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e pacato intelletto dell'Alighieri si lasciasse così traportare dalla fantasía, che ponesse in dimentico nel simboleggiare la sua Matelda le ragioni e i legami dell' universale allegoría. Or questa chiedeva che l'amore figurato in Matelda fosse non solo amore dell' uomo singolo, si anche dell' intera umanità; amore, che nella sua fiamma divina consumando ogni mala radice di scandalo e d'ira, ridurrebbe tutti i popoli a quella giocondissima pace, ultima dolcezza e perfezione di vita, ond' è immagine bella il terrestre paradiso. Ma perchè Dante potesse prendere Matilde a simbolo di siffatto amore, occorreva ch' ei la considerasse aiutatrice di Gregorio nella terribile pugna del nuovo spirito di Cristo col dèmone d' una civiltà barbogia e corrotta. In fatto (se ben si guardi con la mente sana) la Matelda dantesca, corrente lieve come spuola sull' acqua d' Eunoè, rivo celeste che insapora del bene le anime pure, è palese ricordo della Matilde storica, che soccorre del suo verginale affetto al forte pensiero di Gregorio, educando con lui nella civil compagnía la coscienza della giustizia, che altri potrebbe definire il sapore del bene. E anco nei tempi, in cui la Contessa ebbe a vivere, pose mente il Poeta, ben sapendo come i tempi sieno cimento degli uomini. Tenebre fitte erano a quei dì sulla terra, e il tumulto delle ire e delle pugne feroci s' aggirava intorno al quieto

santo petto della grande Matilde, come

il tumulto delle voci e dei suoni infernali intorno al capo del Poeta: onde la dolce melodía corrente per l'aere luminoso di quel felice soggiorno, ove Dante pone la gloriosa Contessa, se da una parte ben s'addice alla bella donna, siccome a simbolo dell' amore, che vive di luce di verità e d' armonía di voleri, dall' altra ne muove ad opportuno raffronto dei tempestosi principî della cristiana città con la sua lieta e tranquilla fine, che Matilde quasi adombrava nella ferma letizia dell' animo suo: raffronto, per cui la virtù di questa donna aggrandisce per modo, che ci sentiamo forzati a dire di lei quello, che Dante diceva della sua Beatrice: « Si è nuovo miracolo gentile. » Or chi reggeva l'animo di Matilde, chi ne teneva alto l'affetto, sì che la sua fiamma vitale non fosse affaticata mai da' venti delle umane passioni? Non altri che Ildebrando.

Detto di Matilde, facciamoci a Damiano. Fin dalla sua gioventù il Poeta, severo amatore della giustizia e dell' antico vivere cittadino, dovette porre amore al grande Benedettino, che, pugnando con la spada dello spirito, ch'è la parola di Dio, 1 contro i chierici simoniaci e concubinarî, richiamava i popoli all' antica semplicità ed ischiettezza di vita e che, toccando della gran lite tra la Chiesa e l'Imperio, nettamente partiva le ra

1 San Paolo, Epistola agli Efesini, VI, 17.

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gioni di Cesare da quelle di Dio: poi, fatto esule, quando trasse a' silenzî dell'eremo avellanese e sull' alto giogo del Catria riposò del suo vago e doloroso cammino, egli ebbe quasi a conversare con lo spirito di Damiano, e forse nella viva luce di lui rallegrava e avvalorava l'intima vista dell' anima. Ma questo amore dell' uomo non bastava perch' e' potesse, non che ricordarlo con affetto, porlo tra que' contemplanti operatori di civiltà, che si stanno nel settimo splendore, raggiante sotto il petto del Lione ardente, e di più trarlo a parlare con lui prima del grande Archimandrita degli Ordini religiosi dell' occidente; dico di Benedetto, che nell' umana compagnía rinnovò la verginità della mente e lo schietto amore di una spirituale bellezza. A tanto si condusse il Poeta, perchè considerò Damiano non soltanto come il solitario abitatore dell' eremo, contento ne' pensier contemplativi, ma come altresì il vescovo battagliero, il primo cooperatore del cardinale Ildebrando nella preparazione ad opera capitale di civiltà: e poichè in siffatta preparazione la luce dell' amore irraggiata da Benedetto, pugnando col tenebroso amore de' sensi, sfolgorò più che mai a rallargare il cuore dell' umana famiglia, bene il Poeta, prima che in Benedetto, fa

1 Vedasi nelle opere di Damiano il Dialogo fra un regio Avvocalo e un Difensore della Chiesa.

2 Parad., XXI. Il Lione ardente simboleggia fortezza e ardore di vigilante operosità.

d'avvenirsi in Damiano, che nella coscienza di lui sorgeva più pronto e più vivo. Nè altrimenti poteva considerarsi Damiano, s'egli stesso in una sua epistola a Ildebrando così giudicava di sè: « .... In tutte le tue battaglie e vittorie, meglio che fratello d'arme o seguace, io m'avventai come folgore. A qual contesa mai ti mettevi, dove io non fossi contendente e giudice?... » 1

E qui, volgendo e fermando ogni considerazione al primo intento, come corda all' aspo, io dico: ravvisati nella Matilde e nel Damiano glorificati da Dante i due poderosi cooperatori dell' opera ildebrandiana, non è più a dubitare del grande amore, che il Nostro dovette porre in quell'opera e nel Magnanimo che l'operò. Invero chi mai, sano della mente, vituperando un' impresa, ne porrebbe in cielo i ministri? E chi, avendo in pregio cotesta impresa, ne terrebbe a vile l'operatore? Nondimeno, a questo mio franco affermare altri potrebbe contradire, opponendo che, se Dante avesse voluto glorificare Gregorio VII, e' non si sarebbe rimasto dal farne lode aperta e che l'averne quasi schivato il nome è chiara prova, se non di vituperio, certo di noncuranza. Ma questo argomento, sebbene assai grave, non parmi di tanto peso che vinca quello di ogni altro recato da me. Innanzi tratto, pongasi mente che, se di tutte le grandi cose (opera

1 Liber II Epistolarum, ep. VIII.

meglio dell' umana specie che dell' uomo) può dirsi vano ricordarne l'autore, questo più specialmente vuole esser detto delle grandi riforme: lo spirito dell' umanità con lento lavorio le prepara nel segreto della sua coscienza; l'uomo deputato da Dio scruta in quel segreto e, avvisata la virtù che vi s' asconde, l' addita e la trae ad atto di comune felicità. Or Dante, così acuto di mente e così largo di cuore, còlse le più riposte ragioni dell' opera d' Ildebrando, e nella parola di lui sentì l'affetto ardente, quasi dissi alato, dell' umanità, che, rapita negli albóri di un nuovo giorno, si drizzava animosa verso i lieti gioghi della sua perfezione. Poi, se dal tacere potessimo pigliare argomento di noncuranza o di spregio, dovremmo dire che il Nostro curasse ben poco anco il grande Agostino, non avendone tócco se non di volo e senza lode: eppure vediamo che cercò il suo maggior volume con grande studio e che ne trasse, non ch' altro, il principio sommo della sua Commedia; la partizione delle due città, terrestre e divina, secondo che l'amore s'appunti nell'uomo o in Dio. Ma quale più vivo segno di riverenza e d'affetto verso alcuno, che

1

<< Quell'avvocato de' tempi cristiani,
Del cui latino Agostin si provvide.
Parad., X.

<< Francesco, Benedetto ed Agostino.

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1

Parad., XXXII.

2 Città di Dio, XIV, 28.

FRANCIOSI.

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