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colpa veruna, e senza discapito dell'atto eroico. Senza colpa veruna; giacchè l'atto stesso principale, non obbliga sotto peccato (V. Raccolta ecc. p. 454), non essendo un vero voto, ma una semplice offerta. Senza discapito dell'atto eroico, avendo sopra dimostrato che la giunta dell'offerta nelle mani di Maria è accessoria, non sostanziale.

Ma, senza rivocare la detta offerta, non potrebbesi designare a Maria SS. qualche defunto particolare? Si rifletta che altro è applicare il frutto delle buone opere ai vivi, altro è applicarlo ai defunti. Ai vivi si applica direttamente per modo di soluzione; ai morti solo per modo di suffragio. Il suffragio altro non è che un voto, un desiderio perchè Dio benedetto applichi una misura di meriti, secondo il suo beneplacito, a qualche anima del purgatorio. È risaputo che il beneplacito di Maria è conformissimo a quello di Dio. Or se la offerta del frutto soddisfattorio nelle mani di Maria è perchè Ella ne disponga secondo il suo beneplacito, ne viene che non si offende siffatta offerta quando, salvo il beneplacito di Lei, si suffraga qualche defunto particolare (1).

80.

Circa le solennità negli sponsali.

Attesa la consuetudine di contrarre i primi sponsali coram proprio parocho, sono questi validi quando siano contratti coram parocho alienae paroeciae?

(1) Ci siamo diffusi a spiegar certe cose, perchè sappiamo che molti sono restii a far l'atto eroico di carità (pur tanto meritorio e fruttuoso), perchè si credono di poi privati del diritto di suffragare qualche anima particolare del purgatorio. Abbiamo visto quanto ciò sia falso; e però facciamo voti che tutti compiano quest'atto eroico, il quale, mentre è un tesoro per le anime purganti, riesce un tesoro altresi per colui che lo fa, dal perchè nulla perde innanzi a Dio, giusto rimuneratore dei buoni, e acquista il merito incomparabile della carità ch'esercita verso le anime purganti.

Gli sponsali, perchè siano validi, non richieggono solennità di sorta, bastando solo la mutua promessa di matrimonio, in qualunque forma data. Il Tridentino dichiarò nulli non già gli sponsali clandestini, ma i soli matrimonii non celebrati innanzi al proprio parroco e due testimonii. Quando adunque ci sia consuetudine o statuto diocesano che obblighi di celebrar gli sponsali innanzi al parroco, benchè vi si aggiunga una sanzione irritante, tutto ciò è solo per la liceità, non per la validità Così fu deciso dalla S. C. del Concilio, soprattutto nella causa Sponsalium del 23 marzo 1878 (Monit. Eccl. Vol. I, pag. 537). Perciò nella presente disciplina gli sponsali saranno sempre validi, benchè non celebrati coram proprio parocho.

81.

Circa la legge de non permiscendis epulis nel digiuno.

Circa la legge non permiscendis epulis nel digiuno si chiede: 1.o La detta legge è da osservarsi sempre; ovvero solo quando è imposta nell'indulto? 2.o La detta legge che riguarda la carne,

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riguarda pure il brodo ?

Al 1.o La legge de non permiscendis epulis fu imposta da Benedetto XIV in tre Costituzioni: in quella Non ambigimus del 30 maggio 1741; nell'altra In suprema del 22 agosto 1741, e nella terza Si fraternitas del 10 giugno 1744.. Fa d'uopo esaminar le parole delle prime due Costituzioni (nella terza non vi ha che soli chiarimenti delle due prime) per vedere se la legge fu emanata generalmente per tutt'i casi, ovvero solo per gl' indulti che la contengono.

Nella prima Costit. Non abigimus si stabilisce che le dispense, le quali riguardano i privati, non si debbano

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dare nisi legitima causa et de utriusque medici consilio. Quelle poi che riguardano la moltitudine, ovvero il popolo, debbano darsi dalla S. Sede, nonnisi gravissima et urgente necessitate. E si aggiunge: Gravissimam vero urgentemque necessitatem, etsi non est cur Vobis (Episcopis) explicemus, nolumus tamen Vos ignorare cum huiusmodi necessitate, et servandam esse potissimum unicam comestionem, sicut alias hic Romae, ac Nos ipsi hoc anno urgentibus causis dispensantes, expresse praescripsimus; et licitas atque interdictas epulas promiscue minime apponendas esse.

Di qui dovrebbesi raccogliere che la legge de non permiscendis epulis, è solo per le dispense che promanano dalla S. Sede pel popolo, non già per quelle che si dànno a privati de utriusque medici consilio.

