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363.

Circa l'affrancazione dei censi ecclesiastici.

Avviene spesso che, affrancandosi i censi appartenenti a beneficii ecclesiastici, il censuario, oltre la cartella governativa del Consolidato, dia brevi manu ciò che per legge civile risparmia in tale operazione. Si chiede: 1.0 Si può fare ciò senza venia Apostolica ? 2. Come si debbono investire le somme che si ricevono brevi manu?

Al 1.o Fa d'uopo innanzi tutto distinguere i censi appartenti a beneficii civilmente soppressi, dai censi appartenenti a beneficii conservati. Quanto poi si attiene ai censi, è mestieri anco distinguere i censi di natura redimibili da quelli di natura irredimibili.

Trattandosi di censi appartenenti a beneficii conservati, se di natura irredimibili, l'affrancazione equivale ad un'alienazione, proibita senza le solennità, specie senza venia Apostolica, sotto pena di scomunica nemini reservata, dalla Estrav. Ambitiosae e confermata dalla Cost. Apostolicae Sedis. Se i censi poi sono di natura redimibili (come i contratti così detti al quandocumque); in tal caso il censuario è nel diritto di redimerli; e, purchè non ci sia lesione nel prezzo, non v'ha bisogno di alcun permesso, nè s'incorre pena alcuna.

Dove poi si tratti di censi appartenenti a beneficii civilmente soppressi (usurpati dal Governo), il cui prezzo di affrancazione deve andare al Demanio, in tal caso o che i censi siano di natura irredimibili, o che di natura redimili, occorre sempre la venia Apostolica per evitare la censura del Tridentino, riservata generalmente alla S. Sede. La venia Apostolica oggidì non si dà, se non col mezzo della composizione.

Ma i Vescovi possono autorizzare ai detti affrancamenti? Pei censi appartenenti ad enti civilmente sop

pressi, possono fino al capitale di L. 30 mila, per le facoltà circa compositiones che hanno dalla S. Penitenzieria. Pei censi appartenenti ad enti conservati possono parimenti fino alla detta cifra, in forza della dichiarazione posteriore del dì 11 maggio 1892, in cui le facoltà circa compositiones furono estese anche a chi voglia acquistare affrancare, vendicare, ecc. beni e diritti appartenenti ad enti conservati, come ai Capitoli di Cattedrali, alle Mense Vescovili e parrocchiali, alle Confraternite e simili, quando il Governo concede siffatte facoltà (V. Mon. Eccl. Vol. VII, Par. II, pag. 77).

Al 2.o Non potendo oggidì le somme, che si ricevono per le dette composizioni, erogarsi in beni stabili, dovranno collocarsi sopra fondi di rendita pubblica, e i titoli conservarsi in luogo sicuro.

364.

Circa gli effetti della composizione sui
beni ecclesiastici.

Effettuatasi la composizione su qualche fondo di chiesa acquistato dal Governo, cessa del tutto quel fondo di essere ecclesiastico? Si può sul detto fondo prendere qualche iscrizione ipotecaria senza permesso della S. Sede ?

Si è detto ripetute volte che la composizione sui beni di chiesa scioglie il fondo da ogni vincolo ecclesiastico, e fa che diventi laicale. Il fondo così ceduto dalla Chiesa si può perciò vendere, donare, gravare come si voglia d' ipoteche, senz' altra venia della Chiesa, la quale ha condonato ogni suo diritto al possessore che con essa si è composto.

365.

Se il Vescovo possa prorogare di alquanti giorni il triennio ad un confessore di monache.

Può il Vescovo per giuste ragioni prorogare di pochi giorni le facoltà ad un confessore ordinario di un monastero, il quale ha terminato il suo triennio ?

È legge generale che un confessore di monache non può durare in tale officio oltre un triennio; la proroga non può darla il Vescovo, ma la S. Sede. Però tal divieto non rende invalida l'assoluzione quando il Vescovo non abbia ritirate le facoltà (S. C. EE. et RR. 20 luglio 1875. — Mon. Eccl. Vol. X. P. I, p. 170). Il divieto perciò ha natura di semplice proibizione, la quale può ammettere la parvità di materia. E crediamo che pochi giorni siano materia parva, in che può scusare qualche iusta ragione.

