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LUIGI; ma ei sapeva che il regno dei cieli pate forza, e che solo i violenti lo si rapiscono, e con forza quindi insisteva, e con costanza inalterabile.

Non ebbe cuore in fine il padre di più lungamente travagliarlo, e quindi annuiva, e LUIGI era condotto a Mantova, e a 3 novembre 1585 s'accomiatava dal Duca, baciava genuflesso le mani dei genitori suoi che mescolavano i pianti al tristo addio....... E non valsero dunque a rattenere tuoi passi le lagrime a sgorgo che lor piovevano dagli occhi, le calde preghiere con che ti serravano tra le braccia loro.... nulla i preghi ed i pianti di una madre, che desolata e diserta di te, verrà che indarno ti chiami, e ti cerchi tra le pareti di quella casa, e in sulle soglie di quella stanza medesima, dove accolto e cresciuto fosti bambino, tra le delizie e la gioja dello amor suo?... Eh no! sordo alle voci più imponenti della natura parte LUIGI alla volta di Roma, accompagnato dal suo fratello Ridolfo da cui si divise alla riva del Po, saluta in Ferrara il duca Alfonso di Este e la duchessa Margarita Gonzaga, passa per Bologna a Loreto e ne visita il santuario, e quindi arriva alla magna regina dei sette colli e dato alle cure del secolo, al fumo ed allo strepito del mondo un eterno addio presentasi al padre generale dell' ordine. Qual navigante che in mezzo all'orrore di una vernale procella, combattuto dall'onde avverse, flagellato dal gelo e dalla pioggia, e quando sbalzato al sommo, quando cacciato all'imo, incerto ognora del suo cammino, e pauroso di dar nelle secche, e negli scogli, vedesi un tratto risplendere innanzi la stella del porto, la lampana della salvezza, a cui mercede gli è dato di condursi a riva: tale LUIGI al presentarsi a quell'uomo rispettabile, rinato stimossi; sospirò, versò lagrime di allegrezza, e di contento e di contento, e fu avviato alla Casa del Noviziato in

monte Cavallo.

Qui volgo al termine il mio racconto, chè non verrei più a capo del mio dire se scorrer volessi per intero i sei anni di vita che da religioso condusse. E ben vi persuaderete come virtù secondando il suo volo il levò a segno di gloria per possederne l'altezza. Sicchè con tanto fervore di spirito in quella sagra palestra si trasse innanzi, che vinse di lunga mano i provetti: nè a me regge l'animo a disegnarvi neppur qualche abbozzo, non che tutta incarnarne la immagine; fio

chè all'appressare di quello istante che suole atterrire anche i più forti, in su quell'ultima ora del disinganno, serbò la fronte serena, stese la destra al divin redentore, e inocentissima colomba sul primo fiorir della vita, rapita alle malizie, ed agl'inganni di questo misero tempo nel bacio del Signore chiuse i suoi lumi, per dissetarsi fra i tabernacoli della eterna Sionne, a quella fonte di amore che non può mai venir meno, che inebria tutte le potenze di una letizia, che ogni mortale dolcezza trascende, e per ricevere quella gloria, cui non cancella il tempo, vicissitudini mondane non mutano, ma dura eterna come eterna ell'è la divina sapienza che incorona.

O giovani! o giovani egregi che mi fate corona, eletta speranza della religione e della patria, date uno sguardo, specchiatevi nella virtù di LUIGI. Gli elogi dei santi, Voi vel sapete, non a sterile omaggio sono, o a vana pompa consacrati, ma sibbene a gloria del sommo Signore e a santificazione delle anime nostre. Mirate il cielo come è bello per tanti lumi: colassuso a quella eterna bellezza il suo splendore vi chiama, LUIGI ve ne addita il sentiero, LUIGI che piacque a tutti i buoni, e cui di biasimar non s'ardiscono quelli stessi che imitare nol sanno e che seggendo in piuma e sotto coltre giacendo, o dissipando la vita in folli e svergognati piaceri logorano i giorni di lor gioventù, non altro vestigio lasciando dopo di sè che quale nell'aria il fumo, o la spuma nell'acqua. Egli v'insegna che l'ingegno è più pregevole che la nascita, la bontà più dello ingegno e che la nobiltà mettendo l'uomo in vista è una decorazione che fa la virtù più splendida, il vizio più scandaloso.

Che mai è il fulgor dell'ingegno anco più pellegrino dalla bontà scompagnato?..... Una pompa, un vano prestigio, uno sterile fiore, cui manca il soave profumo, e che presto si pone da canto... Tolga Iddio che in un paese per tante glorie dell'ingegno famoso, io qui scemi lode col mio discorso alle opere dell' ingegno! No, sono esse la sacra eredità dei secoli, il vanto, la gloria delle nazioni, la seconda vita, in cui un popolo spento o disperso, è ancora a sè stesso superstite..... ma esse, per sè medesime, han fatto un solo felice? rasciugarono solo una lagrima?... Ah cedano ai diritti della bontà quei dell'ingegno. L'ingegno illustra; ma la bontà soltanto, consola.

DISCORSO STORICO

SU LE

ULTIME ROMANE VIGENDE

NELL'EPOCA NAPOLEONICA.

- Narrerò fatti pieni di atrocità e di lutto pei popoli, per la Chiesa e per la Sede romana io li ho tratti dalle ampie storie per essere considerati vieppiù e significarli.

