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4I

Degli angeli che non furon ribelli Nè fur fedeli a Dio, ma per sè foro. Cacciarli i Ciel per non esser men belli : Nè lo profondo inferno gli riceve, Chè alcuna gloria i rei avrebber d'elli.' Ed io Maestro, che è tanto greve 43 A lor, che lamentar gli fa sì forte?' Rispose: Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte, 46 E la lor cieca vita è tanto bassa, Che invidiosi son d' ogni altra sorte. Fama di loro il mondo esser non lassa, 49 Misericordia e giustizia gli sdegna: Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.'

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Vede alla terra tutte le sue spoglie,
Similemente il mal seme d' Adamo : 115
Gittansi di quel lito ad una ad una,
Per cenni, come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l'onda bruna, 118
Ed avanti che sian di là discese,
Anche di qua nuova schiera s' aduna.
'Figliuol mio,' disse il Maestro cortese, 121

Quelli che muoion nell' ira di Dio
Tutti convegnon qui d' ogni paese :
E pronti sono a trapassar lo rio,
Chè la divina giustizia gli sprona
Si che la tema si volge in disio.

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CANTO QUARTO.

Ruppemi alto sonno nella testa
Un greve tuono, sì ch' io mi riscossi,
Come persona che per forza è desta:
E l'occhio riposato intorno mossi,
Dritto levato, e fiso riguardai

Per conoscer lo loco dov' io fossi.
Vero è che in su la proda mi trovai
Della valle d' abisso dolorosa,
Che tuono accoglie d' infiniti guai.
Oscura, profond' era e nebulosa,

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Tanto che, per ficcar lo viso al fondo, Io non vi discerneva alcuna cosa. 'Or discendiam quaggiù nel cieco mondo,' Cominciò il poeta tutto smorto : 'Io sarò primo, e tu sarai secondo.' Ed io, che del color mi fui accorto,

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Dissi: Come verrò, se tu paventi,
Che suoli al mio dubbiare esser con-
forto?'

Ed egli a me: 'L'angoscia delle genti 19
Che son quaggiù, nel viso mi dipigne
Quella pietà che tu per tema senti.
Andiam, chè la via lunga ne sospigne.' 22
Così si mise, e così mi fe' entrare
Nel primo cerchio che l' abisso cigne.
Quivi, secondo che per ascoltare,
Non avea pianto, ma' che di sospiri,
Che l'aura eterna facevan tremare:
Ciò avvenia di duol senza martiri
Ch' avean le turbe, ch' eran molte e
grandi,

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D' infanti e di femmine e di viri. Lo buon Maestro a me: Tu non dimandi Che spiriti son questi che tu vedi ? 32 Or vo' che sappi, innanzi che più andi,

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Conobbi, che in quel limbo eran sospesi. 'Dimmi, Maestro mio, dimmi, Signore,' 46 Comincia' io, per voler esser certo Di quella fede che vince ogni errore: 'Uscicci mai alcuno, o per suo merto, 49 O per altrui, che poi fosse beato?'

E quei, che intese il mio parlar coperto, Rispose: Io era nuovo in questo stato, 52 Quando ci vidi venire un possente Con segno di vittoria coronato. Trasseci l'ombra del primo parente, D' Abel suo figlio, e quella di Noè, Di Moisè legista e ubbidiente;

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Vidi quattro grand'ombre a noi venire; Sembianza avevan nè trista nė lieta. Lo buon Maestro cominciò a dire : 'Mira colui con quella spada in mano, Che vien dinanzi a' tre si come sire. Quegli è Omero poeta sovrano,

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L'altro è Orazio satiro che viene, Ovidio è il terzo, e l'ultimo Lucano. Perocchè ciascun meco si conviene Nel nome che sonò la voce sola, Fannomi onore, e di ciò fanno bene.' Così vidi adunar la bella scuola

