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Amore al tribunale della Ragione.

Mille dubbi in un dì, mille querele,

Al tribunal dell' alta Imperatrice, Amor contra me forma irato, e dice; Giudica chi di noi sia più fedele. Questi, sol mia cagion, spiega le vele Di fama al mondo ove saria 'nfelice. Anzi d'ogni mio mal sei la radice, Dico e provai già di tuo dulce il fele. Ed egli Ahi falso servo fuggitivo!

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È questo 'l merto che mi rendi, ingrato, Dandoti una cui 'n terra egual non era ?. Che val, seguo, se tosto me n'hai privo? Io no, risponde. Ed ella: A sì gran piato, Convien più tempo a dar sentenza vera.

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La tomba di Selvaggia.

Io fu' in su l'alto e in sul beato monte,
Ove adorai baciando il santo sasso,

E caddi 'n su quella pietra, ohimè lasso!
Ove l'onestà pose la sua fronte ;
E ch'ella chiuse d'ogni virtù il fonte

Quel giorno che di morte acerbo passo Fece la donna dello mio cor lasso Già piena tutta d'adornezze conte. Quivi chiamai a questa guisa Amore: Dolce mio dio, fa' che quinci mi traggia La morte a sè, che qui giace il mio core. Ma poi che non m'intese il mio signore, Mi diparti', pur chiamando: Selvaggia ; L'alpe passai con voce di dolore.

FRANCESCO PETRARCA

Francesco Petrarca, uno de' più grandi uomini che abbia prodotti l'Italia, e a cui l'Europa moderna va debitrice in gran parte del suo incivilimento, nacque di padre fiorentino in Arezzo a' 19 luglio del 1304. Cominciò a studiare a Pisa: poi seguitò il padre esule ad Avignone, e di lì si recò a Carpentrasso, a Monpellieri, e a Bologna, a studiarvi le leggi, sebbene con moltissima sua mala voglia, perchè erasi siffattamente invaghito di Virgilio e di Cicerone, che questi soli studiava, e non poteva patire che gli si facesse parola del codice. Nel 1327 avendo già perduti i genitori era ritornato in Avignone, ed ivi il dì sesto d' aprile s' innamorò di quella Laura che poi immortalò insieme cou sè nei suoi versi. Dopo quest'epoca, Laura fu sempre in cima de' suoi pensieri: l'ardente passione lo seguiva dappertutto: ed egli per fuggirla e per disfogare un altro potentissimo desiderio si dette a viaggiare, e a cercare i monumenti dell' antico sapere. Amante come era dell' antichità, co' suoi caldi ed eloquenti discorsi, potè mettere negli altri questo medesimo amore, e recargli ad aiutarlo nella grande opera di richiamare a vita i poeti e i prosatori del Lazio, i quali in tanti secoli di barbarie e di guerra si erano in gran parte smarriti. Viaggiò per la Francia, per le Fiandre, per la Germania, per la Spagna, per tutte le parti d'Italia, e dappertutto scavò preziosi monumenti, dappertutto strinse amicizia co'dotti, e fece sì che la sua corrispondenza, dice il Sismondi, divenisse il nodo magico che per la prima volta univa la repubblica letteraria europea. Queste cure, questo

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zelo ardentissimo, e il suo poema latino sull' Affrica, gli fruttarono altissime onoranze. L'università di Parigi e il Senato romano ad un tempo gli offersero la coroua poetica: ed egli, come ammiratore di Roma e delle sue glorie, prescelse questa città, e a'di 8 aprile del 1341 sul Campidoglio con grandissima solennità in mezzo agli applausi del popolo fu coronato poeta. Dopo quell'epoca visse quaudo in Francia e quando in Italia. Fu incaricato dagli Imperatori, dai Papi e da' Principi di solenni ambascerie, ed ebbe tutti gli onori che si possano desiderare da uomo mortale. Finalmente si stabili in Arquà sui colli euganei, ed ivi morì a' 18 luglio 1374.