Osserverà ognuno popoli sediziosi, incredulità senza freno, battaglie fierissime, vittorie crudeli, insanguinati i tempii, strappati dai sagri asili i pacifici abitatori delle celle solinghe, gl'inni sacri mescolati co gli urli di guerra, introdotte nel santuario e sugli altari del Dio vivente le donne estratte dai prostriboli, un falso sentimento nazionale inferocito contro la sovranità, nuove dottrine estratte dai vizii e dagli errori degli antichi, per ispargere folte tenebre e turpe delirio fra le nazioni. Il clero avvilito, il papa insultato, i principati abbattuti, i sacri dogmi contrastati, l'ateismo sostenuto: in somma uno strano miscuglio di virtù e di scelleragine, di eroismo e di perfidia, di tirannia e di libertà, son queste le cose che formano il lugubre quadro dell'ultima delle rivoluzioni francesi; rivoluzione che spaventa il pensiero quando vuol meditarla, e che sarà appo dei posteri di maggior fama che fede. Servì dessa di pretesto agl'indisciplinati del clero per iscuotere il giogo dei sacri canoni, ai monaci indocili per isbucare dai chiostri, ai viziosi per divenire liberi e fino dalla lorda culla mo

strò di essere non per altro insorta che per fare vergogna allo spirito dell'uomo.

Idra così spaventevole nelle regioni non fermossi dalle quali sortì, ma furibonda sempre più imperversando su l'Europa tatta, seco portò per orrendo seguito lo spirito di vertigine, la strage, la turbolenza, la confusione, la sfrenatezza; e quasi da pertutto miravansi atterrate le are, spenta pressochè la religione, е la divinità stessa cacciata sembrava da tutta la natura.

Roma principalmente, le cui vicende narrar si dovranno, Roma più che ogn'altra i tristi effetti duramente ne soffri. L'usurpatore dei troni di Francia e dell'Europa tutta Napoleone, tutti mise in opera fino i più strani mezzi; affinchè possessore assoluto del temporale dominio dei pontefici si fosse reso. Roma per di lui cagione teatro divenuta di ferali tragedie, qualche volta rosseggiar fu vista di umano sangue da amici ed ostili petti sgorgato: vide profanati i suoi tempii, involatine i sacri arredi, lontane genti affollate a soggiogarla e ne sospirò per dolore; vide saccheggiati i suoi edificii, postine a ruba i musei e le ricchezze, cittadini fattisi tiranni e ne pianse di cordoglio; vide due papi prigionieri, voto l'erario, guaste le sue campagne dalle arme straniere e dalle proprie e gemè amaramente, ed a richiamar segue alla nostra memoria tutti questi gravissimi danni che alcerto saranno in più libri registrati.

Volendo intanto, sebbene quanto più compendiosamente si possa, la storia tessere dei medesimi, siam costretti a prendere le cose molto dall'alto, sino all'origine rimontando della francese rivoluzione; e quindi rapidamente per le prime sue epoche seguendola, in ciò che nostro pensiero è lo accennare c'innoltreremo, di dare non trascurando gli sguardi generali che alla spiegazione dei particolari successi necessari ci sembrano. Al riacquisto poscia arrivati della pace per la Chiesa; acciocchè sospesa la catena non rimanga degli avvenimenti nella sola persona di Napoleone Bonaparte riuniti, a lui terremo dietro; finchè chiuso lo avremo nell'urna e sotterrato nel sepolcro.

La necessità, l'opinione, la forza furono le motrici della francese rivolta. Gli animi dalla necessità riscossi, condotti dalla opinione, dalla forza sostenuti inevitabilmente si sollevano.

Luigi XIV grande, malgrado i suoi grandi difetti, spinto dall'orgo

glio non meno di ristorare la letteratura, che dalla vanagloria di farsi riguardare come guerriero e conquistatore, immensi tesori profuse e di due bilioni di lire debitore lasciò il suo successore Luigi XV, il quale anch'esso altri due bilioni impiegò con danno del sobrio principe Luigi XVI, cui il cielo aveva a grandi calamità riserbato.

La non giusta guerra da lui contro l'Inghilterra per le brighe del conte di Vergennes intrapresa e con vergognosa rimembranza a termine condotta, la generosità del re, le somme spese della regina, il debito accrebbero e pressochè insolubile lo resero: si chiamò quindi alle fi nanze il ginevrino Necker, il quale sia come si voglia saggio finanziere, o come ad altri è piaciuto avido accumulatore, coll'avere aperto pubblici imprestiti lo stato peggiorar fece, e fu costretto partirsene. La breve durata di tre successori ministri ci conduce al quarto che fu monsignor de Brienne arcivescovo di Tolosa, il quale sviluppar non sapendo le intrigate politiche faccende ai Parlamenti si rivolse, perchè nuove imposizioni si stabilissero; ma quelli al re si opposero, el duca Filippo d'Orleans tutto mise in opera per mandare a voto le pretensioni del Monarca: quindi ben presto fu mandato in bando, simile sorte soffrendo i parlamentarii di Bourdeaux.

La volubile nazione entusiasta di sua natura, ed alle novità inclinata allora in pernicioso amore converte il pubblico odio verso gli esuli; acri rimostranze se ne sentono, e tutti la convocazione de' Generali Stati (1) domandano.

A questo punto arrivate le cose, dall'una banda impunemente spacciansi delle opinioni, che a tristi conseguenze conducono: le contribuzioni dei popoli doni volontarii si appellano, nocivi dichiaransi i nobili, libero si pretende il culto religioso, il re vien chiamato tiranno: da un'altra parte un lusso eccessivo dominante in ogni genere di persone, pessimi costumi, ed una generale miscredenza da per tutto fan ripetere riforma, ed uguaglianza. Il piissimo re, mentre gli animi del popolo così irritati trovavansi, opportuno credè di pubblicare due editti nel giorno 10 maggio 1788, pei quali la legislazione riformavasi, la convocazione prometteasi degli Stati Generali, i Parlamenti abolivansi, e nuove tasse imponeansi; indi militarmente l'istesso giorno

(1) Gli Stati Generali erano le Assemblee di tutta la nazione.

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