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149.

Cominciamento del confessore ordinario di monache, che fu prima straordinario.

Ciriaco sacerdote è stato posto interinalmente a confessore di monache, perchè l'ordinario era infermo. Morto questo, dopo cinque mesi, Ciriaco è stato nominato confessore ordinario di quel monastero. Il triennio della sua gestione deve comprendere i cinque mesi di prima o pur no?

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Non deve comprenderli. Così Gaetano de Alexandris Confes. Monial. Cap. 6 § 6, qu. 3. Così pure il Ferraris Moniales art. V. n. 22., il quale insegna: Si autem esset quis deputatus confessarius ad aliquot menses per modum supplementi, poterit iste in generali deputatione confessariorum quae postea fiet, ab Ordinario eligi in confessarium eiusdem monasterii ad integrum triennium ». E ne assegna la ragione: « Quia prohibitio a S. Congr. de non eligendo monialium confessario ultra triennium, cum sit odiosa, benigne et in mitiorem partem est interpretanda

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150.

Che, se le monache non vogliono il confessore straordinario?

Se le monache non vogliano nessun confessore straordinario può il Vescovo dispensarsi dal mandarlo nei tempi voluti dal diritto?

Assolutamente potrebbe. Imperocchè lo straordinario è tutto in beneficio delle monache; or quando queste rinunziassero al loro diritto, non vi sarebbe più obbligo di mandarlo. E però il Ferraris, sull'autorità di molti

DD., scrive (V. Moniales, art. V. n. 35): « Possunt moniales, etiam sine causa, recusare confessarium extraordinarium, nullum alium loco ipsius petendo: quia confessarius extraordinarius inductus est in earum favorem; quisque autem potest sine causa iuri suo renuntiare ». Nondimeno il Vescovo dovrà procedere con molta cautela in contentare codeste comunità; giacchè assai spesso avviene che ci siano delle monache bisognose dello straordinario, le quali non han coraggio di richiederlo. Nè conviene fidarsi troppo neanco delle votazioni secrete, giacchè nelle comunità religiose bene spesso s'indagano le cose più secrete e si teme di mettere nell'urna un voto contrario a quello delle altre. La regola migliore perciò è mandar sempre il confessore straordinario nei tempi voluti dal diritto, quand'anco le monache protestino di non averne bisogno. Chi non ne ha bisogno, non ha dovere di confessarsi; basta solo che si presenti allo straordinario (v. Ferraris 1. c. n. 36).

151.

Se le monache possano ricusare il confessore ordinario.

Ma se le monache non abbiano fiducia a qualche confessore mandato loro dal Vescovo, possono ricusarlo?

Le monache sono obbligate di ricevere il confessore. che loro designa il Vescono, facendo per esse il confessore le veci di parroco. Or come il popolo non può ricusare il parroco, mandato dal Vescovo; così neanco la comunità religiosa può ricusare il confessore legittimo, sia ordinario, sia straordinario. Nondimeno, come quando per giusta causa il popolo non ha fiducia nel proprio parroco (quem mala plebs odit), il Vescovo deve rimuo

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verlo; così pure quando le monache abbiano giuste ra gioni di diffidare del proprio confessore, il Vescovo dovrà cambiarlo. Si ascolti il Ferraris (v. Moniales articolo V, n. 34): Moniales nequeunt recusare unum confessarium extraordinarium, seu ordinarium, et alium petere, nisi assignata iusta causa recusationis; tunc enim, ipsa iusta causa interveniente, possunt ipsum recusare quia is comparatur parocho, quem ex iusta causa populus recusare potest Sono perciò da lodare quei Vescovi che, prima di mandare il confessore a qualche comunità religiosa, interrogano o fanno interrogare in secreto le singole persone se sono contente di quello. Cosi potranno evitarsi dispiaceri e scandali, non difficili ad avvenire per tali fatti.

152.

Se la facoltà di affrancare beni di luoghi pii conservati deroghi alla Estrav. ambitiosae.