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Di quei signor dell' altissimo canto, Che sopra gli altri com' aquila vola. Da ch'ebber ragionato insieme alquanto, Volsersi a me con salutevol cenno: 98 El mio Maestro sorrise di tanto : E più d'onore ancora assai mi fenno, 100 Ch' esser mi fecer della loro schiera, Si ch'io fui sesto tra cotanto senno. Così n' andammo infino alla lumiera, 103 Parlando cose che il tacere è bello, Si com'era il parlar colà dov' era. Venimmo al piè d'un nobile castello, 106 Sette volte cerchiato d' alte mura, Difeso intorno d' un bel fiumicello. Questo passammo come terra dura:

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Per sette porte intrai con questi savi; Giugnemmo in prato di fresca verdura. Genti v' eran con occhi tardi e gravi, 112 Di grande autorità ne' lor sembianti : Parlavan rado, con voci soavi. Traemmoci così dall' un de' canti

In loco aperto, luminoso ed alto, Si che veder si potean tutti quanti. Colà diritto sopra il verde smalto Mi fur mostrati gli spiriti magni, Che del vederli in me stesso n' esalto. Io vidi Elettra con molti compagni,

Tra' quai conobbi Ettore ed Enea, Cesare armato con gli occhi grifagni. Vidi Cammilla e la Pentesilea,

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Dall' altra parte vidi il re Latino, Che con Lavinia sua figlia sedea. Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, 127 Lucrezia, Julia, Marzia e Corniglia,

E solo in parte vidi il Saladino.

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Enno dannati i peccator carnali, Che la ragion sommettono al talento. E come gli stornei ne portan l' ali Nel freddo tempo, a schiera larga e piena, Così quel fiato gli spiriti mali. Di qua, di là, di giù, di su gli mena: Nulla speranza gli conforta mai, Non che di posa, ma di minor pena. E come i gru van cantando lor lai, Facendo in aer di sè lunga riga; Così vid' io venir traendo guai Ombre portate dalla detta briga: Perch' io dissi: 'Maestro, chi son quelle Genti che l' aura nera si gastiga ?' 'La prima di color, di cui novelle

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Giù nel secondo, che men loco cinghia, E tanto più dolor, che pugne a guaio. Stavvi Minos orribilmente e ringhia : Esamina le colpe nell' entrata, Giudica e manda secondo che avvinghia. Dico, che quando l' anima mal nata Li vien dinanzi, tutta si confessa; E quel conoscitor delle peccata Vede qual loco d' inferno è da essa : Cignesi colla coda tante volte Quantunque gradi vuol che giù sia

messa.

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lo cominciai: Poeta, volentieri
Parierei a que' due che insieme vanno,
k paion si al vento esser leggieri.'
Edegli a me: 'Vedraí, quando saranno 76
Più presso a noi; e tu allor li prega
Per quell' amor che i mena; e quei ver-
ranno,

Si tosto come il vento a noi li piega, 79
Mossi la voce: 'O anime affannate,
Venite a noi parlar, s' altri nol niega.'
Quali colombe dal dísio chiamate,

Con l' ali alzate e ferme, al dolce nido
Vegnon per l'aer dal voler portate:
Cotali uscir della schiera ov'è Dido,
A noi venendo per l' aer maligno,
Si forte fu l'affettuoso grido.
'O animal grazioso e benigno,

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Quella lettura, e scolorocci il viso :
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da cotanto amante,
Questi, che mai da me non fia diviso,
La bocca mi baciò tutto tremante :
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse :
Quel giorno più non vi leggemmo avante.'
Mentre che l' uno spirto questo disse, 139
L'altro piangeva sì, che di pietade
Io venni meno sì com' io morisse ;
E caddi, come corpo morto cade.

CANTO SESTO.

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Eterna, maledetta, fredda e greve :
Regola e qualità mai non l' è nuova.
Grandine grossa, e acqua tinta, e neve 10
Per l'aer tenebroso si riversa:
Pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
Con tre gole caninamente latra
Sopra la gente che quivi è sommersa.
Gli occhi ha vermigli, la barba unta ed
atra,
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E il ventre largo, e unghiate le mani;
Graffia gli spiriti, ingoia, ed isquatra.
Urlar gli fa la pioggia come cani :
Dell' un de' lati fanno all'altro schermo;
Volgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,22
Le bocche aperse, e mostrocci le sanne :
Non avea membro che tenesse fermo.

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