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Lodi della sua Donna.

Gentil donzella, di pregio nomata,
Degna di laude e di tutto l'onore,
Che di voi non fue ancora nata,
par

Nè sì compita di tutto valore,
Pare che in voi dimori ogni fïata
La deità dell' alto Dio d'amore;
Di tutto compimento sete ornata,
E d'adornanza e di tutto bellore.
Che 'l vostro viso dà sì gran lumera,

Che non è donna ch'aggia in sè beltate
Che a voi davanti non s'oscuri in cera.
Per voi tutte beltà sono affinate,

E ciascuna fiorisce in sua maniera

Lo giorno, quando voi vi dimostrate.

Adornanza e bellore, sono voci antiche, e stanno per adornamento e bellezza

lumera vale lume

-

cera, volto affinate, perfezio

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nate.

IACOPO DA LENTINO

Fiori verso la metà del secolo XIII, e fu conosciuto sotto il nome di Notaio, che gli venne dall'esercizio di quell'ufficio. Dante nel canto XXIV del Purgatorio lo appella così, e lo pone nel numero di coloro che cantarono d'amore senza esser da quello ispirati, e che non conobbero il nuovo e dolce stile trovato in appresso. Lorenzo de' Medici nella sua epistola a Federigo di Aragona lo dice grave e sentenzioso, ma spogliato d'ogni fiore di leggiadria.

Rimangono di lui varie Canzoni, le quali, sebbene siano sparse di voci autiquate, pure hanno qua e là qualche vaghezza e delle idee assai naturali e gentili. Sempre si lamenta della durezza della sua donna e delle cui ella lo ha messo. Il suo dolore è tale che

Cor non lo penserìa nè'l dirìa lingua.

pene in

Si maraviglia che il fuoco non lo consumi, e poi si ricorda che la salamandra vive sana in mezzo di esso.

Nei Sonetti vi è forse più artifizio : le similitudini sono più strane, e tratte da cose, per pensare alle quali ci vuole più fantasia che affetto. Si assomiglia per esempio al basilisco che muore con gioia, al cigno che più gioiosamente canta, quanto è più presso alla morte, al pavone che, quando va più superbo di sua bellezza, si turba se riguarda alla bruttezza de' suoi piedi. È stato detto ancora che i suoi sonetti non hanno molta coudotta, e che nelle terzine cadono. Quello che qui riportiamo ci sembra in questa parte meno difettoso degli altri.

La sua Donna avanza ogni altra di pregio.

Madonna ha in sè virtute con valore
Più che null'altra gemma prezïosa,
Che isguardando mi tolse lo core,
Cotanto è di natura vertudiosa .
Più luce sua beltate e dà splendore

Che non fa il sole nè null' altra cosa:
Di tutte l'altre ell' è sovrana e fiore,
Che nulla appareggiare a lei non osa:
Di nulla cosa non ha mancamento

Nè fu, ned è, nè non sarà sua pari,
Nè in cui si trovi tanto compimento.
E credo ben, se Dio l'avesse a fare,
Non vi mettrebbe sì suo intendimento,
Che la potesse simile formare.

V. 4. Vertudiosa da vertude: parola molto usata dagli antichi, e che vive tuttora in bocca del popolo toscano.

V. 6. Che non fa 'l sole ec. Salvatore Rosa per significare che i poeti avevano ecceduto nel paragonare le loro donne al sole, disse:

Le metafore il sole han consumato.

Nè questo fu solo difetto de' Petrarchisti, ma e de' Provenzali e de' poeti italiani del secolo XIII, e del Petrarca stesso. Il provenzale Cadenet dice: Siccome il sole al disopra d'ogni altra chiarità ci rende chiarezza, io posso ben dire ugualmente, che ella è chiara e rende lume. E Gallo Pisano:

Le vostre beltà sole

Lucen più che lo sole.

Il Petrarca:

Una donna più bella assai che il sole ec.

V. 9. Di nulla cosa ec. Ovidio: In toto nusquam corpore menda

fuit.

BUONAGIUNTA URBICIANI

Fu rimatore mediocre, dice Tommaseo, ma a quando a quando elegante. Dante nell' aggirarsi fra quelli che sono contenti nel fuoco, perchè sperano di andare alle beate genti, quando avranno purgate le loro sozzure, s' avviene (Purg. XXIV) in quelli che in vita condiscesero di troppo alla gola. Quivi con quel dal Torso, che purga per digiuno

L'anguille di Bolsena in la vernaccia,

è Buonagiunta Urbiciani da Lucca, stato amico all' Alighieri, a cui scrisse sonetti, e ne ebbe in risposta sonetti. Dante confessa la sua amicizia per lui, ma lo pone nel numero di quelli che scrissero rime amorose, senza esser presi d'amore, e però con poco successo.

Era in fiore sulla metà del secolo XIII, e in patria fu notaio. Molti hanno lodato la sua maniera di poetare; ma ad onta di ciò, chiunque si faccia a leggere i suoi versi, agevolmente conosce, che non sono nè sostenuti, nè molto leggiadri. Pure vuol saperglisi grado come a tutti quelli che furono incominciatori d'un arte. Benvenuto da Imola, oltre a lodarlo come poeta, lo dice onorevole uomo e facondo oratore nella lingua materna.

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A Guido Guinicelli.

Voi che avete mutata la maniera
Delli piacenti detti dell'amore,
Della forma e dell' esser là dov' era,
Per avanzare ogni altro trovatore,
Avete fatto come la lumera >

Che alle scure parti dà splendore,
Ma non quivi ove luce la sua spera,
Perchè passa ed avanza di chiarore.
E voi passate ogni uom di sottiglianza,
Che non si trova già chi ben vi spogna,
Cotanto è scura vostra parlatura.
Ed è tenuta a gran dissimiglianza,
Tutto che il senno vegna da Bologna,
Traier canzon per forza di scrittura.

Con questo sonetto Buonagiunta si rallegra con Guido dell' aver questi mutati in meglio i piacevoli detti dell' Amore e di avere avanzato ogni altro poeta. Oltre di ciò lo rimprovera di qualche oscurità; ma lo fa con parole non chiare a bastanza : il che prova, che è più facile notare i difetti altrui, che far meglio.

Lumera è voce antica e sta per lumiera sottiglianza vale sottigliezza, e ora non si usa. I primi poeti si dilettarono di questa terminazione in anza, che derivava dalla bassa latinità: dissero pietanza per pietà, tristanza per tristezza, comincianza per cominciamento, amanza per amore ec.: tutti modi ora vietissimi esponga, spieghi il senno vegna da Bologna, a motivo della sua celeberrima università; d'onde è venuto il detto: Bononia docet traier v. a. trarre.

-

spogna v.

a.

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