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sioni circa le carni, lo strutto, ecc., quante volte loro piaccia nel corso del giorno.

17.

Circa l'offerta per le composizioni sopra beni ecclesiastici che appartengono ad enti conservati.

Quando si tratta di comporsi per l'acquisto di un fondo che appartiene a qualche ente conservato (p. e. a Capitolo di Cattedrale, a Mensa Vescovile, a Fabbriceria, ecc.), il quale riceve già dal Governo in rendita iscritta ciò che corrisponde al reddito degli antichi fondi, v'ha pur l'obbligo di fare un'offerta al detto ente ?

Certo che sì. È vero che, trattandosi di enti non soppressi dall'autorità civile, non si è perduto per ora il diritto a percepire in cartelle del consolidato ciò che prima i fondi rendevano; ma fa duopo por mente alle considerazioni che seguono:

1o Altro è il fondo stabile, altro la rendita iscritta. Nessuno vorrà negare la gran differenza che corre fra questa e quella circa la sicurezza della proprietà. Non può lo Stato ridursi alla impotenza di pagare il suo debito? Non può ritirarlo del tutto o scemarlo? E allora?

2o Ciò che di presente il Governo dà agli enti ecclesiastici conservati non rappresenta l'intero reddito dei beni alienati. Quante tasse non vi sovrappone? Quelle di manomorta, di ricchezza mobile, di concorso tolgono dove il terzo, dove la metà e dove anche dippiù, delle antiche rendite. La Chiesa non ha dunque l'equivalente.

3o Nei Capitoli cattedrali poi non sono conservati che solo dodici beneficii maggiori e sei minori; e questi soggetti alle accennate falcidie: gli altri tutti, confiscati. Quanto poco rimane perciò degli antichi beni?

4° La S. Sede non ha esentato dall'offerta coloro che acquistano beni ecclesiastici, le cui rendite furono convertite in rendita iscritta; anzi nell'assegnare i criterii per la composizione, non ha neanco accennato alla distinzione fra beni confiscati, e beni convertiti.

5o Ciò però non toglie che, nel determinare equamente l'offerta da pagarsi, non si abbia pur sottocchi quello che l'ente percepisce attualmente di rendita dal Gran Libro dello Stato.

18.

Qual Vescovo abbia la facoltà di ammettere alle composizioni sui beni sacri dal Governo incamerati, se quello dei beni e della causa pia; ovvero quello del domicilio.

Tizio, dimorante in Dioc. di A., acquistò senza la debita venia alcuni beni del Capitolo Cattedrale di B. Or vuole comporsi colla Chiesa. Qual Vescovo deve ammetterlo alla composizione, quello di A., ovvero quello di B.?

Ammettere alla composizione è atto di giurisdizione delegata. Fa duopo perciò vedere per chi si ha questa delegazione. La S. Penitenzieria delega a ciascun Vescovo siffatta potestà pei fedeli della rispettiva diocesi, e non per altri. Ciascun fedele perciò dovrà rivolgersi non ad altri che al proprio Vescovo.

Or Vescovo proprio è quello del domicilio o del quasi-domicilio, non già quello, nella cui giurisdizione è sita la causa pia, ovvero il fondo ecclesiastico. Al primo dunque fa d'uopo rivolgersi chi voglia comporsi colla Chiesa. Il Vescovo del domicilio deve accogliere la dimanda, deve esaminarla, deve approvarne l'offerta, e in ciò fare deve compiere quanto nella istruzione si si prescrive, cioè: Procedatur de intelligentia aliorum

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Ordinariorum, si quorum intersit, et de consensu eorum qui respectivas causas pias canonice repraesentant, aliorumque canonice interesse habentium (V. Mon. Eccl., Par. IV, p. 52). Si noti qui che il consenso non si richiede dal Vescovo, nella cui giurisdizione si trova la causa pia, ma da coloro che canonicamente la rappresentano, o vi hanno interesse. Il loro Vescovo è solo come mezzo di trasmissione.

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Avuta l'approvazione da questo, e conchiusa la composizione, il Vescovo del domicilio deve assolvere dalle censure il supplicante, e deve trasmettere le somme all'Ordinario cui si appartengono le cause pie: Quod si supradictae summae pertineant ad causam piam alterius dioecesis, transmittendae erunt ed eiusdem Ordinarium » (1).

Nel caso proposto, adunque, Tizio dev'essere ammesso alla composizione non dal Vescovo di B., ma da quello di A.

19.

