Sayfadaki görseller
PDF
ePub

APPENDICE

PENSIERI DANTESCHI INTORNO ALLA SCIENZA

DELLE RAGIONI SUPREME DELLA STORIA

4

Siccome ogni evento, tanto naturale quanto civile, da Dio procede e a Dio si riduce; così la cognizione delle cose nella scienza della divinità si trova impressa e delineata. » GRAVINA.

Chi si faccia a riguardare con istudio d' amore le meraviglie di Leonardo o di Michele divino, viene in natural desiderio di conoscere qual fu la mente di quei sommi intorno alle cose dell' arte; non tanto a trarne documento per fare, quanto a meglio addentrarsi nelle più segrete bellezze di quel ch' essi fecero. Così occorse a me, che, postomi a studiare di quella meravigliosa filosofia della storia, ch'è saldo fondamento al sublime edificio della Divina Commedia, non mi rimasi a questo, ma si ricercai qual fosse la mente dell' Alighieri intorno alla filosofia della storia, considerata in sè; nobilissima scienza, che per un verso o per

FRANCIOSI

13

l'altro fu sempre l'amore e la cura de' più generosi intelletti, Nè la mia paziente ricerca falli in tutto al suo scopo: chè certi principî supremi pur mi fu dato trovare; i quali io pongo qui, come appendice utilissima alle cose discorse.

1. La rivelazione è fondamento necessario d'ogni scienza morale e massime della filosofia della storia.

<< Matto è chi spera che nostra ragione
Possa trascorrer l'infinita via,

Che tiene un sustanzia in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
Chè, se potuto aveste veder tutto,
Mestier non era partorir Maria. »
Purg., III.

La norma del divino operare, o il governo soprannaturale delle cose create, non può conoscersi dall' umana ragione per sè; chè l' infinito in cosa finita non cape. Di qui Dante bellamente deduce e la convenienza di porre un freno al nostro desiderio di sapere e la necessità della rivelazione, come fondamento d'ogni scienza morale e massime della filosofia della storia; il cui subietto è da lui più specialmente toccato in quell' infinita via, Che tiene una sustanzia in tre persone. Nè a questo si stette contento; ma nel Paradiso, ponendo in bocca a Beatrice, divina sapienza, un' ampia

dimostrazione del naturale difetto delle umane facoltà, tornò ad affermare con più vivezza: Lume non è, se non vien dal sereno,

Che non si turba mai; anzi è tenèbra,

Od ombra della carne, o suo veleno. 1

2

Dove, se ben si noti, è tacita ammonizione di staccarci da ogni cosa terrena, affinchè con occhio chiaro, come senz' ombra di carne, e con affetto puro d'ogni carnale veleno possiamo volgere e afforzare la mente in quel Lume, che solo ha virtù di farci acuti nella vista del divino. A queste sentenze dantesche è nobile rispondenza e conforto la coscienza dell'intera Cristianità, testimonio quel caro volume dell' Imitazione, che fragranti ne accolse, come riposto mèle, le segrete ispirazioni e gli affetti in tempi d' espiazione operosa. La coscienza, ch' io dico, ebbe interpreti di fatto in tutti i tempi i più solenni intelletti, che s'abbellissero del lume di Cristo; e alcuno di questi, non contento del fatto, venne ad aperte parole. Cosi Paolo, mentre nell' Epistola ai Romani, riguardando alla debolezza dell' umana ragione abbandonata a sè stessa, dice incomprensibili i giudici di Dio e non vestigabili le sue vie, in

1 Parad., XIX. 2 Lib. I, 3: << Da un solo Verbo sono tutte le cose, e tutte un solo Verbo ci dicono; e questo è il Principio, che parla anche a noi. Niuno intende senza di lui, o giudica dirittamente. » Mi valgo del volgarizzamento di Cesare Guasti, che ogn' altro vince per semplicità e per affetto.

8 XI, 33.

1

altra a quei di Corinto, ricordando l'onnipotente virtù del Cristianesimo, afferma i Cristiani ricchi in ogni dono di parola e in ogni scienza. E i Padri tutti, ovunque lo porgesse l'occasione, non lasciarono di additare in Cristo una ricchezza inesauribile di verace sapere. 2 A' nostri giorni poi larga schiera di valorosi, stretti da più vivo bisogno, ha difeso a viso aperto la necessità della rivelazione divina; tra' quali il nostro Gioberti, sostenendo questa necessità rispetto alla filosofia della storia, disse una ricca parola: « L'ordine soprannaturale (che la rivelazione ne fa conoscere) è la sola chiave atta ad aprire e dichiarare perfettamente la storia ideale del genere umano. » 3 Ma a che vo cercando autorità di sapienti dettati qui, dove è luce chiarissima di meravigliosa evidenza? Subietto d'ogni scienza è il vero, intendimento il bene. Ma possiam noi per noi stessi, allontanando il pensiero e l'affetto dalle false ombre della carne e da ogni rea cosa terrena, come il Poeta ammonisce, levarci su nel vero e nel bene? No. Perchè veramente sappiamo e degnamente operiamo, è a noi necessaria una luce sincera, procedente da quel sereno,

Che notte o nube mai non toglie o scema.

1 Prima a' Corintii, I, 5.

2 Veggasi specialmente Agostino (De Trinit., XIII, 24; De Cons. Evang., 1, 35; Ep., CLV; Confess., passim) e Bernardo (In Cant. Serm., XXII, 5-6; LXIX, 4; LXXXV, 7).

3 Introduz. allo studio deila filosofia, cap. VIII.

Come l'occhio e il il piede dell' uomo mal potrebbero operare, se lo splendido firmamento non ischiarasse le tenebre della terra; così l'intelletto e l'animo dell' umanità mal saprebbero da sè incamminarsi al vero e al bene, se la luce della rivelazione non soccorresse a illustrarli. Ond' è che rivelazione fu sempre: dopo il peccato, esteriore per le Scritture; innanzi al peccato, interiore per ispirazione, secondo che su quel della GENESI: Perocchè non ancora Iddio avea piovuto sulla terra, nè era uomo che v'adoperasse, va discorrendo Agostino. « Innanzi al peccato (egli dice) Iddio, creato ogni albero della campagna ed ogn' erba, in che avvisammo significata una creatura invisibile (l'anima nostra), quella irrigava con interiore fontana, parlando nell' intelletto di lei. » E noi, combattuti nell'animo e tratti a terra da questo grave corpo, eredità della colpa, non riconosceremo come necessaria quella rivelazione, che in più alto modo, secondo ch' era degno, soccorse al nostro primo padre anco nella serenità verginale del suo spirito e nella incorrotta purità del suo corpo? Davvero è grande la cecità delle menti superbe. Se non la propria coscienza, almen ci punga e rimuova dal turpe errore il pensiero degli avi, la ricordanza della nostra fanciullezza nella civiltà e nella scienza. Non facciamo come agnel, che lascia il latte

1 De Gen. ad Manich., II, 5.

« ÖncekiDevam »