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role: Vide cor tuum. E quando egli era stato alquanto, pareami che disvegliasse questa che dormia e tanto si sforzava per suo ingegno, che le facea mangiare quella cosa che in mano gli ardeva, la quale ella mangiava dubitosamente. Appresso ciò poco dimorava che la sua letizia si convertia in amarissimo pianto: e così piangendo si ricogliea questa donna nelle sue braccia, e con essa mi parca che se ne gisse verso il cielo; ond' io sostenea sì grande angoscia, che lo mio deboletto sonno non potè sostenere, anzi si ruppe, e fui disvegliato. Ed immantinente cominciai a pensare, e trovai che l' ora nella quale m' era questa visione apparita, era stata la quarta della notte; sì che appare manifestamente, ch' ella fu la prima ora delle nove ultime ore della notte. E pensando io a ciò che m' era apparito, proposi di farlo sentire a molti i quali erano famosi trovatori in quel tempo e conciofossecosach' io avessi già veduto per me medesimo l'arte del dire parole per rima, proposi di fare un sonetto, nel quale io salutassi tutti i fedeli d'Amore, e pregandoli che giudicassono la mia visione, scrissi loro ciò ch' io avea nel mio sonno veduto; e cominciai allora questo sonetto:

A ciascun' alma presa e gentil core,

Nel cui cospetto viene il dir presente,
A ciò che mi rescrivan lor parvente,
Salute in lor signor, cioè Amore.
Già eran quasi ch'atterzate l'ore

Del tempo ch'ogni stella è più lucente,
Quando m' apparve Amor subitamente,
Cui essenza membrar mi dà orrore.

Allegro mi sembrava Amor, tenendo

Mio core in mano, e nelle braccia avea
Madonna, involta in un drappo, dormendo.
Poi la svegliava, e d'esto core ardendo
Lei paventosa umilmente pascea:
Appresso gir lo ne vedea piangendo.

A questo Sonetto fu risposto da molti e di diverse sentenze; tra li quali fu risponditore quegli cui io chiamo primo de' miei amici; e disse allora un sonetto il quale comincia: Vedesti, al mio parere, ogni valore. E questo fu quasi il principio dell'amistà tra lui e me, quando egli seppe ch' io era quegli che gli avea ciò mandato. Il verace giudicio del detto sonetto non fu veduto allora per alcuno, ma ora è manifesto alli più semplici.

§ IV.

Dante ne soffre nella salute, e non può nascondere altrui che amor n'è cagione; non però dice per chi.

Da questa visione innanzi cominciò il mio spirito naturale ad essere impedito nella sua operazione, perocchè l'anima era tutta data nel pensare di questa gentilissima: ond' io divenni in picciolo tempo poi di sì frale e debole condizione, che a molti amici pesava della mia vista; e molti, pieni d' invidia, già si procacciavano di sapere di me quello ch' io voleva del tutto celare ad altrui. Ed io, accorgendomi del malvagio domandare che mi faceano, per la volontà d'Amore, il quale mi comandava secondo il consiglio della ragione, rispondea loro, che Amore era quegli che così m'avea

governato: dicea d' Amore, perocchè io portava nel viso tante delle sue insegne, che questo non si potea ricoprire. E quando mi domandavamo: per cui t'ha così disfatto questo Amore? ed io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro.

§ V.

Coglie anzi opportunità di far credere, che altra sia la donna dell' amor suo, e non Beatrice. E così gli vien fatto per alquanti anni e mesi.

Un giorno avvenne, che questa gentilissima sedea in parte ove s'udiano parole della Regina della gloria, ed io era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine; e nel mezzo di lei e di me per la retta linea sedea una gentile donna di molto piacevole aspetto, la quale mi mirava spesse volte, maravigliandosi del mio riguardare, che parea che sopra lei terminasse; onde molti s' accorsero del suo mirare. Ed in tanto vi fu posto mente, che partendomi di questo luogo, mi sentii dire appresso: "Vedi, come cotale donna distrugge la persona di costui?" e nominandola, intesi che diceano di colei che mezza era stata nella linea retta che movea dalla gentilissima Beatrice, e terminava negli occhi miei. Allora mi confortai molto, assicurandomi che il mio segreto non era comunicato, lo giorno, altrui per mia vista: ed immantinente pensai di fare di questa gentile donna schermo della verità; e tanto ne mostrai in poco di tempo, che il mio segreto fu creduto sapere dalle più persone che di me ragionavano. Con questa donna mi

celai alquanti anni e mesi; e per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui, se non in quanto facesse a trattare di quella gentilissima Beatrice; e però le lascierò tutte, salvo che alcuna cosa ne scriverò, che pare che sia loda di lei.

§ VI.

Mette il nome di Beatrice fra quello di sessanta donne le più belle di Firenze, e in una serventese non gli può dar luogo in altro numero che nel nono.

Dico che in questo tempo che questa donna era schermo di tanto amore, quanto dalla mia parte, mi venne una volontà di voler ricordare il nome di quella gentilissima, ed accompagnarlo di molti nomi di donne, e spezialmente del nome di questa gentildonna ; presi i nomi di sessanta le più belle donne della cittade, ove la mia donna fu posta dall' altissimo Sire, e composi una epistola sotto forma di serventese, la quale io non scriverò, e non n'avrei fatto menzione, se non per dire quello che componendola maravigliosamente addivenne, cioè che in alcuno altro numero non sofferse il nome della mia donna stare, se non in sul nove, tra' nomi di queste donne.

§ VII.

Parte colei che faceva difesa al suo amore; e scrive un sonetto, in cui si duole di questo; e ciò per confermare l'altrui credenza.

La donna, con la quale io avea tanto tempo celata la mia volontà, convenne che si partisse della sopradetta cittade, e andasse in paese lontano: per che io quasi sbigottito della bella difesa che mi era venuta meno, assai me ne disconfortai più che io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che, se della sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte più tosto del mio nascondere, proposi di farne alcuna lamentanza in un sonetto, il quale io scriverò, perciocchè la mia donna fu immediata cagione di certe parole, che nel sonetto sono, siccome appare a chi lo intende: e allora dissi questo sonetto:

O voi che per la via d' Amor passate,
Attendete, e guardate

S'egli è dolore alcun, quanto il mio, grave:
E priego sol ch' udirmi sofferiate;

E poi immaginate,

S'io son d'ogni tormento ostello e chiave.

Amor, non già per mia poca bontate,

Ma per sua nobiltate,

Mi pose in vita sì dolce e soave,

Ch' io mi sentia dir dietro spesse fiate:

Deh! per qual dignitate

Così leggiadro questi lo cor àve?

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