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laboratore del Giornale letterario di Sicilia (1)? Chi di voi finalmente si maraviglierà che caro si rese a chi lo conobbe, e in pregio grandissimo fu tenuto da alti personaggi e nazionali e stranieri (2), i quali ad onor sommo si recarono il godere dell'amicizia di lui? (tanto è pur vero che un uomo dotto di qualunque genere ha un impero sulla pubblica opinione!) al che oltre ai meriti letterarii contribui non poco l'ottimo suo carattere, del quale or cade in acconcio il dir qualche cosa; giacchè in bella concordia uniti vidersi in lui i pregi dello spirito e le doti del cuore: che anzi facea egli più stima del cuore che dell'ingegno, persuaso che

L'uomo sta più nel cuor che nell'ingegno;

e che perciò degli ornamenti suoi il massimo deve essere la bontà, dalla qu ale se scompagnati sono gli studii potrà la patria coi lumi giovarsi, ma questa mai non glorierassi di un cittadino depravato; talchè avrebbesi anche di lui con verità potuto dire ciò che di Atanasio Auger cantò il Selis

Voici l'auteur qui réunit

Le coeur, les moeurs, le don d'écrire

Que jamais on n'entend médire

Et dont personne ne médit.

Dolce adunque era la tempra del suo carattere, a bontà naturalmente inchinevole; e tuttochè fervido nelle vene gli bollisse il sangue sino agli anni suoi più freddi, pure incapace lo avresti trovato, non che di oprare, di meditar le vendette. A me anche sovviene averlo visto più volte cogli elogii rispondere a taluno che indiscretamente lo prevenne coi biasimi: cosa a dir vero non molto comune fra gli uomini, e meno ancora fra' letterati, generalmente irritabili. E se tal

(1) A 23 febbraro 1825.

(2) Noveraronsi fra i principali suoi amici non siciliani il marchese Haus, i signori Hayter, Drumond, e il chiaris. letterato Federico North poi conte di Guilford terzo figlio del celebre lord North che fu primo ministro d'Inghilterra, sotto il regno di Giorgio III e cancelliere del l'Università di Oxford.

volta a cruccio movevasi era ciò in lui trasporto di eccessiva sensibilità ed amor di rettitudine; infatti la sua collera non inacerbiva, ma presto il riso sul di lui labbro spuntava come nunzio di pace, che la soavità dimostrava dell'animo suo, e ti scopriva il fondo di un'anima candida e leale. Benefico fu egli verso i suoi, ingenuo nel conversare, degl'intrighi nemico, franco nell'esporre i proprii pensamenti, accoppiando alla semplicità di un fanciullo il più sagace avvedimento negli affari, dei doveri del sacro suo ministero rigido esecutore, ed integerrimo figlio della cattolica chiesa. Ma soprattutto a me piace il ripeterlo, la bontà caratterizzavalo parzialmente; e in lui bontà spiravano, contegno, urbanità gli atti non solo e gli accenti, ma i moti stessi e i lineamenti della vivace e brillante sua fisonomia: in maniera che difficile era il vederlo, senza sentire un segreto pendio nell'animo che spinto avesse chiunque ad avvicinarsi a lui, ed a porsi al suo fianco; e impossibile riusciva (ahi per me dolce insieme ed amara ricordanza!) il trattarlo e non amarlo tenerissimamente.

Ma la storia dei talenti non rade volte confondesi con quella degl'infortunii, e il Monso se vita non menò seminata di amarezze, perchè non trovò degl'invidi, che avessero alla sua fama preteso, soffri bensì il peso dell'indigenza, che gravollo sino alla tomba; allorchè il colpo letale troncò, con universale rammarico, la sua vita, jattura irreparabile pel Pubblico (1); colpo che la tranquillità dell'animo suo gli fece con tale placidezza e serenità ricevere, che ben potè insultare la sognata figlia della notte e dirle :

Il saggio senza impallidir ti attende.

Ahi delle umane vicende miserabile condizione! E chi pensato si avrebbe che nel bel mezzo appunto delle sue speranze coglierlo doveva lo strale di morte? ahi morte!!. crudelissima morte!!. Non più dunque, eccelso spirito, ti rivedremo? non più ascolteremo la tua voce? non più ammireremo nuovi frutti del tuo fecondo ingegno? non più... Ma no, Signori, a che con inutili lamenti assordare l'aria e con

(1) Mori egli la sera dei 14 settembre 1828 d'idrotorace, e fu sepolto nella chiesa di s. Marta di cui era cappellano e beneficiato.

turbare gli spiriti? Nascere e perire, è questo il cammino a tutti gli esseri comune, chè la morte è un calice cui tutti gli uomini devono bere. Non è poi del tutto da compiangersi la perdita di quell'insigne personaggio, mentre gran parte di lui ci rimane; giacchè sebbene egli oggi altro per noi non fosse che cenere, e nome, pure questo suo nome è dalla virtù consacrato che cel propone ad esempio, dalla sapienza investito che ad emulazione ci sprona.

