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investito di beneficio, vuol dirsi pure di qualsivoglia cappellano, modo (come decise la S. C. del Conc. 15 mar. 1755) pro cappellania certi redditus sint annuatim constituti et perpetuo cappellano assignati; secus vero si hujusmodi cappellano pro qualibet missa celebranda certa detur eleemosyna.

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Ma il cappellano, nel nostro caso, può godere parimenti delle prime tre facoltà? Potrebbe, senza dubbio, se avesse l'obbligo di celebrare per sè. I TT. generalmente attribuiscono ai cappellani quelle facoltà, come insegnano S. Alfonso (L. VI, n. 332, 333) ed altri molti (V. Mon. Eccl. Vol. V, Par. I, pag. 121 e le nostre Consultaz. Vol. II, pag. 154). Quando però l'obbligo non è personale, ma reale o locale, allora fa d'uopo che, non potendo il cappellano celebrare, si faccia surrogare da altri. I DD. assegnano alcune norme per conoscere quando l'obbligo è personale e quando è reale o locale, come il Ferraris (v. Capellanus n. 1. seqq.). Ma noi avvertiamo nelle nostre Consultazioni 1. c. che siffatte norme furono assegnate, come una facoltà, non come un onere; furono assegnate, cioè, per determinare quando un cappellano possa farsi surrogare, non per indicare quando debba. In riguardo all'onere fa d' uopo interpretare strettamente, stando in odiosis. E però a noi sembra che, quando nelle tavole di fondazione non sia espressamente prescritto il dovere del cappellano di farsi, nei casi d'impotenza, surrogare da altri; ovvero non vi si dica espressamente che in quella tale chiesa o in quel dato altare non debba mancare mai la messa nei giorni assegnati; oppure non si commetta alla chiesa od al pio luogo di curare siffatta celebrazione, non si possa dimostrare, nè ammettere l'onere nel cappellano di farsi surrogare nei casi in cui non può da sè celebrare.

Poste le quali cose, il cappellano, nel nostro caso, laddove dagli atti di fondazione non possa ricavare indubbiamente l'obbligo di farsi surrogare, quando egli

sia impedito, può benissimo usufruire di tutte le facoltà indicate.

127.

Se il confessore possa omettere l'ammonizione a chi abbia acquistato illecitamente beni ecclesiastici, quando lo supponga in buona fede, e stima inutile l'ammoni

zione.

Tizio confessore ha questa usanza che, quando il penitente non si accusa da sè degl' illeciti acquisti di beni ecclesiastici, non lo ammonisce, riputandolo in buona fede, e temendo non giovevole l'ammonizione. Si regola bene?

I TT. insegnano che può e deve omettersi l' ammonizione quando il penitente sta in buona fede e l' ammonizione non sia per giovare. Ciò corre pure quando le dette condizioni non sono certe, ma dubbie, giacchè come insegna S. Alfonso, in dubio regulariter videtur quod mala formalia potius evitanda sunt quam materialia (L. VI, n. 616).

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Però tutti n'eccettuano il caso quando trattasi del bene comune: in questo il confessore è tenuto d'impedire piuttosto il danno del pubblico che del penitente, il quale raramente può supporsi in buona fede. E però, dice S. Alfonso, doversi ammonire il penitente che ignora la nullità del matrimonio quando questa è conosciuta dai più (1. c. n. 615); e Benedetto XIV ingiunge ai confessori di non omettere l'ammonizione quando il penitente in iis versetur facti circumstantiis quae, confessario dissimulante, peccatorem in pravo opere obfirmant, non sine aliorum scandalo, cum quis arbitretur ea sibi licere, quae ab iis qui ecclesiae sacramenta frequentant, impune exerceri animadveritit. Da ciò ricavasi

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che il confessore non può tacere, quando ci sia scandalo da riparare, il quale crescerebbe a dismisura se, non ostante, il penitente venisse assoluto ed ammesso alla

sacra mensa.

Or trattandosi di chi abbia fatto illecito acquisto di beni sacri, a prescindere che, dopo tanto scalpore che si è menato di ciò, la buona fede raramente si può presumere, non si può ammettere neanco che il pubblico. non lo sappia e non ne possa avere scandalo. Posto ciò, costui, se lo si vegga frequentare i Sacramenti senz'aver nulla fatto per riconciliarsi colla Chiesa, non darebbe ansa a credere non più illecito quello acquisto, nè più in vigore la censura? Ed ecco il male comune che proverrebbe dal tacere del confessore.