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Nondimeno, nell'altra Costit. In suprema, è dichiarato altrimenti. Nos, vi si dice, quibuscumque, quacumque occasione sive multitudini indiscriminatim ob urgentem gravissimamque necessitatem, sive singulis ob legitimam causam et de utriusque medici consilio, dummodo nulla certa et periculosa affectae valetudinis ratio intercedat et aliter fieri necessario exigat, in quadragesimae, aliisque anni temporibus et diebus, quibus carnium, ovorum et lacticiniorum esus est prohibitus, dispensari contigerit, ab omnibus omnino, nemine excepto, unicam comestionem servandam, et licitas atque interdictas epulas minime esse apponendas, tenore praesentium declaramus et edicimus. »

In forza di queste parole tutte le dispense pontificie, o che riguardano i privati o che il popolo in generale, tutte s'intendono accompagnate dalla legre de non permiscendis epulis. Se n'eccettua solo il caso dummodo nulla certa et periculosa affectae valetudinis ratio intercedat et aliter fieri necessario exigat; il caso, cioè di certa e pericolosa infermità che costringa (caso raro!) di mangiare carne e pesce.

Possiamo dunque concludere che, trattandosi di dispense dalla legge dell'astinenza, o contengano o pur no la clausola de non permiscendis epulis, questa clausola dovrà sempre osservarsi sub gravi, e da tutti coloro che hanno compiuto i sette anni, benchè non siano tenuti al digiuno (1).

Ma se si tratta non di dispensa, ma di necessità, p. e. di grave morbo che di per sè scusa dall'astinenza, obbligherà la legge de non permiscendis epulis?

ll Ballerini dice espressamente che no (Opus Th. Tr. VIII n. 26): Secus proinde esset, si non vi indulti, sed iam per se puta ratione gravis morbi, ab abstinentiae lege quis esset immunis ». Anche il d'Annibale, parlando di questa legge, l'attribuisce solamente alle dispense dei RR. Pontefici (Summ. P. III, n. 137): RR. Pontifices vulgo non aliter dispensant, quam pro unica comestione et sublata promiscuitate epularum, idest carnis et piscium. Benedetto XIV però nella cit. Costit. In suprema come s'è visto, ammette che allora solameute si possa far uso della promiscuità dei cibi, quando certa et periculosa affectae valetudinis ratio intercedat et necessario exigat".

Al 2.o Ma si potrà usare promiscuamente il brodo di carne ed il pesce? Abbiamo una dichiarazione della S. Penit. del dì 8 febbr. 1828 che ciò autorizza. Eccola: Illi, quibus est cibi qualitas, possunt ne diebus ieiunii vesci solo jusculo carnis, ut suae pro

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(1) Ricordiamo la risposta della S. C. del S. Officio del 23 genn. 1875 ad Episc. Baionem: & Utrum obligatio de non miscendis piscibus cum carne diebus quadragesimae attingat omnes, qui vi indulti carnibus vesci possunt, vel solummodo eos, qui ieiunant? - Resp. Affirmative quod primam partem; negative quoad secundam partem; et detur Decretum 24 martii 1841, nempe ad dubium: An lex de non permiscendis licitis et interdictis epulis eos etiam respiciat, qui ad unicam comestionem non tenentur, uti iuvenes antequam tertium compleverint septennium, aliique rationabiliter ab eadem excusati ob impotentiam vel laborem, E.mi decreverunt: Non licere".

spiciant valetudini, ac praeterea uti cibis esurialibus, ut obtemperent, quantum fieri possit, ciborum praecepto? Resp. Afirmative. 8 febr. 1828. (V Mon. Eccl. Vol. I. pag. 380). Si permette adunque a coloro che possono mangiar carne (o per indulto o per malattia), di usare promiscuamente il brodo di carne ed i cibi esuriali, e fra questi il pesce. È vero che nella detta dichiarazione v' ha la clausola ut suae prospiciant valetudini; però questa non è per esclusione degli altri motivi, ma per esempio, e per correlazione all'altro inciso ut obtemperent quantum fieri possit ciborum praecepto; vale a dire: questi prendono il brodo per salute o per altra giusta ragione, e poi mangiano cibi esuriali per osservare quanto più possono l'astinenza. In tal senso intendono la detta dichiarazione comunemente i TT., come il d'Annibale I. c. in nota, il Lehmkul Vol. I, n. 1214 etc.

82.

Circa la dispensa dalle solennità nel matrimonio.

Quando si ottiene dalla S. Penitenzieria qualche dispensa matrimoniale per impedimento secreto vi si legge: « Matrimonium coram parocho et duobus testibus confidentibus, omissis denunciationibus aliisque solemnitatibus, private contrahere etc. » Si chiede: Che s'intende colle parole aliisque solemnitatibus?

S'intende soprattutto la benedizione nuziale, colla messa pro sponsis. La quale benedizione se già si è ricevuta, non si deve ricevere di nuovo, bastando quella. Se poi non si è ricevuta, oggidì si può ancora ricevere senza nulla dare ad intendere del matrimonio convalidato. Abbiamo detto oggidi, dal perchè prima del De

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