In forza della concessione della S. Penit. 11 maggio 1892 (Mon. Eccl. Vol. VII, Par. II, p. 78), i Vescovi possono permettere qualunque alienazione di beni appartenenti a luoghi pii, sempre che la Giunta provinciale amministrativa abbia concesso precedentemente il permesso dell'alienazione? In altri termini, le dette facoltà derogano alla Estrav. Ambitiosae, che prescrive in ogni caso il beneplacito Apostolico?

La S. Penit. nel cit. rescritto concesse ai Vescovi che le facoltà circa compositiones si estendessero ancora - per chi voglia acquistare, vendicare ecc. beni e diritti appartenenti ad enti conservati, come ai Capitoli di Cattedrali, alle Mense vescovili e parrochiali, alle Confraternite e simili quando il Governo concede siffatte facoltà. Donde risulta che in questo caso è derogato al

disposto della Estrav. Ambitiosae; e i Vescovi perciò possono permettere le composizioni di coloro che, avvalendosi della concessione del Governo, vogliono acquistare, affrancare, vendicare ecc. beni e diritti appartenenti ad enti conservati. Per composizione poi già s'intende che, se il Governo fa loro agevolazioni sui prezzi, queste agevolazioni devono compensarle, secondo le circostanze, ai luoghi pii.

153.

Circa la composizione sui fondi svincolati delle
cappellanie laicali.

Coloro che hanno svincolato una cappellania meramente laicale, pagando la tassa al Demanio, e se ne sono diviso il capitale, volendo poi regolarizzare la loro coscienza, debbono ripristinare la cappellania intera; o consegnare una certa somma, come si fa colle composizioni? In altri termini, il Vescovo deve applicare a costoro il n. 8.o ovvero il n. 2.o dell'indulto della S. Penitenzieria 15 aprile 1892 circa compositiones?

Corre gran differenza fra i fondi ecclesiastici acquistati dal Demanio, e i fondi beneficiali o di cappellanie dal Demanio svincolati. Pei primi si è pagato il prezzo; pei secondi non si è pagata che la tassa di svincolo. Or non potendo un privato appropriarsi nè gli uni nè gli altri, fa d'uopo che, se vuol ritenere i fondi predetti, debbasi comporre colla Chiesa. Ma la composizione circa i primi non è pari a quella pei secondi. Pei primi soccorrono le norme riferite nel n. 2 delle facoltà circa compositiones; pei secondi, oltre le norme del n. 2, soccorrono quelle non tanto del n. 8 quanto del n. 7. Vale a dire, pei fondi beneficiali e delle cappellanie il patrono

nella composizione dovrebbe ritener solo ciò che ha speso per redimere i fondi dal demanio e qualche cosa cosa di più pel diritto di patronato a cui rinunzia. Se poi una pingue cappellania fosse istituita soprattutto a vantaggio dei discendenti dalla propria famiglia, anche questa considerazione può entrare nella composizione, siccome fu dichiarato dalla S. Penit. al Vescovo di Conversano (V. Mon. Eccl. Vol. VI. Par. II. pag. 31), e può aumentare ciò che il patrono varrà a ritenere sui fondi beneficiali. Il resto del valore dei fondi deve consegnarsi nelle mani del Vescovo, il quale dovrà applicarlo secondo i fini voluti dal testatore; soprattutto dovrà curarne l'adempimento dai pesi (V. Mon. Eccl. Vol. VIII, Par. II, pag. 129 seqq.).

154.

Circa la proroga delle riduzioni di messe fatte dal Vescovo per facoltà apostolica.

Per la facoltà che hanno i Vescovi della riduzione delle Messe quoad vere pauperes, possono essi prorogarla per un secondo e terzo triennio ecc.? La difficoltà sorge dal perchè dicesi nel rescritto che la riduziane si può concedere dai Vescovi quante volte non siano state fatte altre riduzioni sulle stesse messe.

La riduzione fatta da un Vescovo ad triennium può sicuramente prorogarsi ad altri triennii; giacchè la clausola predetta, apposta nel rescritto di concessione, riguarda le riduzioni fatte da altri, non già dallo stesso Vescovo. Vero è che quando il Vescovo ha fatta una riduzione in forza di quel rescritto, non può farne una maggiore sulle stesse messe: può solo prorogare quella prima (V. sopra qu. 108.)

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