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che molti, quando vogliono leggere, si dilungano le scritture dagli occhi, perchè la immagine loro venga dentio più lievemente e più sottile; e in ciò più rimane la lettera discreta nella vista. E però puote anche la stella parere turbata; e io fui esperto di questo l'anno medesimo che nacque questa Canzone, chè per affaticare lo viso molto a studio di leggere, in tanto debilitai gli spiriti visivi, che le stelle mi pareano tutte d'alcuno albore ombrate. E per lunga riposanza in luoghi scuri e freddi, e con affreddare lo corpo dell'occhio con acqua chiara, rivinsi la virtù disgregata, che tornai nel primo buono stato della vista. E così appaiono molte cagioni per le ragioni notate, per che la stella può parere non com'ella è.

X. - Partendomi da questa disgressione, che mestieri è stata a vedere la verità. ritorno al proposito, e dico che, siccome li nostri occhi chiamano, cioè giudicano, la stella talora altrimenti che sia la vera sua condizione; così quella Ballatetta considerò questa Donna secondo l'apparenza, discordante dal vero, per infermità dell' anima, che di troppo disìo era passionata. E ciò manifesto, quando dico: Chè l'anima temea sì, che fero mi parea ciò che vedea nella sua presenza. Dov'è da sapere, che quanto l'agente più al paziente si unisce, tanto più è forte però la passione, siccome per la sentenza del Filosofo, in quello di Generazione, si può comprendere. Onde quanto la cosa desiderata più s' appropinqua al desiderante, tanto il desiderio è maggiore; e l'anima più passionata più si unisce alla parte concupiscibile, e più abbandona la ragione: sicchè allora non giudica come uomo la persona, ma quasi com' altro animale, pur secondo l'apparenza, non secondo la verità. E questo è quello per che il sembiante, onesto secondo il vero, ne pare disdegnoso e fero: e secondo questo cotale sensuale giudicio parlò quella Ballatetta. E in ciò s'intende assai che questa Canzone considera questa Donna secondo la verità, per la discordanza che ha con quella.

E non senza cagione dico: dov' ella mi senta, e non là dov' io la senta. Ma in ciò voglio dare a intendere la gran virtù che li suoi occhi avevano sopra me; chè, come

se fossi stato diafano, così per ogni lato mi passava lo raggio loro. E qui si potreb bono ragioni naturali e sovrannaturali assegnare; ma basti qui tanto aver detto: altrove ragionerò più convenevolmente.

Poi quando dico: Così ti scusa, se ti fa mestiero, impongo alla Canzone come per le ragioni assegnate sè iscusi là dov'è mestiere, cioè là dove alcuno dubitasse di questa contrarietà; che non è altro a dire, se non che qualunque dubitasse in ciò che questa Canzone da quella Balla tetta si discorda, miri in questa ragione che detta è. E questa cotale figura in rettorica è molto laudabile, e anche necessaria, cioè quando le parole sono a una persona, e la intenzione è a un'altra: perocchè l'ammonire è sempre laudabile e necessario, e non sempre sta convenevolmente nella bocca di ciascuno. Onde, quando il figliuolo è conoscente del vizio del padre, e quando il suddito è conoscente del vizio del signore, e quando l'amico conosce che vergogna crescerebbe al suo amico quello ammonendo, o menomerebbe suo onore, o conosce l'amico suo non paziente, ma iracondo all' ammonizione, questa figura è bellissima e utilissima, o puotesi chiamare Dissimulazione. Ed è simigliante all'opera di quello savio guerriero che combatte il castello da un lato, per levare la difesa dall'altro, chè non vanno a una parte la intenzione dell'aiutorio e la battaglia.

E impongo a costei anche che domandi parola di parlare a questa Donna di lei. Dove si puote intendere che l'uomo non dee essere presuntuoso a lodare altrui, non ponendo bene proprio mente s'egli è piacere della persona lodata; perchè molte volte credendosi alcuno dare loda, dà biasimo, o per difetto del lodatore o per difetto dell' uditore. Onde molta discrezione in ciò avere si conviene; la qual discrezione è quasi un domandare licenza, per lo modo ch'io dico che domaudi questa Canzone. E così termina tutta la litterale sentenza di questo Trattato; perchè l'ordine dell'opera domanda all'allegorica sposizione omai, seguendo la verità, procedere.