Circa l'obbligo dell'officio divino delle monache di voti semplici nei monasteri di voti solenni.

Le suore, che per la nequizia dei tempi emettono i voti semplici nei monasteri di voti solenni, hanno l'obbligo medesimo di recitare l'officio divino come l'hanno coloro che professarono solennemente ?

Circa l'obbligo dell'officio divino nelle dette suore,

(1) Il Vescovo che sancisce la composizione deve trasmettere le somme offerte all'Ordinario del luogo cui si appartengono le cause pie. Ciò vuolsi dire sempre che si tratti di beneficii e di luoghi pii determinati e localizzati. Ma trattandosi di legati di messe ubique e di opere pie senza determinazione di luoghi, benchè i fondi si trovino in aliene diocesi, crediamo che l'offerta possa rimanere nelle mani del Vescovo del domicilio e da questo possa amministrarsi.

vuolsi distinguere: Se trattasi d'istituti o di comunità di voti semplici, le religiose non sono tenute sub gravi all'officio divino. Così risolse la S. C. de' VV. e RR. il dì 19 aprile 1844 in Cenomanen. (V. Mon. Eccl., Vol. IV, Par. I, p. 14).

Se poi trattasi di suore che per la nequizia dei tempi emettono i voti semplici nei monasteri di voti solenni, intorno a queste il Vescovo di Conservano chiese alla predetta S. C. se sono obbligate all'officio divino sub gravi come quelle di voti solenni; e la S. C. il dì 8 febbraio 1887, rispose: Arffimative, iuxta constitutiones respectivi monasterii (V. Mon. Eccl., Vol. VII, Par. I, p. 183).

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Se non che la medesima S. C., interrogata dall'Arcivescovo di Fermo: Se le monache di vita claustrale, le quali hanno emesso solamente i voti semplici, sieno tenute in coscienza alla recita del divino officio extra chorum - - il dì 2 maggio 1883 rispose: Negative (1).

Dalle prefate dichiarazioni può dunque raccogliersi che le dette religiose di voti semplici nei monasteri di voti solenni hanno l'obbligo sub gravi, secondo le costi

(1) Ecco il tenore della citata dichiarazione:

<< Molto Illustre e R.mo Mons. come Fratello. Questa S. Congregazione de'Vescovi e Regolari ha preso ad esame il dubbio proposto dalla S. V. così espresso: Se le monache di vita claustrale, le quali hanno emesso solamente i voti semplici, in conformilà dell'Istruzione emanata in proposito della S. Congregazione de'Vescovi e Regolari, sieno tenute in coscienza alla recita del divino Ufficio extra choi um.

La medesima S. Congregazione, il tutto maturamente considerato, ha ordinato si rescrivesse: Negative.

• Tale risoluzione si porta a notizia di V. S. onde Le sia di norma e governo e Dio la prosperi.

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tuzioni del Monastero, dell'officiatura corale; nessun obbligo hanno poi dell'officio quando sieno impedite di recitarlo in coro.

Queste cose valgono per le religiose di voti semplici nei monasteri di voti solenni, che per la nequizia dei tempi non possono professare solennemente, non essendo dal Governo riscattati i monasteri, e potendo esse un giorno esserne espulse. Ma valgono pure per le religiose di voti semplici da premettersi ai solenni nei monasteri non soggetti al Governo, in forza del decreto della S. C. de'VV. e RR. Perpensis temporam 8 maggio 1902, dove all'art. VII sta detto: - Eaedem (professae votorom simplicium) tenentur ad observantiam regularum et constitutionum, non secus ac solemniter professae; itemque tenentur choro interesse: quatenus vero legitime impediantur quominus choro intersint, ad privatam divini officii recitationem non obligantur (Mon. Eccl. Vol. XIV p. 202). Adunque, trattandosi di professe di voti semplici nei monasteri di voti solenni, quali che esse siano, hanno l'obbligo di recitare l'officio in coro, ma, se impedite legittimamente di andare in coro, non hanno alcun obbligo di recitarlo privatamente.

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20.

Circa la presenza del penitente, necessaria all'assoluzione.

Baldovino confessore, mentre un di recitava la formola dell'assoluzione, si accorse che la penitente si era allontanata dal confessionale e stava genuflessa nella medesima chiesa innanzi all'altare della Vergine. Un'altra volta era uscita di chiesa quando egli avea già terminato la formola predetta. È valida l'assolu

zione nell'uno e nell'altro caso?

È vietato mandare ad un assente l'assoluzione. Cle

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