dolor. Se adunque alla morte del coniuge, il superstite conta 50 anni, avrebbe diritto ad un capitale ch'equivalga a 30 anni d'interessi; se ne conta 60, avrebbe diritto ad un capitale ch'equivalga a 20 anni. Ma poichè la morte può coglierlo in ogni età, e la durata della sua vita è dubbia, in tal caso potrà regolarsi pro rata dubii, vale a dire il capitale potrà scemarsi della metà, o anche di più se vi ha ragioni speciali di morte prematura.

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Premesse queste generali considerazioni, scendiamo al caso, e rispondiamo al 1.° quesito. Teodoro che, invece della quota legittima vitalizia, lasciò alla moglie il solo quinto di detta quota in proprietà, operò bene? Crediamo che no, a meno che la moglie non fosse così in

nanzi negli anni, da doversi preveder prossima la sua fine, e a meno che la moglie non avesse di propria volontà consentito.

Al 2.o Clelia può possedere come cosa sua la metà o due terzi di quanto le sarebbe spettato vita sua durante in solo usufrutto? La risposta dipende dall'età di Clelia e dalla presunzione della durata di sua vita, siccome s'è detto innanzi. Se è giovane e può vivere altro lungo periodo di anni, può ritenerlo; se poi è vecchia e di salute cagionevole, da non poter vivere molto tempo, non potrà ritenerlo.

Al 3.o — In caso di obbligo di restituire, Clelia è tenuta per la sua sola rata, ovvero in solidum col complice? Clelia può ritenere ciò che le si è aggiudicato nella risposta al dubbio precedente. Quanto al dippiù, preso di comune accordo con uno degli eredi, deve in solidum con questo, ma dopo di questo, indennizzarne gli altri.

70.

Se si possa dispensare dall' impedimento di sponsali nei matrimonii in extremis.

Muore Giacinto, unito in vincolo civile con Domitilla, da cui n'ebbe dei figliuoli. Osta intanto al matrimonio l'impedimento di sponsali, fatti anteriormente con altra che reclama il suo diritto. Chiamato il parroco a benedire quel matrimonio in extremis, e non avendo tempo di consultare neanco il suo Vescovo, dispensa dal detto impedimento e benedice il matrimonio. Or si chiede: Poteva il parroco dispensare dal detto impedimiento e congiungere in matrimonio Giacinto con Domitilla?

Pei matrimonii in extremis, i Vescovi hanno dalla S. Sede la facoltà di dispensare dagl'impedimenti diri

menti di diritto ecclesiastico, benchè pubblici, ad eccezione di quelli che sorgono dal sacro ordine del presbiterato, e dall'affinità in linea retta, proveniente ex copula licita. Codesta facoltà è delegabile, anche abitualmente, ai parroci. Così il decr. del S. Officio del 20 febbr. 1888 (Mon. Eccl. Vol. V. par. II, p. 35), e l'altro del 1 marzo 1889 (Mon. Eccl. Vol. VI par. I, p. 81).

Si comprende in questa facoltà quella di dispensare altresì dall'impedimento degli sponsali? A noi sembra che no; imperocchè la detta facoltà è per gl'impedimenti dirimenti di diritto ecclesiastico; or gli sponsali inducono impedimento solo impediente e di diritto naturale. Nè si dica che chi concede il più concede anche il meno; poichè ciò corre quando si tratti di cose della stessa specie. Ma l'impedimento di sponsali non è della stessa specie dei dirimenti; e poi per gli sponsali vi ha il diritto dei terzi, che non si trova nei dirimenti. L'unico perciò chiamato a dispensare, per giuste ragioni, dall'impedimento degli sponsali, quando non siano risolvibili per cause canoniche, è il Romano Pontefice: e ciò sia perchè il diritto riserva al Papa tale dispensa in forza del cap. Litteris. 10, de sponsal., sia perchè il solo Principe supremo può, pel bene comune, togliere ad uno il diritto che avea su di un altro (V. Mons. Giovine De Disp. Matr. Vol. I, p. 323).

Ma pei matrimonii in extremis quando ci siano giuste cause non può presumersi la facoltà di dispensare dall'impedimento di sponsali? In altri termini, non può farsi in tal caso un'epicheia?

Certo tutt'i TT. con S. Alfonso, tranne pochissime eccezioni, presumono la facoltà di dispensare dagl'impedimenti occulti, anche dirimenti, quando omnia parata sunt, e si temono scandali dal differire. Le ragioni da essi allegate per tale epicheja, militano pure pel caso nostro ? Si ascolti S. Alfonso che così ragiona pel primo caso (L. V, n. 613): Si Episcopus dispensare

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