XI. Siccome l'ordine vuole, ancora dal principio ritornando, dico che questa Donna è quella Donna dello intelletto

si chiama. Ma perocchè na. e lode danno desiderio di persona lodata, è conoscere pere quello ch'ella è in sè per tutte le sue cause, sicFilosofo nel principio della non dimostri il nome (avvegnifichi, siccome si dice nel Letafisica, dove si dice, che la quella ragione che 'l nome nviensi qui, prima che, più da per le sue lode, mostrare esto che si chiama Filosofia, e questo nome significa. E a essa, più efficacemente si presente allegoria. E prima to nome prima diede; poi a sua significazione.

ue che anticamente in Italia, ncipio della costituzione di settecento cinquant'anni, al meno, prima che'l Salse (secondochè scrive Paolo empo quasi che Numa Pomre de' Romani, viveva uno lissimo, che si chiamò Pite egli fosse in quel tempo, occhi alcuna cosa Tito Livio parte del suo Volume inciE dinanzi da costui erano eguitatori di Scienza, non pienti, siccome furono quelli tichissimi, che la gente anper fama: lo primo delli me Solon, lo secondo Chilon, andro, il quarto Talete, il ulo, il sesto Biante, il settimo sto Pittagora, domandato se va sapiente, negò a sè questo Hisse sè essere non sapiente, li sapienza. E quinci nacque cuno studioso in sapienza e di sapienza chiamato, cioè tanto vale come in Greco matore in Latino, e quindi filos quasi amatore, e sofia za; onde filos e sofia tanto amatore di sapienza; per che ote che non d'arroganza, ma e vocabolo. Da questo nasce el suo proprio atto, Filosofia; amico nasce il vocabolo del atto, Amicizia. Onde si può iderando la significanza del

primo e del secondo vocabolo, che Filosofia non è altro che amistanza a Sapienza, ovvero a sapere; onde in alcun modo si può dire ognuno filosofo, secondo il naturale amore, che in ciascuno genera desiderio di sapere. Ma perocchè l'essenziali passioni sono comuni a tutti, non si ragiona di quelle per vocabolo distinguente alcuno partecipante quella essenza; onde non diciamo Giovanni amico di Martino, intendendo solamente la naturale amistà significare, per la quale tutti a tutti semo amici, ma l'amistà sopra la natural generata, ch'è propria e distinta in singolari persone. Così non si dice Filosofo alcuno per lo comune amore.

È l'intenzione d'Aristotile nell'ottavo dell'Etica, che quegli si dica amico, la cui amistà non è celata alla persona amata, ed a cui la persona amata è anche amica, sicchè la benivolenza sia da ogni parte: e questo conviene essere o per utilità, o per diletto, o per onestà. E così, acciocchè sia Filosofo, conviene essere l'amore alla Sapienza, che fa l'una delle parti benivolente; conviene essere lo studio e la sollecitudine, che fa l'altra parte anche benivolente; sicchè familiarità e manifestamento di benivolenza nasce tra loro. Per che senza amore e senza studio non si può dire Filosofo, ma conviene che l'uno e l'altro sia. E siccome l'amistà, per diletto fatta o per utilità, non è amistà vera, ma per accidente, siccome l'Etica ne dimostra; così la Filosofia per diletto o per utilità non è vera filosofia, ma per accidente. Onde non si dee dicere vero Filosofo alcuno, che per alcuno diletto colla Sapienza in alcuna parte sia amico; siccome sono molti che si dilettano in dire Canzoni e di studiare in quelle, e che si dilettano studiare in Rettorica e in Musica, e l'altre scienze fuggono e abbandonano, che sono tutte membra di Sapienza. Non si dee chiamare vero Filosofo colui ch'è amico di Sapienza per utilità; siccome sono Legisti, Medici, e quasi tutti li Religiosi, che non per sapere studiano, ma per acquistar moneta o dignità; e chi desse loro quello che acquistare intendono, non sovrasterebbono allo studio. E siccome intra le spezie dell' amistà quella ch'è per utilità, meno amistà si può dire; così