366.

Circa la permissione della stampa dei libri liturgici.

Parecchie edizioni di libri liturgici, cioè Messali, Breviarii ecc., non portano impressa l'approvazione dell' Ordinario del luogo nella forma voluta dalle Pontificie Costituzioni che si leggono nei libri suddetti; poichè in essi trovasi apposto il solo Admittitur, ovvero Imprimatur, ossia Vidit, dell' Ordinario. Possono usarsi siffatti libri?

Purchè portino in fronte l' approvazione dell' Ordinario, possono bene usarsi i detti libri. Nel nostro Com

mento sulla Cost. Officiorum (Cap. VII, § 18) notammo come l'antica disciplina, in ciò più severa, è stata colla detta Costituzione raddolcita.

367.

Se il superiore di Suore possa pure confessarle.

Il Superiore di un istituto di Suore fuori la città di Roma, dopo il Decreto del S. Officio 5 luglio 1899, può continuare ad essere loro confessore ordinario?

Il cit. decreto è precettivo per la città di Roma e direttivo per tutto altrove. L'essere poi direttivo non importa che si possa lecitamente fare il contrario di quanto esso prescrive. Esso prescrive cosa che il giure naturale e divino parimente prescrivono allontanare cioè il pericolo di gravi e continui sacrilegii, e di sinistro sospetto contro i superiori medesimi. Ora se fuori di Roma non vige il decreto del S. Officio, vige nondimeno il giure naturale e divino che obbliga parimenti sub gravi.

368.

Se in caso di necessità possa amministrarsi l' Estrema unzione con olio non benedetto.

Posta la opinione di alcuni gravi Teologi che la benedizione del Vescovo dell'olio degl' infermi non sia necessaria alla validità della Estrema unzione, può questa conferirsi in qualche caso urgente con olio comune e sotto condizione, quando non possa aversi l'olio benedetto?

È vero che non mancano TT., i quali negano che l'olio degl' infermi debba essere benedetto ex necessitate sacramenti. Così il Iuenin, il Natale d'Alessandro, il Gaetano, il Maldonato ecc. (ap. Ligor. L.V, n. 709). Questi dicono che non mai fu ciò definito dai Concilii di Firenze e di Trento, che trattano di tal sacramento.

La sentenza però comnuissima e certa si è che l'olio degl' infermi, per essere materia valida della Estrema unzione, dev'essere benedetto dal Vescovo o anche da un sacerdote con facoltà della S. Sede. Così l' Angelico Suppl. q. 29. a. 5; i Salmaticesi Tr. 7 c. 2 p. 1 n. 2 ed altri molti presso S. Alfonso, il quale ad essi si sottoscrive, allegandone la ragione: 1. c. Ratio quia concilia in hoc dogmatice locuta sunt, unde utrumque (oleum et ab Episcopo benedictum) ad valorem huius sacramenti requiri declararunt. Il Tridentino infatti chiaramente dice (Sess. 14, c. 1): Intellexit enim Ecclesia materiam (Extremae unctionis) esse oleum ab Episcopo benedictum. "

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Vi ha anche di più. La sentenza opposta venne dichiarata dal S. Officio, fin dal 13 gennaro 1611, temeraria e prossima all' errore: SS.mus (Paulus V) in Congregatione generali coram se habita, praevio maturo examine et censura propositionis sequentis, quod nempe Sacramentum Extremae unctionis oleo Episcopali benedictione non consecrato ministrari valide possit, auditis DD. Cardinalium suffragiis, declaravit dictam propositionem esse temerariam et errori proximam. (V. Collectan. S. C. De Prop. Fid. n. 2176).

E più chiaramente, per la soluzione del nostro caso, lo stesso S. Officio il 15 maggio 1889 decretò: « Oleum a presbytero benedictum est materia prorsus inepta Sacramento Extremae Unctionis conficiendo: et ne in extrema quidem necessitate valide potest adhiberi. (Collect. S. C. Prop. Fid. n. 2176).

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Donde può raccogliersi che l'olio non benedetto dal

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