Accademici, fu il Monso un nostro concittadino, ei qui nacque e su questo suolo egli visse, e che vane forse riuscir ci dovranno tante e si gloriose ricordanze di lui? Vana sarà per noi la memoria di colui, che ornamento è stato e decoro della patria nostra, della nostra accademia? Ah! lungi si ingiurioso presagio; chè anzi a me gioverà sperare, che alla vista di modello si nobile, più v'incoraggiarete allo studio delle patrie cose, studio che innalzar può davvantaggio la nostra classica terra, ancor per questo, al grado delle più colte nazioni (1).

lo

(1) Oltre alle opere delle quali si è già fatta parola nello elogio, varii manuscritli restano del Morso, fra' quali riguardevoli sono alcune orazioni sacre e profane, che egli in varie occorrenze recitò; come di lui pur si hanno, pubblicate nel supplimento al n. 22 del Mercurio siculo le belle iscrizioni latine ch' ei fece per la morte del fu nostro augusto Ferdinando I. nei magnifici funerali eseguiti nella chiesa del monastero del ss. Salvatore; una lettera diretta ad Agostino Gallo, sopra due greche iscrizioni rinvenute una a Taormina, e l'altra nell'isola di Ustica, inserita nel Giornale di scienze lettere ed arti per la Sicilia tom. 4, pag. 166 e quasi intera riprodotta nel Bulletin des sciences historiques etc. rédigé par MM. Champollion tom. 8, an. 1827, e un estratto inserito nel suddetto Giornale di Sicilia tom. 8, pag. 58 a 60 del Discorso sull'antica poesia degli Ebrei, opera postuma di Francesco Pasqualino con discorso preliminare e note dell'abbate Giovanni Ragona, professore di lingua ebrea nella R. U. di Palermo.

BIOGRAFIA

DEL TENENTE GENERALE

GIOV. BATTISTA FARDELLA

Se nostro sacro ufficio egli è il compianger la perdita di coloro, che agli studi addicendosi ne divennero ed ornamento e decoro, indispensabile dover nostro estimiamo il bagnar di pianto la tomba, e l'onorare di laudi la ricordanza di quei personaggi, i quali rendendosi mecenati delle lettere, acquistaron diritto alla riconoscenza dei posteri.

A così importante, e a dì nostri così rara classe appartenne per lo appunto l'egregio uomo oramai passato fra' più Giambattista Fardella nobile guerriero, magnanimo mecenate, e benemerito della patria, che ognuno conobbe per nome, per fama, per non volgari azioni.

Nacque Egli in Trapani ai 29 luglio 1762 dal marchese Vincenzio, e da Dorotea Fardella, discendenti di traantica, nobilissima famiglia, chiara per uomini sommi nelle arme, e nelle diplomatiche discipline, e nelle speculative scienze sapientissimi.

Compiuto appena l'anno ottavo ebbe posto in Napoli nella regal Paggeria, fiorente in quel tempo per ogni maniera di sapere e di disciplina, donde in età di diciott'anni, dopo aver corso con ogni diligenza lo stadio non piccolo degli studi tutti presso chiari ed illustri professori, usci tenente di cavalleria, sotto gli ammaestramenti di quel valentissimo Federici, che meritò sommo l'elogio dal principe degli storici italiani viventi (1): e siffattamente nella militar arte si

(1) Carlo Botta.

distinse, che tutti percorse i gradi della milizia, sinchè giunse al sommo di tenente generale (1).

Difficili, importanti, onorevolissime furono le imcombenze ch'egli ne' diversi punti della sua vita dovè disimpegnare.

Tempestosi correvano i tempi, e quello spirito irrequieto di novità e di licenza, che svegliar seppe la Francia nei pacifici stati della bella penisola, tutti agitava i principi d'Italia, i quali stretti s'erano in lega a quiete comune ed a comune difesa. Il fu nostro augusto Ferdinando più che gli altri forte intendeva l'animo a ciò, e a maggiori sforzi si risolveva precipuamente dopo gli assalti dati dai Francesi a tutte le cime delle Alpi, e dopo l'invasione per essi fatta della riviera di ponente; quindi alla volta della Lombardia indirizzava correndo l'anno 1794 quattro reggimenti di cavalleria, capitanati dal generale principe di Cutò, perchè fossero stati presti ai bisogni della guerra. Fu in quella schiera il Fardella, e quando più infierivano i Repubblicani, nell'invader l'Italia difesa dalle arme dei Confederati, diede egli prove d'inesplicabile valore e di senno; soprattutto nelle azioni di Fombio e di Codogno, e nella sanguinosa battaglia del ponte di Lodi alle rive dell'Adda, ove la napolitana cavalleria proteggendo gli sforzi del generale Beaulieu combattè a meraviglia contro quel fulmine di guerra, Napoleone, e quei sommi guerrieri Berthier, Massena, Cervoni, Dallemagne, Lannes, Dupas, Augereau, di ognun dei quali il solo nome atterriva gli eserciti, spaventava le nazioni; e soccorse egregiamente i Tedeschi ormai costretti ad una precipitosa ritirata, onde accamparsi sul Mincio per serbare aperte le strade al Tirolo, e per assicurar Mantova, la fortissima Mantova già prossima a rovina.

Militò poi nel 1798 da colonnello di cavalleria aggregato allo stato maggiore generale, e da quartier mastro generale nella colonna comandata in prima dal principe Hassia Philipstal, e poscia dal conte Ruggiero di Damas, quella colonna appunto che si distinse nella sua ritirata di Orbitello, e che pugnò e si difese con mirabile costanza. Nell'anno 1800 ebbe affidato il comando della spedizione per Malta, a fin di concorrere insieme all'armata brittannica nella presa della Valletta.

(1) Ai 14 giugno 1815.

MORTILLARO Vol. II.

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