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nali, dimentichi della dottrina e de' costumi dei Padri, gridava: « Vivit Dominus » 1, e ai reggitori dei popoli: È scritto nel libro di Sapienza: Amate il lume di sapienza voi, che siete dinanzi alli popoli: e il lume di sapienza è essa verità, che raggia da Dio, sole spirituale e intelligibile.

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Chi ben consideri l'alto concetto di questa dantesca monarchia, figura di quella invisibile, che tiene sull' umanità una sustanzia in tre persone, vedrà come, a senno di Dante, non meriti nome e dignità di monarca chi la giustizia diparta, anco per poco, dal suo governo. Lo stesso può ripetersi di ciascun reggitore di gente o città, sia re, console o duca; poichè come dalla suprema monarchía gli viene autorità d'imperare, così da essa gli deriva quell'ottima norma di giustizia, onde si reggon gl' imperî. Nell' anima del fiorentino Poeta suonava potente la parola di Agostino: « I Regni senza giustizia esser grandi ladroneggi: »4 però nel Paradiso da spiriti luminosi, congiunti in quel segno, « che fe' i Romani al mondo reverendi,» fa giudicare i malvagi reggitori de' popoli; e tocca prima di Alberto tedesco re de' Romani, poi di Filippo il Bello e di Edoardo I d'Inghilterra e di Roberto di Scozia e di Alfonso di Castiglia e di Vincislao

1 Epistola ai Cardinali italiani.

2 Conv., IV, 16.

3 Ivi, III, 12.

Città di Dio, IV, 4.

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di Boemia e di Carlo II di Puglia e di quei di Portogallo e di Norvegia e di quel di Rascia, che « male aggiusta il conio di Vinegia. » Nè si rimane dal gridare con vigoroso affetto: « O beata Unghería, se non si lascia Più malmenare! E beata Navarra, Se s'armasse del monte che la fascia. » 1 Sacra era a Dante la monarchia universale, come tutela della giovane Cristianità e così necessaria preparazione a più libero reggimento; sacro l'ufficio dei re, chiamati a discernere della vera cittade almen la torre: ma se monarca o re non usasse a bene dell' alto suo ministero o peggio lo pervertisse e travolgesse al male, cessava a senno di lui ogni dignità e ogni bellezza di operazione imperiale o regia, e i popoli bene avrebber potuto levarsi contro la mala signoría, che, prevaricando, li accuorasse. Dopo questo parmi inutile aggiungere quanto il Nostro si avesse in ira que' reggitori, che trascorressero il confine del proprio ufficio: e se aperto contradisse a Federigo II, perchè, filosofando, trascorse in una stolta definizione della nobiltà, che dovett' egli sentire di quegli im

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1 Paradiso, XIX.

<< Non aspettar mio dir più, nè mio cenno:
Libero, dritto, sano è tuo arbitrio,

E fallo fora non fare a suo senno;

Perch' io te sopra te corono e mitrio. »

Purg, XXVII.

In queste parole, che Virgilio (umana sapienza, onde si giova il Monarca nel suo imperio) volge a Dante (umanità), è bellamente adombrata la verità ch' io accenno.

3 Conv., IV, 9, 10. Lo Scolari e il Fraticelli malamente intesero che Dante parli a questo proposito di Federigo I; il quale non fu

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altri ne dica, 1 della Grancontessa, amore di ogni anima gentile e studio d' ogni mente innamorata del vero e del bello: di lei, che alla destrezza politica e al guerresco ardimento seppe congiungere lo squisito senso dell' arte e la delicata umiltà de' pensieri e degli affetti: che, pugnando al fianco di Gregorio la gran battaglia della ragione contro la superbia de' sensi, pur ebbe a mente il povero e l'orfanello e la vedova; che valli e monti popolò di templi e di torri e di salutari edificî; di lei, che vive nella ricordanza del popolo come le sante delle leggende e ad un tempo come le più solenni eroine dei romanzi cavallereschi. Dante, nato del paese dell' arte e della gentilezza, amò di quella donna la fiorente gioventù dello spirito, lo studio del bello e l'umile accoglimento del cuore: cittadino

1 Alcuni tra' commentatori moderni, torcendo a senso ghibellino la dottrina di Dante, dànno il bando alla Contessa di Toscana, perchè nemica dell' Impero. << La ripugnanza (avverte il Selmi) a considerare quella famosa donna come prescelta ad una parte importante tra i personaggi allegorici del poema, derivò dalla consuetudine di giudicare Dante come Ghibellino nella sua dottrina, mentre egli ripudiò di appartenere a sètte e parlò dei Ghibellini con rimprovero non meno che facesse dei Guelfi. » (Del concetto dantesco, pag. 23.) Altri affermano che a Matilde di Toscana, matrona morta sessagenaria, mal si convengono il volto e la movenza giovanile della Matelda di Dante; ma costoro non pensano come nell'idea dell'artista naturalmente l'immagine storica vesta lume di gioventù e di bellezza. Anche l'antico Salmista uscì dalla fantasia del Buonarroti in forma di giovane atleta, spirante dalle membra bellissime il vigore sereno degl' inni; e se Vincenzo Consani amò dare a Matilde la matronale maestà di Lucrezia e di Cornelia, il mio Giovanni Duprà nel Trionfo della croce ben la immagino dantescamente leggiadra, in atto verginale, umile e vereconda.

e ramingo, ne amò la pietosa larghezza e la munificenza regale: cantore della rettitudine, l'ardente affetto della giustizia e la volontà operosa del bene. E chi non sente quasi un'aura di affettuosa riverenza verso Matilde là dove Cacciaguida ricorda il viver bello e la cittadinanza fida de' tempi, in cui la Contessa governava Firenze? Chi non lo sente in quei versi divini, che dipingono la gentile abitatrice del paradiso terrestre? Pia, vereconda, contemplativa, ella canta e ride e onestamente gli occhi avvalla e manda un vivo lume dal volto; 2 ma come alla serena contemplazione la buona Contessa volle congiunto l'animoso e vario operare, così questa divina Matelda va iscegliendo fior da fiore, Ondera pinta tutta la sua via: 3 scelta, che lo stesso Poeta attribuisce a Lia, manifesto e antico simbolo della vita operativa. Non è dunque a meravigliare se di questa donna ei fece uno dei più alti simboli della sua Commedia; la donna dell'amore, che avviva il senno e la mano, la scienza e l'arte: 5 non è a meravigliare, pensando come l'innamorata fantasía tenda a levare in cima d'ogni beilezza quanto ella vagheggi; ma neppure è da credere che quell' alto

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