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XXXI.

A MEO ABBRACCIAV ACCA .

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Tanto è Dio di servito essere degno
Chi più lo serve, il può nulla stimare;
E tanto grave ingiuriar l'invegno,
Chi men l'ingiuria, il può non sadisfare.
Nè buon per se sperando ha certo segno,
E sì non reo in Dio dea disperare;
Misericordia è tutto il maggior regno,
Che buono aggia, e non buono onde fidare.
Giustizia e pietate hanno amicizia

E che vuol l' una, l'autra in Dio disia
Che non giustizia mai uom danna, poi pente.
Nè mercè da mercè viva malizia :
Giustizia vuole essa mercè, cui dia
Ed essa di lui puna uom dur nocente

XXXII.

Uomo fallito pien di van pensieri
Come ti può lo mal tanto abolire ?
Dignitate, ricchezza
e pompa cheri
Superbia, e dilettanza vuoi seguire ?
Non ti rimembra, che come corrieri
Sei 'n questo mondo pieno di fallire ?
Morendo vecchio, par che nascesti eri :
Nulla ne porti e non sai ove gire.

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Ora dunque, che non pensi in te stessi ? Che badi avere un giorno beninanza Per esser mille tristo e tormentoso ?

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XXXIII.

A M. ONESTO BOLOGNESE.

Credo saprete ben Messer Onesto Che proceder dal fatto il nome sia : E chi nome prende rispetto d'esto Che concordevol fatto a nome fia.

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Che rame se lo nomi io ti so d' esto,
Ed auro rame anco nel falso stia
Es'è dunque così Messer Onesto
Mutarvi nome, ovver fatto vorria .
Siccome ben profeta, o uom nomando
Mercede mia tanto ho guittoneggiato,
Beato cento voi tanto onestato .

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Vostro nome Messere è caro e onrato, Lo mio assai ontoso, e vil pensando

Ma al vostro non vorrei aver cangiato

XXXIV.

Quanto più mi distrugge il mio pensiero, Che la durezza altrui produsse al mondo Tanto ognor, lasso ! in lui più mi profondo ; E col fuggir de la speranza spero.

Io parlo meco, e riconosco in vero Che mancherò sotto sì grave pondo : Ma 'l mio fermo disio tant' è giocondo Ch' io bramo e seguo la cagion,

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ch' io pero

Ben forse alcun verrà dopo qualch' anno, Il qual, leggendo i miei sospiri in rima Si dolerà de la mia dura sorte :

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E chi sa che colei, ch' or non m'estima Visto con il mio mal giunto il suo danno Non deggia lacrimar de la mia morte?

XXXV.

SONETTO DOPPIO.

O benigna, o dolce o preziosa,

O del tutt' amorosa,
Madre del mio Signore
O rifugio a chi chiama

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e Donna mia;

o sperar osa

haila in obblìa .

L' alma mia bisognosa :
Se tu mia miglior madre
Chi, se non tu,
se non tu, misericordiosa :

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Chi saggia, o poderosa

O degna 'n farmi amore

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e cortesia.

Mercè dunque non più mercè sia ascosa,
Nè appaja in parva cosa

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Che grave in abbondanza è carestia
Nè sanaria la mia gran piaga fera
Medicina leggera ;

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Ma se tutta sì fera
Sdegneraila sanare ?

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e brutta pare,

Chi gran mastro che non gran piaga chera?
Se non misera fosse, ove mostrare
Si porria, nè laudare

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La pietà tua tanta e sì vera.
Convien dunque miséra ?

Madonna a te miserando orrare

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2

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I.

Noi siam sospiri di pietà formati, Donna , per farvi fede

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Che 'l vostro servo che ce n' ha mandati, Non può più in vita star senza mercede .

Ne' bei vostri occhi i suoi vaghi figura
Dolce speranza Amore ;

Che del suo vero amar contenta siete :
Poi de le braccia del desio la fura ;
Si che 'l tradito core

Morto rimane, e voi di ciò dolete
Mirate 'l volto già di morte tinto,
Qualora voi 'l vedete

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Ch' ei vi dirà, che 'l suo valore è vinto
Se 'l vostro duro core a voi non crede .

II.

Se di voi, Donna gente,

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M' ha preso Amor, non è già meraviglia :
Ma miracol simiglia

Come a ciascun non hai l'anima presa :
Che di cosa piacente,

Sapemo, ed è vertà, ch' è nato Amore ;
E da voi, che dal fiore

Del piacer d' este mondo siete appresa,
Com' può far uvm difesa ?

Che la natura intesa

Fue di formar voi, come 'l buon pintore
Polito fue di sua pittura bella :

Ahi Dio così novella

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Puot a esto mondo dimorar figura,
Ched è soyra natura ?

R

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Che di voi nasce ciò ch' è bel fra nui; Onde simiglia altrui

Mirabil cosa a buon conoscitore.

Qual dunque de' esser io;

Poichè tal Donna intende il mio prieghero,
E mertal volentiero

A cento doppi sempre 'l mio servire ?
Certo miracol, ch' io

Non morto son di gioja, e di dolzore;
Poi, come per dolore

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Può l'uom per gioja morte sofferire
Ma che ? lo mio gioire

E stato per schernire,

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Pur sommettendo tutta mia possanza,
Quale mi credo

che maggior mi sia;

Che di troppa carstìa

Guarisce uom per se stesso consumare
E cose molto amare

Guariscen, che le dolci ancideriéno:
Di troppo ben mal freno

E di mal troppo spesso è beninanza .
Tantosto, Donna mia 9

Com' io vo' vidi, fui d' amor sorprise :
Che già mai lo mio avviso

Altra cosa che voi non divisone:

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Simile è buon ch' io sia

A voi fidel, com' io non trovo cosa,
Che m' sia tanto giojosa

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Che l'alma e lo saver di voi canzone : Che tutto a voi mi done ,

Di cui più che mio sone :

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Mio non son già, che per vostro piacere Volentier mi sfarei, per far di mene Cosa, stesse a voi bene;

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