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Che la sua opera e le sue opinioni, durante il periodo di Cola, non rappresentavano, per cosí dire, una parentesi od una contradizione con quanto egli aveva fino allora creduto e sperato, mentre egli parve piuttosto staccarsi, in parte, se non del tutto, dalle opinioni professate per l'innanzi, quando si rivolse a chiamar in Italia Carlo IV. Che le lettere scritte dal Petrarca, nell'occasione del suo intervento tra Genova e Venezia, ci provano quanto condizionati e subordinati al sentimento d'italianità fossero in lui la fede e il rispetto all' imperatore tedesco, con tanto zelo invocato. Che pertanto la sua fede imperiale è insanabilmente vulnerata da due fatti: dall'ammirazione, non mai scemata in lui, per gli ordinamenti repubblicani dell' antica Roma, tanto da reputare l'istituzione della monarchia, come la causa prima della decadenza di quella, e dal sentimento invitto d'italianità, per il quale non seppe mai subordinare ad alcun altro ideale quello della grandezza d'Italia. Donde consegue che l'idea d'un impero da esercitarsi su tutte le altre nazioni, per lui tuttora barbare, da parte dell'Italia diventi, per cosí dire, accessoria a quella della sua unità e grandezza, che gli fiammeggiò sempre dinanzi al pensiero. Che quindi grandi e profonde sono le differenze che lo separano da Dante; tali che io non temo d'asserire potersi difficilmente trovare altri due scrittori che, sembrando tanto concordi in appa

renza, discordino poi tanto nella realtà, quanto il Petrarca e Dante, considerati sotto il rispetto delle loro politiche opinioni. Che del concetto della nazionalita italiana sono chiaramente affermati nelle wae opere gli elementi costitutivi essenziali, cosí come sono chiaramente dichiarati i doveri, che da quello conseguono agl' italiani.

Tale dimostrazione mi propongo di fare, riesaminando quelle parti delle opere del Petrarca che contengono le sue opinioni politiche, e specialmente gli epistolari e richiamando l'attenzione degli studiosi su alcuni passi, a parer mio, non bene interpretati o addirittura non considerati.

II.

Le esortazioni ai pontefici, l'AFRICA,
la lettera a re Roberto

Delle opinioni politiche di F. Petrarca giovanetto, nulla sappiamo, e le lodi, che più tardi in lettere a Carlo IV e a Giovanni Boccaccio, scritte rispettivamente nel 50, 52, e 63', rivolse a Federico II o ad Enrico VII, citate dallo Zumbini a

Famil., XII, 1; X, Ia. Sen., IIa, Ia.

testimonianza dei sentimenti ghibellini di lui, non hanno, a parer mio, alcun valore. Se nel 50 e nel 52 egli lodava Enrico VII e deplorava che morte gli avesse impedito di effettuare il suo alto disegno, vorremo noi inferirne che da giovane egli avesse avuto idee imperialiste? Quei passi non provano assolutamente nulla, e solo dal saperlo figlio d'un Bianco esigliato da Firenze, e d'uno di coloro che sperarono nella discesa di Enrico VII e fecero causa comune coi ghibellini fuorusciti, possiamo ricavare la supposizione, che egli non fosse allora avverso all'idea imperiale, senza però concludere che ne fosse un dichiarato sostenitore. Piú difficile poi mi pare a dimostrarsi che il Petrarca abbia in quei tempi tenuto in poco pregio re Roberto, come pure asserisce lo Zumbini1. Com'è noto, la prima lettera del Petrarca, che ci sia pervenuta, è del 1326, diretta a Tomaso di Caloria, e vi è parlato di re Roberto con termini tali, che non contradicono punto a quelli che il Poeta usò più tardi rispetto a questo Re e che ci tolgono quindi ogni dubbio su questo proposito. Si rallegra in quella lettera il Petrarca con l'amico che il cielo gli abbia concesso di vivere sotto un Principe protettore delle lettere, sotto un novello Au

ZUMBINI, op. cit., pag. 75. 2 Famil., I pag. 257.

renza, discordino poi tanto nella realtà, quanto il Petrarca e Dante, considerati sotto il rispetto delle loro politiche opinioni. Che del concetto della nazionalità italiana sono chiaramente affermati nelle sue opere gli elementi costitutivi essenziali, cosí come sono chiaramente dichiarati i doveri, che da quello conseguono agl' italiani.

Tale dimostrazione mi propongo di fare, riesaminando quelle parti delle opere del Petrarca che contengono le sue opinioni politiche, e specialmente gli epistolarî e richiamando l'attenzione degli studiosi su alcuni passi, a parer mio, non bene interpretati o addirittura non considerati.

II.

Le esortazioni ai pontefici, l'AFRICA,
la lettera a re Roberto

Delle opinioni politiche di F. Petrarca giovanetto, nulla sappiamo, e le lodi, che più tardi in lettere a Carlo IV e a Giovanni Boccaccio, scritte rispettivamente nel 50, 52, e 63', rivolse a Federico II o ad Enrico VII, citate dallo Zumbini a

Famil., XII, 1; X, Ia. Sen., IIa, ra.

testimonianza dei sentimenti ghibellini di lui, non hanno, a parer mio, alcun valore. Se nel 50 e nel 52 egli lodava Enrico VII e deplorava che morte gli avesse impedito di effettuare il suo alto disegno, vorremo noi inferirne che da giovane egli avesse avuto idee imperialiste? Quei passi non provano assolutamente nulla, e solo dal saperlo figlio d'un Bianco esigliato da Firenze, e d'uno di coloro che sperarono nella discesa di Enrico VII e fecero causa comune coi ghibellini fuorusciti, possiamo ricavare la supposizione, che egli non fosse allora avverso all'idea imperiale, senza però concludere che ne fosse un dichiarato sostenitore. Piú difficile poi mi pare a dimostrarsi che il Petrarca abbia in quei tempi tenuto in poco pregio re Roberto, come pure asserisce lo Zumbini'. Com'è noto, la prima lettera del Petrarca, che ci sia pervenuta, è del 13262, diretta a Tomaso di Caloria, e vi è parlato di re Roberto con termini tali, che non contradicono punto a quelli che il Poeta usò più tardi rispetto a questo Re e che ci tolgono quindi ogni dubbio su questo proposito. Si rallegra in quella lettera il Petrarca con l'amico che il cielo gli abbia concesso di vivere sotto un Principe protettore delle lettere, sotto un novello Au

ZUMBINI, op. cit., pag. 75.
Famil., I pag. 257.

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