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gentilissima Beatrice. E dico che d'allora innanzi cominciai a pensare di lei sì con tutto il vergognoso cuore, che li sospiri manifestavano ciò molte volte; perocchè quasi tutti diceano, nel loro uscire, quello che nel cuore si ragionava, cioè lo nome di quella gentilissima, e come si partio da noi. E molte molte avvenia, che tanto dolore avea in sè alcuno pensiero, che io dimenticava lui e là dov'io era. Per questo raccendimento di sospiri, si raccese lo solennato lagrimare in guisa, che li miei occhi pareano due cose che desiderassero pur di piangere; e spesso avvenia, che per lo lungo continuare del pianto, dintorno a loro si facea un colore purpureo, lo quale suole apparir per alcuno martire ch'altri riceva: onde appare che della loro vanità furono degnamente guiderdonati; si che da indi innanzi non poterono mirare persona che li guardasse, sì che loro potesse trarre a simile intendimento. Onde io volendo che cotal desiderio malvagio e vana tentazione paressero distrutti, sì che alcuno dubbio non potessero inducere le rimate parole ch'io aveva dette dinanzi, proposi di fare un sonetto, nel quale io comprendessi la sentenzia di questa ragione. E dissi allora :

Lasso! per forza de' molti sospiri,

Che nascon de' pensier che son nel core,
Gli occhi son vinti, e non hanno valore
Di riguardar persona che li miri:

E fatti son, che paion due disiri

Di lagrimare e di mostrar dolore;
E spesse volte piangon sì, ch' Amore
Gli cerchia di corona di martiri.

Passande

Questi pensieri, e li sospir ch'io gitto,
Diventan dentro al cor sì angoscïosi,
Ch' Amor vi tramortisce, sì glien duole;
Però ch'egli hanno in sè li dolorosi
Quel dolce nome di Madonna scritto,
E della morte sua molte parole.

§ XLI.

per Firenze i peregrini a venerare la Veronica in Roma, Dante scrive per essi un sonetto, accennando che la mestizia della città è cagionata dalla morte di Beatrice.

Dopo questa tribolazione avvenne (in quel tempo che molta gente andava per vedere quella imagine benedetta, la quale Gesù Cristo lasciò a noi per esempio della sua bellissima figura, la quale vede la mia donna gloriosamente), che alquanti peregrini passavano per una via, la quale è quasi in mezzo della città, dove nacque, vivette e mori la gentilissima donna; e andavano, secondo che mi parve, molto pensosi. Ond' io, pensando a loro, dissi fra me medesimo: "Questi peregrini mi paiono di lontana parte, e non credo che anche udissero parlare di questa donna, e non ne sanno niente; anzi i loro pensieri sono d' altre cose che di queste qui; chè essi forse pensano delli loro amici lontani, li quali noi non conoscemo." Poi dicea fra me medesimo: "Io so, che se essi fossero di propinquo paese, in alcuna vista parrebbero turbati, passando per lo mezzo della dolorosa città." Poi dicea fra me stesso: "Se io li potessi tenere alquanto, io pur gli farei piangere, anzi ch'essi

uscissero di questa città, perocchè io direi parole le quali farebbero piangere chiunque le udisse." Onde, passati costoro dalla mia veduta, proposi di fare un sonetto, nel quale manifestassi ciò ch' io avea detto fra me medesimo: ed acciocchè più paresse pietoso, proposi di dire come se io avess parlato loro; e dissi questo sonetto, il quale comincia:

Deh! peregrini, che pensosi andate
Forse di cosa che non v'è presente,
Venite voi di sì lontana gente,
Com' alla vista voi ne dimostrate?
Chè non piangete, quando voi passate
Per lo suo mezzo la città dolente,
Come quelle persone che neente
Par che intendesser la sua gravitate?
Se voi restate per volere udire,

Certo lo core ne' sospir mi dice,
Che lagrimando n' uscirete pui.
Ella ha perduto la sua Beatrice;

E le parole ch' uom di lei può dire,
Hanno virtù di far piangere altrui.

§ XLII.

Pregato poi da gentili donne di alcune delle sue rime, manda loro il sonetto precedente col sonetto Fenile a intender ec., accompagnandoli tutti e due col nuovo sonetto.

Poi mandaro due donne gentili a me, pregandomi che io mandassi loro di queste mie parole rimate: ond' io, pensando la loro nobiltà, proposi di mandar loro e di fare una cosa nuova, la quale io mandassi loro con esse, acciocchè più onorevol

mente adempissi li loro prieghi. E dissi allora un sonetto il quale narra il mio stato, e mandailo loro col precedente sonetto accompagnato, e con un altro che comincia: Venite a intender. Il sonetto il quale io feci allora, comincia:

Oltre la spera che più larga gira,

Passa il sospiro ch' esce del mio core;
Intelligenza nova, che l'Amore

Piangendo mette in lui, pur su lo tira.
Quand' egli è giunto là dove 'l disira,
Vede una donna che riceve onore,
E luce sì, che per lo suo splendore
Lo peregrino spirito la mira.
Vedela tal, che quando il mi ridice,
Io non lo intendo, sì parla sottile
Al cor dolente, che lo fa parlare.
So io che 'l parla di quella gentile,

Però che spesso ricorda Beatrice,

sì ch'io lo intendo ben, donne mie care.

§ XLIII.

Finalmente è preso da una mirabile visione, e termina I' opera; protestando che deliberò di non dir più di Beatrice, sino a che non gli venga fatto di poter dire di lei quello che mai non è stato detto di alcuna.

Appresso a questo sonetto, apparve a me una mirabile visione, nella quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dir più di questa benedetta, infino a tanto che io non potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com'ella sa veracemente. Sicché, se piacere

sarà di Colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita per alquanti anni perseveri, io spero di dire di lei quello che mai non fu detto d'alcuna. E poi piaccia a colui ch'è Sire della cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria della sua Donna, cioè di quella benedetta Beatrice che gloriosamente mira nella faccia di Colui Qui est per omnia sœcula benedicíus.

FINE.

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