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dichiarato nel primo del Convito non volere in parte alcuna derogare a ciò ch' egli narra nella Vita Nuova con quanto ei discorre nel Convito medesimo, benchè quella fervida e passionata, questo ragionevolmente temperato e virile esser conviene; più ancora, neppur nell'ultime parole della Vita Nuova badando all'intenzione manifestata, ch' egli direbbe di lei ciò che mai non fu detto d'alcuna, e quindi alla preghiera fervente ch' egli fa a Dio, sire della cortesia, di poter gire a vedere quella benedetta Beatrice: infine trascurati anche gli accenni palesemente biografici che nella Vita Nuova e nel Purgatorio si fanno de' due amanti, come dire lo sdegno, forse geloso, della tanto gentile e tanto onesta Portinari: questi argomenti dico mi paiono secondarj a paragone del sostanzialissimo che nessuno, alla semplice lettura del Sacro Poema, lo crederebbe allegorico. Le prove recate da uomini eruditissimi, antiche o recenti, prese dalla storia, da' libri di Dante, da documenti nuovi, son molte; ma il più, il molto più mi par sempre questo, che noi nel Divino Poema, sentiamo circolare uno spirito di vita, come sangue in viva persona: spirito vitale che manca necessariamente alle astrazioni, allegoriate con immagini artifiziose. L'estro non si accende, se non per amore di cose reali ed alte. Chi non sa invece, che Dante trasforma in demoni anche certe divinità infernali mitologiche: tanto avea bisogno di realtà? E anzi nel Convito (11, 1) parlando della significazione allegorica, nascosta nelle belle mensogne, in quella specialmente d'Orfeo che facea colla cetera mansuete le fiere e movea l'albori e le pietre, Dante non già la interpreta quasi sfornita di soggetto storico; bensì aggiunge, che il savio uomo con lo stromento della sua voce facea mansuescere e umiliare li crudeli cuori, e facea muovere a sè coloro che non avendo rita di scienza ragionevole alcuna, son quasi come pietra.

Stavano innanzi agli uomini di quel tempo, non soltanto gli esempi di siffatte interpretazioni mitologiche, non ignote nemmeno agli antichi Stoici ed Epicurei; sì, più particolarmente ancora, la interpetrazione letterale o non letterale. della Bibbia; e tenevano a mente che dividere la prima e la seconda tra loro, vien condannato dalla Chiesa. Perciò, in detto luogo del Convito, Dante prendeva com' esempio dei varj significati, le parole d'un salmo: nell'uscita del popolo d'Israele d'Egitto la Giudea è fatta santa e libera. E aggiunge: che avvegna essere vero secondo la lettera, sia manifesto; non meno è vero quello che spiritualmente s'intende, cioè che nell' uscita dell' anima del peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate. Nella quale interpretazione, sta tutto l'intendimento spirituale della Divina Commedia. E l'Alighieri prosegue a dire, che lo litterale dee andare innanzi, come quello nella cui sentenza gli altri sono inchiusi. Va notato poi, che agli uomini d'allora, e a Dante in modo particolare, l'Universo intero, avente in sè realtà di cose bene ordinate, pareva simboleggiasse cose reali più eccelse, Dio, gli Archetipi eterni, le Creature angeliche, la Vita futura. Tutto quanto è dunque un sistema di concepire la Natura e il Soprannaturale, la Scienza, la Vita, la Poesia; e indi procede per noi la certezza fermissima che Beatrice sembrò a Dante così nobile creatura da potersi elevare a simbolo di Sapienza.

Il gran Poeta, uomo di passioni ardenti, è passionato anche nell'amore della verità e della giustizia. Nel Convito, affermando, egli nobile, che la nobiltà non viene da stirpe d'origine oscura, ma da virtù, a un tratto esclama: che, a' contradittori di ciò, si vorrebbe rispondere col coltello. (Conv. 1). I sensi tirano il cuor di lui a più parti; chè i suoi amori, dopo quello di Beatrice, paiono chiari nel Canto XXIII e nel xxxi del Purgatorio, e nel Trattato primo del Convito;

ma l'idea del bene, gli sfavilla d'innanzi, e il perfezionamento proprio ed altrui gli apparisce di sublime amabilità: egli è combattuto, travìa, ma gli occhi si volgono sempre a quel punto in cerca di pace. Però, mortagli Beatrice, va alle scuole de' religiosi, com' ei narra nel Convito, e studia Filosofia e Teologia. Or che cosa gli accadde? Il vero, già trovato, se ti fermi a considerarlo, ha una sua bellezza; bellezza d'intellettuale perfezione in ogni e singola verità, primo fulgore di bellezza nell'ordine loro; e l'uomo di fervida fantasia se ne commuove, veste d'immagine i concetti, e nella bellezza loro s'esalta piucchè nella lor verità, cioè considera il vero in quanto e' trae ad ammirazione: ed ecco la Poesia. della Sapienza.

