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UTTI i grandi pensatori riconobbero nella servile sottomissione della donna un ostacolo al progredire dell'umanità nella sua educazione civile, e ne propu

gnarono una qualche emancipazione. Più che mai nel nostro secolo è dominante l'alto concetto di fare la donna conscia del suo valore, della sua potenzialità, dell' influenza ch' essa può esercitare nel consorzio sociale, e si mira all' intento di svincolarla da una soggezione cieca e passiva all'uomo, portandola ad una conveniente indipendenza di pensiero e di azione. Ma come svolgere quel concetto, come raggiungere quell' intento? Aprire alla donna un varco nel mondo intellettuale è il primo mezzo giudicato indispensabile per riabilitarla.

Non si può negare che molto già siasi fatto su questa via, si che vediamo oggi la donna coltivare con buona riuscita ogni ramo di scienza, ogni arte, sempre più desiderosa di accrescere la sua coltura. Essa che per tanti secoli fu piegata ad una esistenza assorbita in quella dell' uomo, persuasa che tutto si muove colla sua cooperazione e ch'essa può in quanto vale e vuole, si erge dal torpore in cui giacque e fra i suoi diritti, rivendica il più alto, quello del suo perfezionamento intellettuale. Vuol dar forma a quanto si agita in lei, esercitare la forza del suo pensiero, tradurre in atto le aspirazioni del suo cuore. Sente il bisogno irresistibile di prender parte attiva anch'essa a quel lavoro, suprema fra le gioie e tirannica forza ad un tempo che s' impone all' uomo, lo stimola senza posa, addi

tandogli una meta che mai non raggiunge appieno, un premio che mai non ottiene a completo soddisfacimento delle sue aspirazioni.

La donna odierna più non s' appaga di essere tenuta quale ornamento della vita dell' uomo e di godere una felicità vincolata solo all'impero della giovinezza o al fascino effimero della beltà, ma vuole sentirsi apprezzata per il suo merito intrinseco, vuole essa stessa crearsi una felicità intima e durevole che vinca l'ingiuria degli anni ed ogni mutar di fortuna.

E queste nobili tendenze della donna odierna ognuno ammetterà si debbano coltivare, se considera il gran bene che ne può venire alla società quando essa, illuminata la mente, temprato il carattere, sarà veramente degna dell' alto posto a cui natura l'ha destinata nell' umano consorzio.

Ciò che per altro ad essa difetta anche oggi è l'educazione pratica e positiva, la conoscenza dei tempi in cui vive e la coscienza precisa del dovere sociale che ad essa incombe. Giova farle comprendere che se la maggior parte della sua esistenza deve consacrare alla famiglia, non può trascurare per questo il suo concorso al benessere collettivo. E per convincerla di ciò basterebbe metterla in grado di conoscere lo stato reale della società, di misurare le cagioni dei suoi mali ed i mezzi più efficaci per combatterli; indicarle come nel soccorrere le miserie fisiche e nel rialzare il sentimento morale delle popolazioni le si offra un vasto campo di azione dove tutta può spiegare la sua potenza di sacrificio e di amore e trovare le più intime soddisfazioni.

Gravi sono le odierne condizioni sociali, per la lotta dell'esistenza fatta più difficile e gravosa, i bisogni divenuti più incalzanti e il generale malcontento inasprito dalle non sodisfatte esigenze.

Consoliamoci però: se molti sono gli indifferenti che si rinchiudono in un biasimevole egoismo, e più quelli che abbandonati allo scoraggiamento, si contentano di levare vane lamentazioni, sono però anime elette che amano sinceramente il popolo e ne sentono i dolori: altamente oneste, non ne lusingano le passioni agitandogli innanzi promesse folli, vane chimere di guarigione di tutti i suoi mali; ma, con sforzi indefessi, con intelligente energia, con vero amore, rintracciano rimedi veraci e duraturi.

Come in tutti i tempi, anche ai nostri giorni uomini di cuore indagano le ragioni del disordine sociale e cercano i mezzi più adatti per provvedervi; oggi, come in tutte le epoche della storia del genere umano, vediamo la beneficenza scrivere le pagine più belle, battezzare le glorie più grandi e pure.

Che dire della carità cristiana e dei sacrifizi da essa ispirati? Sacrifizi di fortuna, di ogni cosa diletta, della vita stessa, abnegazione completa di sẻ, rinunzia di ogni gioia e di ogni sorriso dell'esistenza per tutto consacrare a prò degli infelici. La virtù cristiana come fiume in piena dilagò sulla terra le sue onde benefiche e portò un sollievo ad ogni miseria. Inchiniamoci riverenti e compresi di ammirazione innanzi alla potenza della fede che ispira, per la sventura, pietà si profonda.

Ma quella ispirazione che in tempi più oscuri poteva essere unico faro che guidasse verso il bene, senza esame e senza discussione, oggimai vuol esser suffragata da posato ragionamento, ed anche la beneficenza verso il misero va regolata da un sentimento più umano.

È una distinzione che mi pare molto razionale quella che si fa oggi fra la carità privata e la beneficenza pubblica. La carità privata rintraccia le miserie che si nascondono e tacitamente, occultamente, le conforta e soccorre: guidata dalla pietà, dona, solo curando l'effetto immediato del beneficio.