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questi cotali meno partecipano del nome di Filosofo che alcun' altra gente. Per che siccome l'amistà per onestà fatta è vera e perfetta e perpetua; così la filosofia è vera e perfetta, ch'è generata per onestà solamente senz'altro rispetto, e per bontà dell' anima amica, ch'è per diritto appetito e per diritta ragione. Siccome qui si può dire (come la vera amistà degli uomini intra sè è che ciascuno ami tutto ciascuno); che 'l vero Filosofo ciascuna parte della Sapienza ama, e la Sapienza ciascuna parte del Filosofo, in quanto tutto a sè lo riduce, e nullo suo pensiero ad altre cose lascia distendere. Onde essa Sapienza dice ne' Proverbi di Salomone: Io amo coloro che amano me.' E siccome la vera amista, astratta dall' animo, solo in sè considerata, ha per suggetto la conoscenza della buona operazione, e per forma l'appetito di quella; così la Filosofia, fuor d'anima, in sè considerata, ha per suggetto lo intendere, e per forma un quasi divino amore allo intelletto. E siccome della vera amistà è cagione efficiente la Virtù; così della filosofia è cagione efficiente la Verità. E siccome fine dell'amistà vera è la buona dilezione, che procede dal convivere secondo l'umanità propriamente, cioè secondo ragione, siccome pare sentire Aristotile nel nono dell'Etica; così fine della filosofia è quella eccellentissima dilezione, che non pate alcuna intermissione ovvero difetto; cioè vera felicità, che per contemplazione della Verità s'acquista. E così si può vedere chi è omai questa mia Donna, per tutte le sue cagioni e per la sua ragione; e perchè Filosofia si chiama; e chi è vero Filosofo, e chi è per accidente.

Ma perocchè in alcuno fervore d'animo talvolta l'uno e l'altro termine degli atti e delle passioni si chiamano per lo vocabolo dell'atto medesimo e della passione - siccome fa Virgilio nel secondo dell'Eneida, che chiama Enea: O Luce' (ch'era atto), 'O Speranza delli Trojani' (ch'è passione): chè nè era esso luce nè speranza, ma era termine onde venia loro la luce del consiglio, ed era termine in che si riposava tutta la speranza della loro salute; siccome dice Stazio nel quinto del Thebaidos, quando Isitile dice

ad Archemoro : O consolazione delle cose e della patria perduta, o onore del mio servigio;' siccome cotidianamente dicemo, mostrando l'amico, vedi l'amista mia,' e 'l padre dice al figliuolo Amor mio' - per lunga consuetudine le Scienze, nelle quali più ferventemente la filosofia termina la sua vista, sono chiamate per lo suo nome, siccome la Scienza naturale, la Morale e la Metafisica; la quale, perchè più necessariamente in quella termina lo suo viso e con più fervore, Filosofia è chiamata. Onde si può vedere come secondamente le Scienze sono Filosofia appellate. Poichè è veduto come la pri maia è vera filosofia in suo essere (la qual'è quella Donna di cui io dico), e come il suo nobile nome per consuetuding è comunicato alle Scienze, procederò oltre colle sue lode.

XII. - Nel primo Capitolo di quest Trattato è sì compiutamente ragionata la cagione che mosse me a questa Canzone che non è più mestiere di ragionarne; pe che assai leggiermente a questa sposizione ch'è detta, ella si può reducere. E però secondo le divisioni fatte, la litterale sen tenza trascorrerò per questa, volgendo senso della lettera là dove sarà mestiere

Dico: Amor, che nella mente mi ragiona Per Amore intendo lo studio il quale i mettea per acquistare l'amore di quest Donna. Ove si vuole sapere che studio s può qui doppiamente considerare. È un studio, il quale mena l'uomo all'abit dell'arte e della scienza; e un altro studi il quale nell' abito acquistato adopera usando quello; e questo primo è quell ch'io chiamo qui Amore, il quale nell mia mente informava continue, nuove altissime considerazioni di questa Donn che di sopra è dimostrata; siccome suo fare lo studio che si mette in acquistar una amistà, chè di quella amistà gra cose prima considera, desiderando quell Questo è quello studio e quella affezion che suole precedere negli uomini la gen razione dell'amistà, quando già dall'ni parte è nato amore, e desiderasi e pr curasi che sia dell'altra: chè, siccome sopra si dice, Filosofia è quando l'Anin e la Sapienza sono fatte amiche, siccl l'una sia tutta amata dall'altra, siccon per lo modo ch'è detto di sopra. Nè p

li ragionare per la presente questo primo verso, che per nella litterale sposizione ragio chè per la prima sua ragione giero a questa seconda si può tendimento.