Il Petrarca in vita fu debitore della sua fama al suo amore nella ricerca delle opere antiche, e alle sue poesie latine colle quali dette il primo l'impulso allo studio dei grandi esemplari del Lazio. Ma di presente la sua maggior gloria sta nelle poesie italiane le quali ingentilirono la lingua cui Dante aveva dato tanta energia, e stettero come modello a tutti i successivi poeti. Egli in molti sonetti e canzoni celebrò la sua Laura, e descrisse tutte le pene e le gioie del suo amore per lei. Fa riservatissimo in ogni suo verso, in ogni sua espressione e fra le molte lodi che a lui si debbono, grandissima è quella di non essersi lasciato corrompere dalle laidezze che pur troppo reudevano schifose le corti a cui usò per tutta la vita. E ciò venne espresso con molta nobiltà poetica dal Foscolo, allorchè nei Sepolcri chiamava il Cautore di Laura,

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quel dolce di Calliope labbro,

Che Amore nudo in Grecia e nudo in Roma
D'un velo candidissimo adornando

Rendea nel grembo a Venere celeste.

<< Ma la passione amorosa, dice Francesco Ambrosoli, non tenne sola l'imperio di quell' anima ardente e

sublime. Il Petrarca amò caldamente la patria; com pianse le miserie italiane cagionate dalle continue discordie de' molti suoi potentati: cercò per quanto potè di amicarli fra loro; cooperò a far sì che la sede pontificale fosse di nuovo trasferita da Avignone a Roma; e quando Cola di Renzo parve resuscitare l'antica repubblica, egli, ingannato dal gran desiderio di quella prisca grandezza, fece quanto era da lui perchè l'impresa riuscisse a buon fine ».

Le sue opere latine, oltre il suddetto poema dell'Aƒfrica, in cui cantò le geste di Scipione nella seconda guerra cartaginese, consistono in dodici Egloghe; in tre libri di Epistole in versi; in quattro libri di cose storiche intitolati Rerum memorandarum, in cui, a modo di Valerio Massimo, narra varii fatti memorabili tolti dalle storie antiche e moderne: in un altro libro intitolato Epitome virorum illustrium, in cui parla degli uomini più famosi dell'antichità nelle Lettere in prosa: nei trattati de contemptu mundi, de remediis utriusque fortunae, de vera sapientia, de sui ipsius et aliorum ignorantia. Fra tutti questi lavori, importantissime sono le lettere in prosa le quali non hanno eleganza, ma giovano molto alla cognizione della storia di quei tempi, perchè ci fanno conoscere molti uomini illustri contemporanei del Petrarca, e ci danno tante e siffatte notizie storiche, che indarno si cercherebbero altrove.

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Bellezza sovrumana di Laura.

In qual parte del cielo, in quale idea
Era l'esempio, onde Natura tolse
Quel bel viso leggiadro, in ch'ella volse
Mostrar quaggiù quanto lassù potea ?
Qual ninfa in fonti, in selve mai qual Dea
Chiome d'oro sì fino a l'aura sciolse?
Quand' un cor tante in sè virtuti accolse?
Benchè la somma è di mia morte rea.
Per divina bellezza indarno mira

Chi gli occhi di costei giammai non vide,
Come söavemente ella gli gira.

Non sa com' Amor sana, e come ancide,
Chi non sa come dolce ella sospira,
E come dolce parla e dolce ride.

Nei poeti anteriori le fantasie dell'amore ideale sono abbozzate con estro passionato, con grazia schietta ed originale: nel Petrarca sono disegnate più esattamente, e dipinte con tinte più calde e mirabilmente adornate.

In questo sonetto la parola idea, stando a' Platonici, significa modello primitivo, sul quale Iddio e la Natura formano poscia più o meno perfetti gli enti dell' universo.

L'ottavo verso è una pennellata da maestro: e gitta un inimitabile chiaroscuro con quella rapida riflessione, che le belle doti della donna amata esacerbano la passione dell' animo innamorato.

Nel verso nono, in quelle parole, mira per bellezza, sottintendesi facilmente per trovare: ed è uno de' mille modi spediti co'quali questo poeta, padroneggiando la lingua, seppe abbreviarla, arricchirla, e nobilitarla: e riesce chiarissimo sempre: bensì chi vuole in questa parte imitarlo riesce oscuro: tanto può l'ingegno! FoSCOLO.

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