Altra cosa deve essere la beneficenza pubblica, alla quale spetta un più alto scopo, un più vasto campo di azione: non deve soltanto soccorrere i mali presenti, ma prevenire i futuri; non combattere temporariamente la miseria, ma vincerla distruggendone le cause; non ottenere il solo vantaggio particolare dell'individuo, ma quello generale della società. Nè la sua azione sarebbe efficace e duratura se cercando il benessere materiale delle classi povere non mirasse a innalzarne la dignità, a correggerne i vizi. A tale scopo deve la beneficenza pubblica esercitare la sua missione all'aperto, e avendo di mira sopratutto di tenere stretti i legami umanitari fra le varie classi sociali, prendere l'aspetto di un doveroso provvedimento pubblico, senza avere mai il carattere elemosiniero.

L'elemosina, se può riuscire provvida in speciali casi privati,

come mezzo di beneficenza pubblica è da tutti gli economisti giudicata inefficace e demoralizzatrice. Essa invero non potrà mai vincere radicalmente la miseria perchè ne favorisce le due cause più temibili, l' infingardaggine e l'ozio; perchè genera l'imprevidenza e l'accattonaggio; perchè spegne nel beneficato ogni senso di dignità e di rispetto di sè medesimo, senza il quale non è possibile alcun progresso morale.

Diceva il Pagliani in una conferenza popolare tenuta alla Società d' Igiene a Torino: «È opinione ormai generale fra gli eco<<nomisti che le elemosine, per quanto si facciano con intelligenza «<e discernimento, il che non è agevol cosa, per quanto grandi e <«< inesauribili esse siano, non potranno arrivare mai a sciogliere il << problema serissimo del pauperismo. La maternità, gli ospizi per « gli orfani, i ricoveri di mendicità ecc. potranno fino a un certo << punto combattere momentaneamente i mali presenti, ma col certo << pericolo di perpetuarne l'esistenza. Tutta questa assistenza di cui << si vede e si circonda il povero e cui a poco a poco egli si assuefà << considerandola come a lui dovuta, invece di spingere l'operaio sulla << via della previdenza e dell' iniziativa personale, ne lo allontana, <«< consolandolo e quasi cullandolo nella sua miseria, il soccorrere <«< la quale egli ritiene sia quasi un dovere per parte della società. << Chiunque siasi occupato un po' seriamente in studi e opere di << beneficenza, si è dovuto persuadere che in buona parte la carità << quale oggi si compie, porta alla demoralizzazione delle classi po« vere, come le distribuzioni di panem et circenses all' epoca della << decadenza romana. »

Quanti infelici resi tali da una improvvida carità! Vi stringe l'animo incontrare ad ogni passo per le vie delle nostre città bambini laceri, sudici, spinti dai genitori a supplicare con voce simulata di pianto l'obolo che viene loro gettato con indifferenza, sovente con sprezzo e vi domandate con sgomento: che sarà di essi? Il Settembrini nell' ergastolo di Napoli mosso a pietà dei disgraziati che gli avevano prima ispirato orrore, esclama: «Perchè sono scel«<lerati? Prima che costoro fossero caduti nel delitto, che avete voi « fatto per essi? Avete voi educato la loro fanciullezza e consigliata << la loro gioventù? Li avete cresciuti nel lavoro? Avete illuminati <«<essi che camminavano nella via dell' ignoranza? E se non avete « fatto questo che era il vostro dovere, non avete voi colpa ai de<< litti loro?» Rimprovero severo, ma giusto che ricade anche sopra di noi. È certo che, se i genitori disamorati e inumani non trovas

sero alimento all' ozio dal disonesto guadagno che loro procura e ai loro figli l'accattonaggio, sarebbero spronati al lavoro, e quelle infelici creaturine che abbandonate sulle pubbliche vie crescono al vizio e saranno forse condotte al delitto, accolte in una scuola, istruite, guidate, crescerebbero buone ed oneste. Il Villari prova coi dati delle statistiche, come in ogni tempo aumentarono la miseria e l'accattonaggio coll' abbondare delle limosine.

Riconosciuta adunque necessaria la riforma della beneficenza, la società moderna la promuove con slancio mirabile, iniziando istituzioni che aiutano l'operaio, ma gli lasciano coscienza di provvedere da se al sostentamento e all'avvenire suo e della sua famiglia e lo animano al lavoro ed al risparmio. Questo sentimento della propria responsabilità gli dà fede in sè medesimo, quella fede che è la maggior forza per renderlo capace di prodigi di volontà e di ingegno.

Qual vasto campo di azione non può trovare la donna in tale riforma ove vi sia convenientemente iniziata! Essa per la squisita sensibilità, per l'inclinazione naturale a proteggere il debole, è portata alla beneficenza, e nel beneficare trova la miglior sorgente della sua felicità. Ma per la sua educazione fin qui rivolta più al cuore che non alla ragione, per la sua vita circoscritta in angusto orizzonte, essa è condotta a considerarne gli effetti sulle persone e non sul consorzio sociale ed a praticare la carità nel senso più limitato della parola. La quale, santa nel fine, può riuscire inefficace ed anche nociva, poichè, come già abbiamo avvertito, il suo effetto immediato sulle persone è in contraddizione con le conseguenze per il bene generale.

È però doveroso d'insegnare alla donna a esercitare più utilmente questa sua naturale tendenza, prestando cioè il suo concorso alla grande opera umanitaria secondo l'ispirazione della vera filantropia. Persuasa della maggior efficacia del nuovo indirizzo richiesto dalle odierne condizioni sociali, la donna non esiterà a seguirlo con slancio e devozione. E, credetemi, sarà efficace la sua opera, sarà potente il suo aiuto, poichè, spinta solo dal sentimento del bene, andrà dritta allo scopo, librando serena sopra il furore delle passioni e gli odi dei partiti; e guidata dal suo cuore, dalla sua

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