Secondo verso, il quale è codel trattato, è, da procedere, ico: Non vede il sol che tutto 'l Qui è da sapere che siccome i sensibil cosa per cosa insentta convenevolmente; così di ibile per cosa non intelligibile ronviene. E poi siccome nella osizione si parla cominciando rporale e sensibile; così ora è re per lo Sole spirituale e ch'è Iddio. Nullo sensibile mondo è più degno di farsi Dio, che 'l sole, lo quale di ce sè prima e poi tutti i corpi d elementali allumina; così prima con luce intellettuale e poi le celestiali e l'altre - Il Sole tutte le cose col suo ca, e se alcuna se ne corrompe, intenzione della cagione, ma le effetto; così Iddio tutte le a in bontà, e se alcuna n'è della divina intenzione, ma er qualche accidente essere nel llo inteso effetto. Che se Iddio ngeli buoni e li rei, non fece altro per intenzione, ma solaoni: seguitò poi fuori d'inten alizia de' rei; ma non sì fuori ne, che Iddio non sapesse diro malizia. Ma tanta fu l'affeducere la creatura spirituale, scienza d'alquanti che a mal o venire, non dovea nè potea lla produzione rimuovere; chè be da lodare la Natura, se saprio che li fiori d'uno arbore in perdere si dovessono, non proquello fiori, e per li vani abe la produzione delli fruttiferi. que che Iddio, che tutto intende rare è suo intendere), non vede il cosa quant'egli vede quando ove è questa filosofia; chè avIddio Sè medesimo mirando iememente tutto, in quanto la delle cose è in Lui per modo

che lo effetto è nella cagione, vede quelle distinte. Vede adunque questa nobilissima di tutte assolutamente, in quanto perfettissimamente in Sè la vede è in sua Essenza. Chè se a memoria si riduce ciò ch'è detto di sopra, Filosofia è uno amoroso uso di Sapienza; il quale massimamente è in Dio, perocchè in Lui è somma Sapienza e sommo Amore e sommo Atto, che non può essere altrove, se non in quanto da Esso procede. È adunque la divina Filosofia della divina Essenza, perocchè in Esso non può essere cosa alla sua Essenza aggiunta; ed è nobilissima, perocchè nobilissima Essenza è la divina; ed è in Lui per modo perfetto e vero, quasi per eterno matrimonio. Nell' altre Intelligenze è per modo minore, quasi come druda, della quale nullo amadore prende compiuta gioia, ma nel suo aspetto contentane la sua vaghezza. Per che dire si può che Iddio non vede, cioè non intende, cosa alcuna tanto gentile, quanto questa; dico cosa alcuna, in quanto l'altre cose vede e distingue, come detto è, veggendosi essere cagione di tutto. O nobilissimo ed eccellentissimo cuore, che nella sposa dell'Imperadore del Cielo s' intende! e non solamente sposa, ma suora e figlia dilettissima.

XIII. - Veduto come nel principio delle lode di Costei sottilmente si dice, essa essere della divina Sustanza, in quanto primieramente si considera; da procedere e da vedere è, come secondamente dico essa essere nelle causate Intelligenze. Dico adunque: Ogni Intelletto di lassù la mira, dov'è da sapere che di lassù dico, facendo relazione a Dio, che dinanzi è menzionato; e per questo si esclude le Intelligenze che sono in esilio della superna patria, le quali filosofare non possono; perocchè amore è in loro del tutto spento, e a filosofare, come già detto è, è necessario amore. Per che si vede che le infernali Intelligenze dello aspetto di questa bellissima sono private: e perocchè essa è beatitudine dell' intelletto, la sua privazione è amarissima e piena d'ogni tristizia.