Allora nell'animo dell'Alighieri, per ispontaneità del suo ingegno, le astratte contemplazioni s'unirono all' usate fantasie ed agli affetti più cari; l'amante, il cittadino, l'uomo di parte s'unificò in unità nuova coll'alto contemplatore, e tutto divenne simbolo senza perdere la realtà. Egli vide in Beatrice la Donna sua, e ad un tempo la sapienza di Dio; in Virgilio il suo Poeta ed insieme la ragione dell' Uomo; ne' tre Regni sovrannaturali, oltre la Religione, vide mali, rimedj e perfezionamento di sè, della Patria, del Genere umano: ogni cosa in un tutto, senza togliergli nulla; idea, immagine, affetto, simbolo e realtà, verosimiglianza e storia, fede e ragione, filosofia e poesia, scienza ed arte, la santità e l'affetto della terra, il contemplatore, il soldato di Campaldino, il Priore di Palagio, l'esule iracondo, il guelfo della Chiesa e del suo Comune, il ghibellino dell'Impero, il sapiente che fa parte da sè stesso; ogni idea, ogni passione, ogni stile, tal è l'Alighieri. Chi divide alcunchè da questa unità, non lo riconosce più, non intende un fatto che sorge dalla natura dell'uomo.

Così nel Convito, come nel Poema Sacro, la sapienza è per Dante una bellissima donna; e pur così ella è personificata nel Libro Scritturale di quel nome. Il cuore porge a Dante di questa donna un'immagine ch'è Beatrice sua, amata d'amore innocente, negli anni più innocenti, amore senza rimorsi, e che lo rimorde d'amori men puri; amore tutto di spirito, nè contaminabile omai, perch'essa è con Dio. Perciò con quella spontaneità che nel pensiero di Dante le speculazioni prendono forma di persone vive, queste gli ragionano d'alta dottrina; nè i ragionamenti vi si fanno da sè soli come nella Poesia Insegnativa comune; ma formano parte del dramma, ch'empie, non che la fantasia, tutte le facoltà, tutto l'animo del Poeta. Ecco il perchè non può gustare Dante appieno chi non abbracci nel pensiero la vita, l'arte, la scienza di quei tempi; viva unità, che si ripete nel Fiorentino.

Con verità pertanto, e secondo la Storia, ho detto da principio che le due Gentildonne si fondarono, e con loro il De Gubernatis, sulla verità e sulla storia. Così ho risposto al dubbio se Beatrice fosse allegorìa soltanto. E alla domanda, che cosa mai ella fece da meritare una sì solenne commemorazione, do la risposta di Dante che la confessa, in ogni opera, ispiratrice sua. Qual più alta benemerenza che potersi chiamare la musa celeste del Poema Sacro? E dove si dice dai dubitatori: chi avrebbe mai saputo di lei se Dante non l'avesse nominata ed esaltata?, rispondo: in ciò stare la lode di Beatrice, che Dante la nominava ed esaltava per modo, da immedesimarne il nome col suo e colla propria gloria.

Il concetto della Pozzoli e della Ferrari si compisce in quello del Professore De Gubernatis. Le Gentildonne vollero festeggiare Beatrice collocandone il busto nella casa di Dante, scolpito dal Sodini con forme sì gentili e pure, che sembra non altrimenti le avesse proprio la Donna

venuta

di cielo in terra a miracol mostrare.

Pubblicarono altresì un volume (Successori Le Monnier Firenze, 1890) tutto di Scrittrici, tutte di molto merito, alcune di segnalatissimo; e basterebbe ricordare la Contessa Ersilia Lovatelli Caetani, e la Ferrari, che al volume preludeva colla storia importante del vi Centenario dalla morte di Beatrice. Mi piace notare che i sorridenti d'ogni cosa, sorridono ancora, quando si parla della casa di Dante, e la si mostra a dito; quasichè volessimo affermare che quelle due stanzuccie, ove, accanto al busto del Divino Poeta, collocavasi l'altro di Beatrice, fossero proprio la camera e l'anticamera del grand' uomo. Ma viceversa sulla porta palesemente antica di quella casuccia è scritto casa, non camera. E veramente quella contenevasi nelle Case degli Alighieri che abitavano non più di cinquanta passi lontani dai Portinari, le Case dei quali erano dov'è ora il palazzo Ricciardi, già de' Duchi Salviati, in via del Corso, presso il canto de' Pazzi; e quelli abitavano sulla piazza di S. Martino, e precisamente in sull'angolo della via che conduce a Santa Margherita, e le loro Case (che più d'una ne possedevano) rispondevano a tergo in sulla piazza de' Donati altrimenti della Rena. Così Pietro Fraticelli nell'edizione della Vita Nuova, (Firenze, Barbèra, 1857). Tutto ciò è ormai notissimo e dimostrato con documenti, che il Passerini e il Frullani pubblicarono pel Centenario di Dante, se bene ricordo. Speriamo che il Municipio fiorentino acquisterà in parte o in tutto le Case predette, affinchè vi si possa istituire una miglior sede alla memoria del Sommo Concittadino, e agli Studi danteschi.

Il De Gubernatis, allargando vastamente l'idea delle due Signore, opinò che l'onore massimo a Beatrice fosse questo, di far vedere a chiunque ami la Patria nostra come in Italia.

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