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tratto almeno della sua vita, "'autorità imperiale trasferita ai tedeschi, come un'usurpazione, mentre il diritto all' impero era sempre insito in Roma e che l' imperatore che soggiornasse costantemente lontano da Roma, immemore delle cose d'Italia, non era imperatore romano altro che di nome. Basti ricordar qui le parole della lettera ai Romani del 1352: «Se non è in Roma e dove può essere l'impero Romano? E se altrove esso sia, non cessa con questo solo d'esser Romano e a quelli non si appartiene presso cui la volubile fortuna si piacque di tramutarlo? » Questo per quanto risguarda l'impero. E per quanto risguarda l'imperatore, ecco che cosa scriveva pure nel 1352, alludendo a Carlo IV: « Se contento di possedere nella sua Germania le membra, l'Italia si lascia addietro che capo è dell'impero, ben potrà Re tedesco intitolarsi ma romano Imperatore non mai » ; e nel De vita solitaria nel 1356: << Caesar hic noster, rapto diademate, in Germaniam abiit, patriis latebris, et nomine contentus imperi »3. Dai quali brani risulta chiaramente che l'impero, che dalla Germania si esercitava e si diceva romano, e l'imperatore che, pur dicendosi romano, viveva lungi da Roma, usurpavano ve

1 Fam., v. 3o, pag. 241.
2 Ib., v. 3o, pag. 359.
3 II, sect. 4a, C. 2o.

ramente quel nome al quale non corrispondeva il soggetto dal nome stesso indicato, giacché quel l'impero era romano di nome, ma tedesco di fatto. Ora se noi raffrontiamo a questo concetto quei versi, troviamo che, riferiti all'autorità del Cesare tedesco, che imperatore romano si diceva ma tale poi non era in realtà, essi non discordano punto da quanto il Petrarca ha sempre asserito rispetto a quell'autorità. Il citar contro questa interpretazione le frasi e gli atti del Petrarca che attestano la sua devozione all' impero insito in Roma e anche a Carlo IV, in quanto il Poeta lo ritenne italiano e sperò di vederlo riprendere nella città eterna il suo posto, è un confondere i due concetti che in tutta l'opera del Petrarca sono ben distinti, quello dell'impero romano vero, insito in Roma e che Cola aveva tentato di richiamare in vita e del quale il Petrarca, pur notandone la decadenza e presagendone la fine parlò sempre con affettuosa riverenza, e l'autorità dei Tedeschi che è effetto d'un' usurpazione, di quei Tedeschi dei quali Cola, concorde anche in questo col Petrarca aveva detto << nomine non respondente effectui non verentes ». Ora se a quest'ultima essi si intendono riferiti, che altro rappresentano se non una ripetizione di quanto il Petrarca, in conformità delle sue opinioni politiche, aveva più volte af

GABRIELLI, op. cit., pag. 70.

fermato? Ma a questo punto si affaccia la obiezione del Cesareo, il quale osserva che un'allusione all' impero, in quel luogo della canzone, apparirebbe affatto fuor di proposito. L'osservazione è assai giusta, quando però si voglia ritenere che quella canzone sia stata scritta per la guerra di Parma nel 1344, nella quale invero non si sa vedere come e perché dovesse entrarci l'impero.

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Ma se la data della canzone fosse diversa? Io non posso qui ripetere le prove e i copiosi raffronti, per i quali credo che la canzone spetti al 1354, debbo per questo rimandare il lettore ad un altro mio lavoretto e chiedergli che mi conceda per ora, in via d' ipotesi, quello che io spero di aver sufficientemente dimostrato, essere cioè la canzone del 1354. Essa è diretta ai Signori d'Italia, ma specialmente ai Veneziani e ai loro Collegati, la gente altera»; il Petrarca era appena tornato dalla sua inutile ambasciata al Doge di Venezia << doglioso e grave », forse era a San Colombano dove « vedeva il Po scorrergli ai piedi » e dove era prima di partire per Venezia. Aveva scritto o meditava di scrivere la sua lettera ad

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1 Su l'ordinamento delle poesie volgari di Francesco Petrarca, in Giorn. Stor., v. XX, pag. 96.

2 Per la data della Canzone « Italia mia...», Padova.

3 Famil., v. 4, pag. 42.

Andrea Dandolo ', e non potendosi acquetare al pensiero, che la sua opera di pacificatore fosse riuscita vana, sfogò più liberamente di quel che nella epistola non gli fosse concesso il suo rammarico con questa Canzone. Ora noi abbiamo visto che i Veneziani e i loro Collegati avevano << stipendiato» l'imperatore romano per la guerra contro Genova e il Visconti e che contavano assai nel suo aiuto e nell'autorità del suo nome e che anzi quella era stata una delle principali ragioni, per loro, d'opporsi alla pace. Il Petrarca, che nella sua lettera al Dandolo deplora, col riserbo impostogli dalla singolarità del fatto, che i Veneziani si fossero rivolti a chieder aiuto a Carlo IV, accenna pure nella Canzone a questo impedimento che si frapponeva alla conclusione della pace. Intatta è la venerazione del Poeta per il romano impero, ma quello impersonato in Carlo, l'abbiamo già visto, non era per lui impero romano se non di nome; nome vano al quale non risponde il fatto <<non respondens effectui » secondo la frase di Cola. Ora, se del titolo di romano imperatore deve valersi Carlo IV, per render piú fiere le discordie degl' Italiani, se l'alta autorità dell'impero deve occultare e quasi adonestare le mire ambiziose d'una repubblica, non mai sazia di conquiste, e le cupidigie d'un principe, non

Fam., 1. XVIII, ep. 16a.

mai sazio di danaro; se l' imperatore, mercanteggiando il suo intervento, deve porsi agli stipendi, mercenario vero, d'una delle due parti belligeranti, il Petrarca sorgerà ad ammonir gli Italiani che, non l'impero romano, ma quella tedesca autorità, che di romana s'arrogava il vano titolo, poteva tramutarsi in un gravoso fardello, in un fastidioso impedimento della vita politica della loro patria e li consiglierà a non piegarsi ad adorare l'idolo, cioè la falsa divinità, il Cesare tedesco, essi che non avevan voluto pur troppo vivere in soggezione dell'autorità vera, santa e legittima di Roma. La parola del Petrarca non è molto chiara, ma per questa ambiguità appunto io la tengo, se non proprio riferita, riferibile almeno nella mente del Petrarca all' impero e all' imperatore tedesco. Anche altrove il Petrarca, dovendo biasimare Carlo IV scrive cautamente « qui potest capere capiat» che il Fracassetti traduce « Intendami chi può che m'intend' io». È una espressione cauta come quella della lettera al Dandolo, pure allusiva a Carlo IV e che abbiano piú addietro considerata, ma che il Doge e quanti erano addentro nelle secrete cose di quella guerra dovevano intendere benissimo. Di tali si compiaceva il Petrarca, assai spesso riserbato e prudente ne'suoi giudizi, il Petrarca che reputava lodevole, anche

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Famil., 1. XV, ep. V.

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