In questo caso adunque il confessore, quand' anco creda che il penitente si trovi in buona fede, e quand' anche non prevegga giovevole l'ammonizione, deve senz'altro ammonirlo, affinchè questi ripari lo scandalo, o almeno affinchè lo scandalo non aumenti assai di più s' egli si faccia vedere assolto dal pubblico che conosce i suoi falli.

Ciò va detto generalmente: imperocchè non neghiamo potersi dare dei casi, in cui lo scandalo non sia tanto da temere, ed in cui perciò, stando il penitente in buona fede e non riputandosi utile l'ammonizione, non lo si debba avvertire. Questo può avvenire soprattutto quando trattisi di acquisti fatti da lungo tempo e non diretta, mente dal penitente; quando cioè il pubblico o non conosca il fatto del penitente, o non lo supponga in mala fede, ovvero quando possa credere che quegli ne abbia già ottenuta la venia pontificia.

Tolti però questi casi, nel generale non si deve omettere l'ammonizione, affinchè il penitente compia il suo dovere colla Chiesa, e si ponga in buona regola di coscienza.

Dal fin qui detto chiaro apparisce che malamente

si regola Tizio nel non ammonire in generale i penitenti, cui sa ingiustamente detentori di beni di Chiesa, credendoli in buona fede e non pieghevoli alle ammonizioni. Deve bene esaminare le circostanze; e solo quando non ci sia il danno comune dello scandalo, e si avverino le altre condizioni, può tralasciare l'avvertimento.

128

Circa la separazione degli sposi
prima del matrimonio

Tizio e Berta, congiunti in 30 gr. di consanguinità, contratto il solo vincolo civile, abitano insieme. Venuta la dispensa pontificia, non vogliono separarsi. Il parroco, per impedire più gravi peccati, li assolve e li congiunge in matrimonio. Si chiede, se il parroco ha operato bene.

Anticamente le dispense pontificie avevano la clausola: Interdicto quocumque tractu, et exhibita fide peractae sacramentalis confessionis. Poi fu adottata quest'altra: Praevia oratorum separatione ad tempus Ordinario benevisum (V. Mon. Eccl. Vol. III, Par. II, pag. 151). Finalmente oggigiorno si usa di apporre la sola aggiunta: Remoto, quatenus adsit, scandalo, praesertim per sepationem,... si fieri potest.

Com'è chiaro, la Chiesa ha smesso oggidì, per le mutate condizioni de' tempi, il rigore di una volta circa la separazione degli sposi da premettere al matrimonio. Prima volevasi la separazione totale di toro e di abitazione, con tal rigore, da essere interdetta qualsivoglia relazione; e ciò, secondo l'antica teorica degli ablativi assoluti, sotto pena di nullità (V. Mon. Eccl. Vol. VII, Par. I, pag. 269). Poi si richiese la sola separazione; ma

non il divieto, sotto pena di nullità, di qualsivoglia tratto (V. Mon. Eccl. Vol. III, Par. II, p. 151). Finalmente oggi si vuol solo, e in qualunque modo, l'allontanamento dello scandalo, se pur vi sia, ed a ciò si consiglia la separazione, se possibile, senza pena di nullità, pel caso di omissione.

E che questo sia l'intendimento della S. Sede, si può scorgere dal seguente responso della S. Penitenzieria :

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Beatissime Pater,

Rescripta S. Poenitentiariae, in causis matrimonialibus cum adfuit incestus publicus clausulam sequentem in praesenti continent: Remoto quatenus adsit scandalo, praesertim per separationem... si fieri potest.

- Hisce miserrimis temporibus, non raro evenit ut separatio oratorum obtineri nequeat, aut quia plures iam habent liberos simul educandos; et tunc vix intelligi potest quaenam alia reparatio scandali exigi debeat antequam dispensatio concedatur.

Rogamus igitur ut S. Poenitentiaria benigne velit declarare num haec clausula Remoto scandalo ita necessario debet adimpleri, ut, illa omissa, dispensatio fuerit nulliter concessa, et quatenus affirmative:

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1o Cum pluries acciderit ut errore ducti, ita dispensaverimus, suppliciter petimus ut S. V. dispensationes huiusmodi benigne convalidare dignetur et, si opus sit, matrimonia exinde secuta in radice sanarc. 2o Rogamus ut S. Poenitentiaria nobis velit indicare, quisbusnam praesertim mediis remotio seu reparatio scandali, defectu separationis, procurari debeat aut possit. Sufficitne v. g. ut in Ecclesia inter Missarum solemnia publice denutietur matrimonium inter oratores aut alteruter eorum ante dispensationis executionem sua peccata confiteatur?

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