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cacciata dalla donna onesta (la verità insegnata da Cristo).

Nè i beni terreni per sè sono cagione di morte, ma l'amarli senza misura: e gli avari dell' Inferno, che da questo amore son vinti, pèrdono in eterno lo mondo pulcro, o, fuor di lettera, ogni bellezza di vita morale e civile; mentre gli avari del Purgatorio, che di quell'amore hanno lieta vittoria, per virtù d' espiazione e di sacrificio s' avviano a quella cima felice, onde scoppia vivo e spontaneo ogni più eletto germoglio.

Non credasi però che, restringendo all' umanità gentilesca il valore allegorico del moto della sfera vòlta in cerchio dalla Fortuna dantesca, io voglia far di questa una cosa colla Dea dei Gentili, stolta, cieca e ingiusta agitatrice della volubile ruota. La Fortuna dantesca è un' angelica mente, che va permutando i beni mondani con giudicio di sapienza e d'amore; e se gli uomini non secondino questo giudicio con discrezione di mente e con temperanza di cuore, non è da imputare a quella creatura beata, si all' umana stoltezza, che malamente trascorre nel desiderio o nell'uso di que' beni: i quali certamente sono buoni in sè e dono anch'essi di Dio.

Come poi i cieli, gli astri e 'l loro splendore sono al Poeta simbolo di cose spirituali; così qui la luce della sfera della Fortuna vuol' essere tolta a simbolo di luce intellet

tuale d'insegnamento: di quell' insegnamento, che viene agli uomini dalle grandi permutazioni de' beni terreni, da quelle fortunose vicende senza tregua di gente in gente, onde il sommo Duce delle nazioni, gastigando nella sua immutabile potestà la carne oltraggiosa de' popoli, preparava l'animo loro ad accogliere in sè la rivelazione della sua sapienza, perfettissimo lume, nella cui vista avrà lieta pace l'uomo e l'umanità.

3. La ragione abbandonata a sè stessa fu l'unica guida dell' umana famiglia innanzi Cristo.

<< Ma non cinquanta volte fia raccesa
La faccia della donna che qui regge,
Che tu saprai quanto quell' arte pesa. »
Inf., X.

Mentre nel Sole, che di sè veste le spalle al monte felice dell' umana perfezione, ravvisai figurato il Dio rivelatore, fonte di luce perenne alle menti create; or di rincontro nella luna, che del suo lume riflesso giova il Poeta per la selva fonda e pel cammino alto e silvestro della buca infernale, io veggo simboleggiata la virtù della ragione, lume riflesso del Volto di Dio, che non cessò mai, benchè affievolito, di alluminare l'umanità rovinante

al basso dell' errore e del vizio. Ma questo lume, fioco, mutabile e talor soverchiato dalle tenebre della carne, non bastava a ravviare l' uomo

verso l'altezza che aveva perduto; e un desiderio insaziabile consumò senza frutto i migliori spiriti dell' antichità. 1 Or siffatta impotenza occorreva, perchè l' umana ragione, partitasi dal sommo Sole del vero e del bene, volle farsi fonte di luce e unica dominatrice, a così dire, nel cielo delle menti umane. Onde il Poeta, tenendo d'occhio il suo intendimento allegorico, fa che Farinata ricordi la luna come la donna che regge nella città dolente: chè nè qui nè mai i danteschi accenni di mitología sono da recare a vano studio di facile erudizione, ma si ad utili avvedimenti morali o politici. Si avverta poi, siccome opportuno riscontro, che lo scendere del Poeta pe' burrati dell' Inferno è secondato dal venir meno della luna fino a mancargli affatto; 2 mentre al salire di lui sul monte del Purgatorio precorre il crescere della luce del Sole, che ognor più diritto lo ferisce e più vivo, finchè gli riluca nel bel mezzo della fronte, 3 a nobil segno

della vera e salda libertà della mente: e se

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là, cessando il fioco barlume lunare, si spegne ogni virtù vegetativa, e a' mali sterpi seguono i ghiacci eterni; qui, crescendo la ricca luce del Sole, si fa meraviglioso il buon vigor terrestre, e i fiori e l'erbe nascono senza seme e fan primavera perpetua intorno all' uomo rinnovellato.

4. Corrompimento perenne dell'antica civiltà.

<< Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,

Che tien volte le spalle inver Damiata,
E Roma guarda si come suo speglio.

Inf., XIV.

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La separazione de' due regni, la spiccata diversità delle due cittadinanze, in cui si discerne l'umanità, è il principio sommo della filosofia storica ispirata dal Cristianesimo. Or quella separazione, quella diversità sta massimamente nel diverso processo della vita: chè nell' una, generata della carne (seme di corruzione), la vita è un continuo corrompimento, è uno sfarsi lento lento, come per segreto veleno; nell' altra, generata dello spirito (vitalità senza fine), la vita è un meraviglioso accrescersi e invigorire per intima e poderosa fecondità. Or mentre questo accrescersi e in

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Desidiae virtus paulatim evicta senescit. » (Silio Italico lib. III, vv. 580, 581.) Nessuno, ch'io mi sappia, disse meglio il corrompersi della civile società romana.

vigorire è bellamente rappresentato a suo luogo, qui nell' Inferno il Poeta volle render figura di quel corrompersi e disfarsi a poco a poco non solo nel continuo aggravar delle colpe e rinfierire delle pene, ma anche in un'immagine a bella posta scolpita dalla sua fantasía. L'immagine, ch'io dico, è il gran Veglio, diritto dentro dal monte Ida, che, di fin' oro la testa, di puro argento le braccia e 'l petto, è di rame infino alla forcata; Da indi in giuso è tutto ferro eletto, Salvo che 'l destro piede è terra cotta; E sta 'n su quel più che in sull' altro eretto. Se la statua veduta in sogno da Nabuccodonosor diede già molta briga a' savi babilonesi, questa non ne ha dato meno all'infinita schiera de' Commentatori di Dante; e chi volle vedervi la successione degli imperî fino a quello d' Augusto (testa di fin'oro formata), chi le varie forme di governo civile, chi le quattro età mitologiche. Nessuno però ha avuto riguardo all' universale allegoría del poema e a quella speciale della prima Cantica; chè altramente, io credo, non sarebbesi lasciato di accennare come nel Veglio sia raffigurato il corrompimento perenne dell' umanità innanzi Cristo: il dirupare di questa dalla nobile integrità dell' innocenza (fin' oro) alla vanità della gloria e della potenza (argento), alla cupidigia delle ricchezze (rame), all' abuso della forza (ferro) e finalmente all'estrema viltà dei sensuali diletti (terra

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