Poi quando dico: E quella gente che qui s'innamora, discendo a mostrare come nella umana intelligenza essa secondariamente ancora venga; della qual filosofia

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umana seguito poi per lo Trattato, essa commendando. Dico adunque che la gente che s'innamora qui, cioè in questa vita, la sente nel suo pensiero, non sempre, ma quando Amore fa della sua pace sentire. Dove sono da vedere tre cose, che in questo testo sono toccate. La prima si è quando si dice: La gente che qui s'in namora, per che are farsi distinzione nell'umana generazione; e di necessità farsi conviene, chè, secondochè manifestamente appare e nel seguente Trattato per intenzione si ragionerà, grandissima parte degli uomini vivono più secondo senso, che secondo ragione. E quelli che secondo senso vivono, di questa innamorare è impossibile; perocchè di lei aver non possono alcuna apprensione. La seconda si è quando dice: Quando Amor fa sentir, ecc., dove si pare far distinzione di tempo: la qual cosa anco, avvegnachè le Intelligenze separate questa Donna mirino continuamente, la umana intelligenza ciò fare non può; perocchè la umana natura, fuori di speculazione (della quale s'appaga l'intelletto e la ragione), abbisogna di molte cose a suo sostentamento; perchè la nostra sapienza è talvolta abituale solamente, e non attuale. E non incontra ciò nell' altre Intelligenze, che solo di natura intellettiva sono perfette. Onde, quando l'anima nostra non ha atto di speculazione, non si può dire veramente che sia in filosofia, se non in quanto ha l'abito di quella e la potenza di poter lei svegliare; e però è talvolta con quella gente che qui s'innamora, e talvolta no. La terza è quando dice l'ora che quella gente è con essa: ciò è quando Amore della sua pace fa sentire; che non vuole altro dire, se non quando l'uomo è in ispeculazione attuale; perocchè della pace di questa Donna non fa lo studio sentire, se non nell'atto della speculazione. E così si vede come questa Donna è primamente di Dio, secondariamente dell'altre Intelligenze separate per continno sguardare, e appresso della umana intelligenza per riguardare discontinuato.

Veramente sempre è l'uomo, che ha costei per Donna, da chiamare filosofo, non ostante che tuttavia non sia nell'ultimo atto di filosofia, perocchè dall'abito maggiormente è altri da denominare.

Onde dicemo alcuno virtuoso, non sola mente virtù operando, ma l'abito della virtù avendo; e dicemo l'uomo facundo, eziandio non parlando, per l'abito della facundia, cioè del bene parlare. E di questa filosofia, in quanto dalla umana intelligenza è partecipata, saranno omai le seguenti commendazioni a mostrare, come gran parte del suo bene alla umana natura è conceduto. Dico adunque ap presso: Suo esser tanto a Quei che gliel dà piace; dal quale siccome da fonte primo si deriva, che sempre attrae la capacità della nostra natura, la quale fa bella e virtuosa. Onde, avvegnachè all'abito di quella per alquanti si vegna, non vi si viene sì per alcuno, che propriamente abito dire si possa; perocchè il primo studio, cioè quello per lo quale l'abito si genera, non può quella perfettamente acquistare. E qui si vede l'ultima sua lode; chè, perfetta o imperfetta, nome di perfezione non perde. E per questa sua dismisuranza si dice che l'Anima della filosofia Lo manifesta in quel ch'ella conduce; cioè, che Dio metta sempre in lei del suo lume. Dove si vuole a memoria riducere, che di sopra è detto, che Amore è forma di filosofia; e però qui si chiama Anima di lei. Il quale Amore manifesto è nell'uso della Sapienza, il quale uso conduce mirabili bellezze, cioè contentamento in ciascuna condizione di tempo, e dispregiamento di quelle cose che gli altri fanno lor signori. Per che avviene che gli altri miseri che ciò mirano, ripen. sando il loro difetto, dopo il desiderio della perfezione caggiono in fatica di sospiri; e questo è quello che dice: Che gli occhi di color, dov'ella luce, Ne mandan messi al cor pien di disiri, Che prendon aere e diventan sospiri. XIV. Siccome nella litterale sposi zione, dopo le generali lode alle spezial si discende, prima dalla parte dell'anima poi dalla parte del corpo; così ora intende il testo, dopo le generali commendazioni alle speziali discendere. Onde, siccome detto è di sopra, filosofia per suggetto ma teriale qui ha la Sapienza, e per forma Amore, e per composto dell' uno e del l'altro l'uso di Speculazione. Onde in questo verso, che seguentemente comincia: In lei discende la virtù divina, io in

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